Alboreto: i sogni di un appassionato tra Monza e Ferrari

Alboreto: i sogni di un appassionato tra Monza e Ferrari
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Paolo Ciccarone
Michele Alboreto è stato lì'ultimo italiano capace di lottare per il titolo in Formula 1. Lo ricordiamo così, nella settimana del GP d'Italia nella sua Monza | <i>P.Ciccarone</i>
31 agosto 2015

È la settimana del GP di Monza e come primo omaggio non può mancare quello al pilota che proprio su questa pista cominciò a calcare le scene fino a salire sul podio. Un autodromo che non ha dedicato nulla a Michele Alboreto, una curva, una sala, una targa ricordo, niente. Eppure la storia di Michele e quella dell’autodromo sono andate di pari passo per moltissimi anni. Vale la pena, quindi, ricordare come iniziò la storia.
Cominciò tutto con una lettera.

 

Michele Alboreto era uno dei tanti ragazzi che a Milano frequentava la Scuderia Salvati e il giovedì sera si divertiva a guardare i suoi coetanei che si sfidavano nelle corse di F.Monza sul tracciato junior dell’autodromo lombardo. A quell’epoca la Scuderia Salvati era una vera e propria fucina di campioncini, di aspiranti piloti ed ex frequentatori degli autodromi nazionali. Nella sede di Viale Umbria, dove c’era la rivendita di pneumatici di Adriano Salvati, fratello di Giovannino, il pilota scomparso in Brasile al volante di una F.2 nel 1971, Michele sognava le gare, sognava di fare il pilota e sognava di approdare alla Ferrari. Il martedì mattina, molto spesso il mercoledì, in ufficio, era tutto un inseguire l’unica copia del settimanale specializzato che riportava le cronache delle gare di F.1, ma anche le cronache di gare notturne in quel di Monza, vissute con lo stesso agonismo di un GP e con gli stessi clan anche se poi le monoposto erano tenute insieme dal fil di ferro e il motore era il classico Fiat sogliola di 500 cc. Ma bastava per sognare e vedere il proprio nome in classifica, sullo stesso giornale in cui si parlava della Ferrari, era uno stimolo eccezionale per chi aveva le corse nel sangue.

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A Imola, sulla Tyrrel, avvenne l'esordio in Formula 1 di Michele Alboreto

 

Michele prese carta e penna e con l’entusiasmo della passione, indirizzò a Enzo Ferrari una lettera in cui il Drake riuscì a leggere nelle pieghe dell’anima di Michele. All’interno della Scuderia Salvati qualcuno cominciò a cercare dei soldi per aiutare il ragazzo, qualcun altro mise a disposizione la propria F.Italia per un test. Con gomme vecchie, motore spompato e assetti aleatori, Alboreto era stato più veloce del titolare (Mario Simone Vullo, attualmente avvocato di grido) che decise di aiutare il giovane in qualche modo. Il giovanotto fu tenuto d’occhio e passo dopo passo, gara dopo gara, il nome di Michele Alboreto cominciò a circolare nell’ambiente delle corse, fino a quando con la F.3, il ragazzino dimostrò di avere i numeri per fare il professionista. Un aiuto qua, uno là, fino a quando il destino mise sulla strada il Conte Zanon. L’appassionato patrocinatore di giovani talenti fu conquistato dalla bravura e dalla passione di Michele e così, un giorno di aprile del 1981, saltò fuori un posto sulla Tyrrell per il GP di San Marino a Imola. Fu un giorno di festa, non solo per il pilota milanese, ma anche per tutti i ragazzi della Scuderia Salvati che rividero in F.1 un casco giallo e blu, i colori dedicati allo scomparso Ronnie Peterson, il pilota preferito da Michele. Ma soprattutto perché quel giorno di aprile il sogno di uno di loro era diventato realtà e questo bastava per tutti quanti, dando un senso a quella combriccola di appassionati che alla Scuderia Salvati cercavano una occasione. Dal quel GP di San Marino alla Ferrari, passarono tre stagioni.

Con la F.3, il ragazzino dimostrò di avere i numeri per fare il professionista. Un aiuto qua, uno là, fino a quando il destino mise sulla strada il Conte Zanon

 

Enzo Ferrari, col quale Alboreto era rimasto in contatto, decise di ingaggiarlo, ma a volte intoppi con gli sponsor, situazioni contrattuali con altri piloti, le vicende tragiche di Villeneuve prima e Pironi dopo, impedirono ad Alboreto l’accesso a Maranello fino alla stagione 1984. Nel frattempo, con la Tyrrell, Michele aveva vinto nel 1982 il GP di Las Vegas e nell’83 quello di Detroit. Insomma, alla Ferrari non arrivava un signor nessuno, ma un campione affermato già vincente in F.1. Quando Michele salì per la prima volta sulla Ferrari, fu il compimento di un sogno. Mai, nella storia della rossa, un pilota si è sentito così legato alla sua squadra. Una volta realizzato un sogno, bisogna poi viverlo davvero. E Michele si rese conto che le cose non erano proprio come aveva sperato. Un conto era sognare una monoposto rossa, l’altro era confrontarsi con i rivali, con macchine più veloci, con gli ingegneri e le situazioni quotidiane che ti fanno diventare amico di qualcuno, nemico di altri. Giorno dopo giorno Michele cercava di adattarsi alla nuova situazione e viceversa, la Ferrari scopriva la personalità del suo pilota. Sopra tutti, però, c’era Enzo Ferrari, col quale Michele aveva sempre un filo diretto.

