Dakar 2017. Mr. Franco!

Dakar 2017. Mr. Franco!
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Piero Batini
  • di Piero Batini
L’Equipaggio è spina dorsale e linfa del viaggio. Sbagli “formazione” e sei fregato, ma se l’indovini è overdrive. Noi, questa volta, abbiamo avuto una fortuna stellare e il privilegio di vivere un’eccezionale esperienza di vita. Grazie a Mister Franco
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
28 febbraio 2017

DKR17. Che tra le storie di equipaggio ci siano degli episodi raccapriccianti non è una novità, e talvolta la realtà è stata ben più terrificante della fiction, così come è chiaro che una squadra male assortita può essere all’origine di un incubo capace di trasformare un viaggio, una vacanza, un’impresa o un’occasione, e in fin dei conti, un matrimonio o un qualsiasi livello di convivenza, in un vero, insopportabile inferno.

A noi è spesso andata bene, abbiamo imparato a fare squadra e a vivere l’istruzione della convivenza, e a volte malissimo. È nel conto, e anche se, per fortuna, le esperienze negative se ne vanno nella nebbia dei ricordi di scarso valore, bisogna dire che lasciano il segno. Poi, un giorno, accade il miracolo. E questa è la storia di un miracolo di amicizia e del privilegio di aver vissuto l’esperienza di un viaggio reso straordinario dalla forza dell’Equipaggio. Solo per farvi capire meglio, l’Equipaggio del Miracolo è la persona che ha diviso con me il viaggio straordinario di una Dakar niente affatto bella trasformata per questo in un Evento straordinario: Franco Acerbis.

Affiorano immediatamente gli scenari emotivi della più classica trilogia degli affetti. Franco Amico, Franco Padre, Franco Fratello. Affiora il sentimento generale e l’enfasi dell’esperienza, perché è stato così, ma è uno di quei casi in cui è difficile stare in strada. Amico? Sì, ma perché, se poi lo conoscevi da trent’anni, solo ora lo scopri come tale? Padre, è imbarazzante, perché toccherebbe attribuirgli l’età di matusalemme, e Fratello, ancor più imbarazzante, perché indicarlo come il fratello grande così ganzo vorrebbe dire ammettere di essere il fratello piccolo… e scemo. Non ci sta, quindi d’ora in avanti è… Mr. Franco, esattamente come cita la sua tuta Ottano sempre immacolata, come quella del venditore di voli di Richard Bach.

Mr. Franco è salito a bordo al volo, non appena si è liberato il “sedile” della nostra Peugeot 3008 DKR17 a causa di uno sfortunato forfait. Se n’era parlato… pour parler, al tavolo di fronte alla spiaggia sarda un giorno d’estate, quando ci eravamo incontrati per caso e si era andati a mangiare, la prima volta in trent’anni. Quando, a poche settimane dal via ho ripensato a Franco Acerbis, mi sono detto che era troppo tardi, chissà quali impegni e programmi aveva nel frattempo concertato. Lancio un sms. Risponde dopo pochi secondi: “Hasta la victoria siempre! Ti chiamo tra mezz’ora, sono dal dentista”. Fatta. Non mi pareva vero!

Prima avevo lanciato un altro sms di richiesta di consenso, al Direttore. “Ippolito, non ho equipaggio, ho pensato a Franco Acerbis”. Trenta secondi: “Magari! Faccio preparare immediatamente la richiesta di accredito per il nostro Inviato Super Speciale!”

Il resto era tabula rasa, tutto da fare. Ma abbiamo fatto ben poco, prima. Qualche telefonata, giusto per accordarci su qualche bagaglio o sugli aeroporti, io partito prima, poi finalmente lo accolgo all’aeroporto di Asuncion, l’ultimo giorno del 2016. Si parte. Anzi, si è già partiti, come se non ci fosse un punto di arrivo ma solo punti di un viaggio infinito nei quali ci si incontra e dai quali si riparte insieme per procedere su una traiettoria, breve o lunga che sia.

