Dakar 2016. I Trionfi di Peugeot e KTM, Peterhansel e Price

Dakar 2016. I Trionfi di Peugeot e KTM, Peterhansel e Price
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Fine della 38ma Dakar, “cannibalizzata” dalla Peugeot, che regala a Stephane Peterhansel il 12° “Anello” della Leggenda, e rinnovata da Toby Price, il gigante buono che raccoglie il testimone ed esalta la 15ma vittoria consecutiva delle KTM
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
17 gennaio 2016

Rosario, 16 Gennaio 2016. Oltre il caos totale, zoologico e insopportabilmente settario del podio finale, la 38ma edizione della Dakar ha mandato in orbita due Vincitori da brivido. Stephane Peterhansel e Toby Price. Un Mostro Sacro e un ragazzone che ha esaltato le qualità di un sistema infallibile. Entrambi riportano il successo della Dakar su un piano logico, consacrando la superiorità tecnica di Macchine rivoluzionarie allo stato dell’arte. Essere là e toccare con mano il Superuomo che ha fatto 12, nel momento in cui la crisalide del lavoro di Peugeot è diventata farfalla, non è un atto feticista, ma il bisogno di crederci, di constatare che è vero e che non è esaltazione dell’immaginazione. Fa venire i brividi farsi e porgli la domanda fatta vent’anni fa, alle prime manifestazioni inconfutabili di quella superiorità schiacciante che lasciava annichilita la volontà di pur bravi e affamati guerrieri. Come fai, Stephane Peterhansel, a vincere con tanta “crudele”, disarmante sicurezza e facilità? La risposta era in una forza in parte umana e in parte misteriosa, esaltata e portata a livelli di efficacia sconosciuti da una capacità di controllo zen. Più generalmente, si credeva che Peterhansel fosse un Marziano. Nessuno lo ha provato, ma nessuno lo ha smentito. Oggi, finalmente centrato l’obiettivo che una volta era solo lo stimolo ad andare lontano all’infinito, Peterhansel parla genuinamente e con una punta di sorpresa di “talento”, cioè di una dote avuta in dono e non impiantata, costruita. Non avevo mai sentito uno parlare di “talento” in questo modo, del proprio chiamato in causa quasi per scusarsi di essere così forte.

“Peter” non finirà mai di stupire, neanche quando smetterà di correre per fare il papà o il nonno, o qualcos’altro bene come sa guidare e vincere sui terreni e le trappole della “Gara più dura del Mondo”

Ma “Peter” non finirà mai di stupire, neanche quando smetterà di correre per fare il papà o il nonno, o qualcos’altro bene come sa guidare e vincere sui terreni e le trappole della “Gara più dura del Mondo”. Metto tra virgolette, perché non vorrei usare una definizione protetta da Copyright. A proposito. Prima di Peugeot mi pare che Stephane si proponesse di fare dodici e di tornare ad andare in moto con la sua bella, per purissimo piacere e divertimento. Ma quando gli hanno impedito quel dodici, credo che un fornello di furore si sia accesso nella gabbia di tranquillità del Campione, scaldando il sereno desiderio di mandare in scena una forma teatrale, e per questo più espressiva, di vendetta. È arrivata Peugeot. Se mi dicessero che il Progetto Dakar dell’Atelier dei Record di Velizy è nato sulla piattaforma della vendetta di Peterhansel contro il suo ex boss, quasi ci potrei credere. E anche sapendo che non è così sono certo che Peugeot sapeva di aver sin dall’inizio l’arma umana dalla motivazione vincente. Anche per questo la 2008 DKR di Peugeot ha bruciato, fulminato le tappe, perdendo con la Macchina del debutto realizzata in meno di un anno, e vincendo con la sua evoluzione “scratch” finalizzata in un anno, nell’intervallo preciso tra due Dakar.

