Dakar 2016. Uyuni dei record e della grande festa, ma poco Salar

Dakar 2016. Uyuni dei record e della grande festa, ma poco Salar
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Tripla… tripletta Peugeot, nel successo di tappa che è il terzo di Loeb, e per il podio della classifica generale occupato per intero. In stallo la gara delle Moto. Vince ancora Price, ma in testa si segna il passo
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
8 gennaio 2016

Uyuni, 7 gennaio 2016. A Uyuni vale la pena di andare per vedere il Salar più grande del mondo, 12.000 chilometri quadrati. Non certo per la città in sé, ma magari per rendersi conto veramente di cos’è la Dakar per i boliviani. Tarija e il suo brutto bivacco, Potosì, Villazon, ovunque è passata la “carovana multicolor” in Bolivia è stato delirio, festa, passione commovente. Un attaccamento per questi eroi di un altro mondo che è difficile credere, se non si vede.

Sono giorni, settimane che Uyuni prepara l’accoglienza della Dakar, e l’occasione è diventata una festa dalle proporzioni inaudite che richiama gente dalla tutta la regione e dalla Bolivia intera. Si montano palchi giganteschi, tre solo nella via principale lungo la ferrovia, che diventa gli Champs Elyseés della Dakar, ed è musica, danze e fuochi d’artificio fino a tarda notte. Arrivano gli appassionati, i turisti che approfittano della Dakar per visitare il Salar, e viceversa, e una miriade di piccoli commercianti e artigiani, persino dalle Nazioni vicine, con i loro banchi, i chioschi, i barbecue, con le panche e i tavolini, le sedie di plastica e gli scatoloni di cartone pieni di cibo e mercanzie da vendere.

Il caos è totale, e così l’allegria. La Dakar è andata dritta al cuore dei boliviani, per i quali è diventata un evento nazionale e, in soli tre anni, una tradizione popolare fortissima. La Dakar a Uyuni, dunque, è la corsa e l’evento, ma soprattutto un’occasione rara nella quale togliersi da una realtà che non deve essere delle più piacevoli. Vale la pena di andare, comunque, più per i Boliviani che per la Dakar, per il loro grande cuore.

Dal canto suo, la Dakar risponde all’entusiasmo popolare con una gara che è diventata di giorno in giorno interessante e agonisticamente intensa. Non bellissima, non stupenda come avrebbe potuto essere, ma una buona Dakar, di spessore.

È chiaro che gran parte dell’interesse sportivo della Dakar di quest’anno deriva dall’esplosione della realtà Peugeot, che ormai domina in lungo e in largo una scena alla quale si era avvicinata, quest’anno, con un profilo piuttosto basso, quasi timido. Fino ad oggi, però tutte le ciambelle sono venute con il buco perfetto, le 2008 DKR continuano a vincere, ormai a stravincere, e i suoi equipaggi a convincere, piloti e navigatori nessuno escluso, dal “giovane” Cyril Despres al fuoriclasse del WRC Sébastien Loeb, dall’aggressivo Carlos Sainz al mite, ma non spento, Stephane Peterhansel.

Carlos Sainz
Carlos Sainz

Con la quinta tappa, e soprattutto con la fine della doppia tappa Marathon, le Peugeot hanno sconfitto anche lo spettro dell’affidabilità e, in una configurazione della Dakar come quella della prima settimana di gara, sono di fatto imbattibili. Magari la seconda settimana della Dakar 2016 sarà tutt’altra cosa, ma intanto questi sono i fatti.

Le Peugeot hanno vinto ancora e dilagano. Sembra che non ci sia più altro da dire, che le Peugeot siano diventate una fissazione. Eppure le alternative scemano di giorno in giorno. La Mini si salva per la grande generosità di Al-Attiyah e per la coperta di Hirvonen, le Toyota scendono anch’esse inesorabilmente e la grande regolarità di De Villiers non basta più. Le Peugeot hanno fatto fare alla Dakar delle auto un salto epocale, imponendo il nuovo standard. Ancora una vittoria per Loeb e Elena, ancora tre 2008 DKR in fila all’arrivo della tappa di Uyuni, oltre a quella di Loeb anche le due di Sainz e Peterhansel, tre macchine in testa alla generale dopo cinque tappe, dopo quella di Loeb ecco quelle di Peterhansel e di Crlos Sainz che ha scavalcato Al-Attiyah. È mancata all’appello la 2008 DKR di Despres, per un calo di motore che è ancora sotto osservazione. Onestamente sarebbe quasi stato troppo.