Due settimane di inferno. Parlo della Dakar. Ci hanno fatto fare più chilometri che ai Corridori, ci hanno tenuto all’oscuro, accolto in bivacchi-nuvola-di-polvere o in bivacchi-palude. Mandati allo sbaraglio per migliaia di chilometri, fermi e tagliati fuori nella carovana spezzata da un’alluvione, costretti ad inseguire un road book delirante per far contenti tre presidenti, e sempre, infallibilmente progettato per tenerci lontani dall’azione della corsa. Incredibile ma vero. Fanno così. Ti “vendono” un programma da capogiro e poi te ne impongono la versione povera e monca. Come il divieto di raggiungere il bivacco della tappa marathon, sempre per ragioni di sicurezza o per evitare che, non noi ma qualcun altro beninteso, potesse portare pezzi e notizie ai concorrenti segregati nel campo di concentramento. Poi ci mandano addetti e giornalisti vip con l’aereo!

Beh, ci hanno fatto un baffo, grazie a Mr. Franco. Io ho la tendenza ad incazzarmi come una biscia (chissà come e perché le bisce si incazzano così), anche per la minima questione di principio, Mr. Franco no. Non si incazza mai, e se lo fa ha un suo stile anche in quello, ti demolisce con la gentilezza. Il suo consiglio costante era di lasciar fare, noi… avevamo altro a cui pensare che non ai torti subiti dagli organizzatori. Dovevamo fare il nostro viaggio e andare a cercare la Dakar e la sua azione, la sua Gente, i suoi Piloti. “Piero, devi essere lì in quei dieci secondi che il Pilota si toglie il casco. Non importa che gli parli. Lo guardi, lo studi. Lo saluti, e sai tutto. Sai come gli è andata, se ha sbagliato, se è contento!”.

L’ho sempre pensato, e anche io sono solito stare alle spalle dei registratori e delle macchine fotografiche, e osservare. Poi magari la domanda per la risposta che mi manca la faccio in un’altra circostanza, anche un altro giorno, e metto insieme i tasselli del mosaico. Lo faccio anche io da sempre, ma non avevo mai messo a fuoco il concetto così chiaramente, come ha fatto subito Mr. Franco.

Una Dakar insieme è anche una logistica infernale. 10.000 chilometri in due settimane lo lascia intravedere. La maggior parte del tempo se lo mangia stare alla guida o vivere in macchina, la parte minore si è costretti a concederla al sonno. In mezzo ci sono tutte le cose da fare. Il materiale, scrivere e raccogliere notizie, “imballare” il prodotto e spedirlo, ma anche ricaricare batterie, lavarsi i denti e fare una doccia, di tanto in tanto la barba per non sembrare il dakariano perfetto… un barbone. Ci si stanca profondamente, si perde peso a vista d’occhio e si scoprono i nervi. E lì, in quelle condizioni davvero limite, in una sorta di “sopravvivenza” morale, si mette in gioco anche l’Equipaggio.

Ha funzionato tutto alla perfezione, sensazionalmente perfetto. Per lo più c’era da mantenere efficiente la configurazione. La macchina, una Peugeot 3008 nuova di zecca, per niente “avida”, né di carburanti né di attenzioni, e il resto cose, avido eccome. Dalle gomme alla rotte, dal programma vago delle soste alla prenotazione degli hotel. Tutto liscio come l’olio. La giornata “standard”, crivellata di chilometri, scorreva facile con una sua routine. A volte si viveva in leggera differita. Io mi mettevo a scrivere, Mr. Franco spariva. Gomme, provviste, giornali e carte stradali dell’area, una lavata alla macchina per presentarci al bivacco come Jacky Ickx. Tutto al volo, neanche parlarci, sparizioni “programmate” e sincronismi perfetti, perfetta sintonia. Io ho facilità a perdere la pazienza, già detto, e un paio di volte mi stava capitando, lo ammetto e gli chiedo scusa. Beh, una volta è tornato con la macchina che sembrava nuova e pronta per la distribuzione dei regali di natale, un’altra era con il presidente della Bolivia, che ci vuoi fare, Evo Morales non lo mollava più con la questione di quella Sei Giorni che si potrebbe organizzare in Bolivia. Poi via come missili. Un giorno, come tutti i giorni, si pensa all’hotel, solo che è già pomeriggio tardi e abbiamo deciso di non fermarci lì ma di anticipare parte dei chilometri del giorno dopo.