Stéphane Peterhansel, vincitore della Dakar 2016
Stéphane Peterhansel, vincitore della Dakar 2016

Il sistema Peugeot non è soltanto la 2008 DKR e Stephane Peterhansel, naturalmente, ma è ispirato dall’esigenza di fornire un mezzo perfetto al migliore dei Campioni, uno stile che si completa con la bravura contagiosa di Carlos Sainz e quella mostruosa di Sébastien Loeb, delle formiche della Squadra dell’ape regina che tiene sotto controllo e sotto la temperatura di fusione del reattore.

Facciamo un esempio. Peugeot e la nuova 2008 DKR non erano ancora pronti. Ma Carlos Sainz spingeva per guidarne la versione definitiva, Loeb per guidarla, Cyril non aveva mai guidato un’altra macchina ma per lui l’imprinting era quello della macchina vincente. Tutti hanno voluto vincere con la 2008 DKR, perché tutti l’hanno sentita come una cosa propria. Quasi animata. Per tenere un ambiente tecnico e umano come questo sotto la temperatura di fusione, ci vuole un Tecnico capace di ascoltare e di interpretare informazioni che sono “ordini”, e di raccontarle sotto forma di evoluzione alla Macchina. Deve ispirare e dare fiducia, catalizzare dati, risultati e umori in una formula vincente. Bruno Mouriño Famin. L’esempio si completa con il rovescio della medaglia, rimasta… rovesciata. Le Mini che non si staccano più dal gruppo, le Toyota di un passo avanti, ma non abbastanza lungo, lo stupore indispettito di Al Attiyah, secondo a un’ora, il plafond garantista di de Villiers, sudafricano dal rimedio noto, anche per i più forti mal di testa. Di fronte alle 2008 DKR così come sono oggi, sono nuovi modi di interpretare la sconfitta. Prendendo tempo sul destino, si salva Mikko Hirvonen, che diventa il trait d’union tra la nuova Dakar delle autostrade di terra e l’urgenza di rinnovamento delle Mini, tramonta il sole di Robby Gordon e si scalda quello di Nani Roma, ultimo il primo giorno e sesto l’ultimo. Ma quando la 2008 DKR sarà definitivamente a punto, anche dei parametri di sconfitta così indulgenti potrebbero essere rivisti da quelli che oggi “si salvano”.

Sébastien Loeb in azione
Sébastien Loeb in azione

Intanto i numeri che compongono la costellazione del Trionfo Peugeot. Peterhansel ha vinto la 12ma Dakar, venticinque anni dopo aver vinto la prima con la Moto. Con la Peugeot, che ha vinto nove volte su dodici tappa, Peterhansel è andato in testa a Uyuni, vi è tornato a Belen, e a La Rioja per restarci fino alla fine. Con la Peugeot Sainz ha vinto due volte ed è stato in testa un giorno, con la 2008 DKR Loeb ha vinto quattro volte ed è stato in testa per cinque giorni.

Il ragazzone, invece, si chiama Toby Price, ed è un australiano ventottenne, 18 agosto 1987, del Nuovo Galles del Sud. Grande e grosso, quasi un metro e novanta per oltre novanta chili, ha due piedi smisurati, cosicché i suoi stivali sono riconoscibili da centinaia di metri e non passano dalla porta del motorhome. È disincantato e allegro, si fa ben volere e prima ancora di essere un Campione, i colleghi lo consideravano già tale. È di quei Piloti che la prima volta che lo vedi correre ti pare di averlo sempre conosciuto. È lì, bravo, forte, refrattario a tutte quelle “pose” del Pilota stanco, deluso, inquieto, arrabbiato, spavaldo, timido, cupo, guascone. È un ragazzo allegro e terribilmente, genuinamente “normale”. Soprattutto, come dicevamo, sembra lì da tempo immemorabile. Invece è arrivato da poco, e la Dakar dello scorso anno alla fine della quale si classificò terzo, era la sua prima partecipazione. L’ottobre scorso Toby non era andato troppo bene in Marocco, aveva commesso degli errori. Si era portati a credere che avesse ecceduto nel credere in se stesso, rovinandosi con le sue mani. Mi rassicurò un amico, il meccanico che lo aveva assistito durante la sua Dakar del debutto: “Non ti preoccupare, è forte davvero. In Marocco era malato.”