Nasser Al-Attiyah
Nasser Al-Attiyah

I progressi sono stati notevolissimi, e la sintesi del pensieri degli avversari è espresso elegantemente e con molta precisione da Al-Attiyah, che oggi ha dato fondo alle sue energie e al suo talento disputando, dice, una delle tappe più dure della sua carriera. Al-Attiyah si è detto impotente contro le Peugeot che sono diventate le auto più veloci e performanti, e ha voluto fare i complimenti ai Tecnici che hanno sviluppato l’auto. Intanto, dopo la prova delle prestazioni e, dopo la tappa marathon, dell’affidabilità, la 2008 è attesa alla prova della diversa conformazione della seconda parte della Dakar. ma una cosa è partire da inseguitori, un’altra farlo quando si può contare già su un certo prestigio.

Toby Price, vincitore della tappa moto
Toby Price, vincitore della tappa moto

Dalla parte della moto, la Dakar langue in una situazione che è apparentemente molto equilibrata ma che, in realtà, è alquanto tesa. I motivi di tensione non si contano. A Uyuni si è imposto per la seconda volta Toby Price, davanti al sempre più bravo Meo e allo slovacco Svitko, ma sono più i piloti che hanno fatto dei pasticci piuttosto di quelli che possono ritenersi impeccabili.

La semplice morale è che, prima di tutto ci sono ben cinque piloti, tutti bravi come Gonçalves, Svitko, Price, Barreda e Walkner, racchiusi in un fazzoletto di appena tre minuti di distacco. Questo genera tensioni, che si rivedono nelle penalità che fioccano come autovelox o negli errori che diventano peccati veniali lasciando a tutti un margine per recuperare. Tensioni possono anche essere punti di vista che, improvvisamente, non collimano più di fronte a un’occasione che vale una carriera.

Lo specchio di questa situazione sono i piloti Honda. Barreda ha sbagliato per ben due, eppure è ancora lì che combatte per la vittoria, e Gonçalves può permettersi addirittura di sbagliare e di rimanere in testa alla corsa. Non tutti, poi, sono sicuri che l’associazione fraterna tra Barreda e Gonçalves possa superare anche questa prova, così delicata, nella quale non è possibile dividere una stessa grande opportunità.

Paulo Goncalves
Paulo Goncalves

Risalgono intanto le quotazioni del piloti KTM, sinora in disparte sulla scena dominata dalle Honda. Non parliamo di Meo, che ha commesso un errore tipico della “gioventù” entrando al CO di fine tappa dalla parte sbagliata, insieme a Benavides, né di Svitko, che da anni ormai fa il suo dovere di privato pronto a dare la zampata. Ci riferiamo a Price, che è risalito di prepotenza dopo l’errore del secondo giorno di gara, e ha rapidamente riconquistato il terreno perso, e a Matthias Walkner che, invece, sino ad oggi non ha fatto proprio nulla. Lo schema tattico adottato dal giovane austriaco è ormai sin troppo chiaro.

Prima comunque di cantare vittoria, chiunque abbia delle pretese su questa Dakar dovrà intanto misurarsi con il grande anello di Uyuni, la più lunga Speciale del Rally con oltre 500 chilometri attorno al Salar. Attorno, detto bene, non ci sarà lo spettacolare attraversamento della Salt Flat, fatale lo scorso anno. Avremo quindi la lunghissima tappa che porterà la carovana alla giornata di riposo di Salta, di novo in Argentina e non lontano da Jujui.

Ancora festa a Uyuni, dunque, e festa Peugeot, in attesa di un bell’epilogo.

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