La procedura è collaudata, e non priva di rischi proprio… per questo. Booking, i primi tre nomi. “Franco: Carpe Diem, Jasmine, Plaza?” Mr. Franco alza gli occhi dalla mappa che sta studiando, occhi distrattamente pensosi al cielo per un attimo: “Jasmine. Fiori, gelsomini, chiaro.” Il più bell’hotel di Salta, il favoloso ex ranch di Robert Duval. L’altra volta, quando ci tagliano fuori dalla carovana impazzita. “Pazienza, torniamo in quel villaggio incantevole, dai, dove ci siamo fermati a lavorare all’andata!” Giusto, serata magnifica prima della grande “deviazione”, trecento chilometri quasi in Cile, duecento di fuoristrada, più mille per riagguantare la Dakar ormai in direzione di Chilecito. 24 ore in tutto, quasi tutte dentro la macchina, anche per mangiare, anche per lavorare. Franco può guidarne 48 senza battere ciglio. Ci alterniamo scanditi dal sonno che avanza. Si parla. Anche della Dakar. Ogni tanto si decide di “girare” un video-commento. Ci caliamo nella parte, io con fatica, Mr. Franco come se passasse metà della sua giornata davanti alle telecamere. Che chiacchieri, che parli seriamente o per raccontarti uno scherzo, che ricordi o che provi ad immaginare il futuro, Mr. Franco ha sempre qualcosa di inedito da farti ascoltare. E lì capisci, impari. Un’esperienza di vita e di lavoro ineguagliabili, non certo piovuti su Albino e sulla prima testa che capita. Così, come per caso, tutto diventa un’occasione, e un’esperienza ineguagliabile che mi viene trasmessa.

A volte capita anche di prendere una qualche piccola cantonata, come quella volta che Mr. Franco, dopo aver studiato lo scenario geografico, suggerisce che per andare al Salar di Uyuni (sì, certo che ci siamo andati, anche contro il “volere” degli organizzatori, solo da un’altra parte, più remota, più a Nord) ci vuole una guida. Al villaggio ci saranno si e no venti anime, sono tutte guide esperte. Scegliamo la prima. Morale, duecento chilometri di fuoristrada impestato, sei ore, mezza giornata da recuperare sulla carovana… di notte. Ma funziona tutto anche in quel caso, alla perfezione, e ci ritroviamo in uno teatro naturale che “voi umani non potete neanche immaginare”, in fin dei conti senza prezzo. Che vuoi che sia guidare tutta la notte per recuperare, fermarsi per una “sopita” in un ristorante verde di luce abbagliante che sembrava di essere in una scena di 2001 Odissea nello Spazio? È la morale di Mr. Franco. Avanti tutta, che più avanti c’è qualcosa di meraviglioso da vedere! Come per arrivare al lago Titicaca (sì, quello promesso e mai raggiunto dalla Dakar), metà della giornata di riposo fumata in macchina per attraversare la bolgia labirintica sensazionale di El Alto, a modo suo ormai la prima città della Bolivia, e scendere fino alle rive del Lago navigabile magico e più alto del pianeta, lassù ai 3.800. Grazie alla tempestività di Mr. Franco e ai suoi amici di La Paz che ci fanno da guida, Kenny e Yannick Wende.

Mr Franco conosce tutti, e tutti lo conoscono o vogliono conoscerlo. Se capita dunque che i due non si conoscano è questione di attimi, e si parlano come se si fossero già incontrati la mattina sul pianerottolo. Le notizie arrivano a fiumi, quelle vere perché a Mr. Franco non la racconti, non se la fa raccontare. In macchina, poi, si tirano le somme, si commenta. La cosa più ganza è come passano le ore e i chilometri in auto. È l’occasione d’oro della coscienza, dello scambio di esperienze, dei racconti e delle considerazioni, sempre più generali, sempre più “cosmiche” fino alla soglia del delirio. O della grande risata. Sì, perché la filosofia è sempre la stessa: prendere il lato buono, giudicare il peggio per il suo inevitabile aspetto comico. In tante ore di macchina insieme Mr. Franco e io abbiamo parlato di tutto senza riserve o falsi pudori, abbiamo parlato di tutti e fatto il “capottino” a tutte le nostre conoscenze di questo mondo, tutto sommato piccolo, della passione per il fuoristrada.

Ecco, volevo solo darvi un’idea dell’effettone che è stato avere il privilegio di “compartir” l’esperienza della Dakar con Franco Acerbis. L’Esperienza di un frangente “live in life” indimenticabile. Grazie mille. A quando la prossima? Hey, abbiamo altri progetti con l’Inviato Super Speciale, calma!

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