Il vincitore della Dakar 2016 nella categoria moto, l'australiano Toby Price
Il vincitore della Dakar 2016 nella categoria moto, l'australiano Toby Price

La Dakar di Toby Price si spacca in due parti. Quando ha lottato con gli avversari, e quando ha giocato con i colleghi. Gli avversari, si sa, si sono tolti di gara da soli. Le Honda in particolar modo, che alla fine deludono più per la recidiva che per il fatto in sé stesso, che ci sta, di rompere puntualmente la meccanica lasciando a piedi i propri Piloti. Nei Rally Raid la “stima” dell’affidabilità è ancora più importante della fiducia nelle prestazioni. Rompere è, paradossalmente, un controsenso, una fine che no si perdona. Per questo Joan Barreda e Paulo Gonçalves, che potevano vincere entrambi, sono delusi, sconcertati. D’altra parte KTM vince da quindici anni consecutivi. La prima volta fu Fabrizio Meoni, nel 2001, la seconda fu Fabrizio Meoni. Con una KTM hanno vinto Sainct, Roma e, cinque volte a testa, Cyril Despres e Marc Coma. Passato alle Auto Cyril Despres, proprio quest’anno Marc Coma aveva lasciato vacante il suo trono per passare a dirigere la Corsa. La corsa alla successione era difficile, perché non c’erano Piloti in gradi di ricostruire i riferimenti che erano stati di Coma e di Despres. Qualcuno diceva Walkner, qualcun altro pensava ad uno dei “vecchi”, Faria e Viladoms, o a uno dei “nuovi”, gli enduristi Meo, Renet, Cervantes, a sorpresa. Io pensavo Barreda, ma il meccanico diceva: “Price”. Chissà che super poteri divinatori vengono dai capelli rossi.

Il nostro Jacopo Cerutti, miglior rookie della Dakar 2016 nelle moto
Il nostro Jacopo Cerutti, miglior rookie della Dakar 2016 nelle moto

Price ha vinto la prima tappa, quella dopo l’annullamento della prima “bagnata”, poi si è ritirato in osservazione mentre la Dakar andava velocissima, senza difficoltà e senza navigazione, solo con tanti chilometri, verso la Bolivia e tornava a Salta. Price era quieto, ma ormai secondo in virtù di una straordinaria regolarità. Poi è venuta la trilogia di Fiambala, le tre… tre quarti di tappa comunque micidiali, per il caldo, la navigazione, le spine, gli arbusti e gli alberi secchi, i waypoint da cercare avanti e indietro, lo stress di trovarsi in un deserto rorrido e implacabile e non sapere nemmeno esattamente dove si è e dove si potrà andare. Un inferno, certo. Le prime due tappe le vince Proice, la terza Stefan Svitko, e dalla trilogia escono i primi due nomi, quello di Price e quello di Svitko. Anche l’ultima Honda ha appiedato Gonçalves, e alla battaglia per il terzo gradino del podio partecipano Meo, Quintanilla e, più in disparte, Benavides con una rarissima Honda e Rodrigues con la Yamaha che ha tradito Alessandro Botturi. Sembra Meo, ma il francese prende la Dakar nei denti, e sarà Quintanilla il terzo uomo. Jacopo Cerutti chiude al dodicesimo posto, miglior rookie, bravissimo, i Patronelli tornano, così, perché hanno avuto la possibilità di allenarsi un po’, Marcos vince la gara dei Quad per la terza volta e Alejandro è secondo. Camelia Liparoti è undicesima e incrementa il record di chilometri dalla Dakar, e Franco Picco si scopre un buon specialista anche con le piccole quattro ruote (gli sarà piaciuto davvero? Glielo chiederemo).

Dieci anni dopo la scomparsa del mio amico Andy Caldecott, Toby Price è il primo australiano a vincere la Dakar.

Foto: ASO/ @World/ A VIALATTE/A Lavadinho/Frederic Le Floc'h / DPPI/Florent Gooden / DPPI

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