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Per Alboreto, pilotare una Ferrari era più di un semplice lavoro: era la realizzazione di un sogno

 

La prima corsa della stagione '84, in Brasile, comincia con una partenza in prima fila, ma anche con un ritiro. In Sudafrica peggio ancora: dodicesimo all’arrivo. Si arriva a Zolder, la pista dove due anni prima Gilles Villeneuve si è ucciso decollando sulla March di Jochen Mass. È un appuntamento speciale che nella mente di Michele viene rivissuto in modo particolare. Due anni prima, quasi esordiente in F.1, appena vista la tragica fine di Gilles, Michele prese il telefono e chiamò l’autodromo di Monza. Quel sabato c’era in programma una gara di F.Monza alla quale partecipava il fratello Ermanno al volante di una monoposto della Scuderia Salvati. L’altoparlante dell’autodromo chiama in direzione corsa Ermanno Alboreto. Piove a dirotto e tutti, sentendo l’altoparlante, pensano a qualcosa di grave a Michele. Ermanno corre e dal box opposto attraversa tutto il paddock prima di entrare nella direzione corsa dove Romolo Tavoni, ex DS della Ferrari negli anni 60, gli passa la cornetta. È Michele che comunica al fratello della tragica fine di Gilles Villeneuve e di quanto sia stato colpito dall’avvenimento. Perché Michele Alboreto è un pilota di F.1 per tutti, invece lui si sente ancora un appassionato in mezzo ai grandi della categoria. Ermanno avvisa gli amici della Scuderia Salvati, qualcuno cerca una TV per seguire le prove del GP del Belgio o avere informazioni. L’ambiente è scosso, ma è la telefonata di Michele che entra nell’animo dei tanti ragazzi che vedono in lui il testimone privilegiato di un evento storico. In quella Zolder del 1984 a Michele in testa circolano le immagine e i ricordi di due anni prima. Stavolta al volante della Ferrari numero 27 c’è lui e non Gilles. Qualcosa si accende nella mente di Alboreto, fatto sta che in prova segna la pole position, la prima della carriera e proprio con la Ferrari. Domenica, in gara, vince il primo GP con la rossa, il terzo della carriera.

 

Michele capisce di poter essere un pilota della Ferrari, che ha le qualità per farcela e raggiungere quel sogno chiamato titolo mondiale

Michele capisce di poter essere un pilota della Ferrari, che ha le qualità per farcela e raggiungere quel sogno chiamato titolo mondiale. Dopo 18 anni dall’ultima vittoria di Ludovico Scarfiotti a Monza, torna a vincere un pilota italiano su una Ferrari. La gioia è tanta, ma Enzo Ferrari è esigente e a Zolder arriva una telefonata: «Allora, Commendatore, che mi dice?» chiede Michele contento. «Dico che hai commesso un errore e che potevi buttare la gara e inoltre hai calato il ritmo di corsa senza motivo». Alboreto resta interdetto ma capisce la lezione di Enzo Ferrari: mai distrarsi, mai dare nulla per scontato. La vittoria è frutto del duro lavoro. Il prosieguo di stagione va fra alti e bassi, fino a quando si arriva a Monza. Siamo nella tana del lupo, qui Michele conosce ogni curva, ogni commissario di pista, compreso quell’Adriano Salvati che dalla prima chicane sventola con solerzia la bandiera blu ai doppiati quando arriva Michele lanciatissimo. Ma contro Alain Prost non c’è molto da fare, il francese vince la corsa davanti ad Alboreto, ma sul podio la festa è tutta per Michele che nella sua Monza è salito sul podio. Ci sono gli amici di sempre, chi gli ha prestato la prima macchina, chi gli diede le gomme in F.Monza. Non ha vinto, ma è come se lo fosse. La stagione '84 si chiude con una grande promessa, quella di un italiano, su Ferrari, in lotta per il titolo mondiale.

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Nel 1985 Alboreto arriva ad un passo dal vincere il titolo mondiale

 

E puntualmente il 1985 comincia nel modo migliore: pole position nella gara di apertura in Brasile, anche se un problema ai freni impedisce a Michele di concretizzare la pole. La riunione a Maranello, con un rappresentante della ditta fornitrice, sarà di quelle da ricordare. Enzo Ferrari è furibondo: perdere una gara così per un guasto banale, lo manda fuori dai gangheri. Il fornitore è alto oltre due metri e 4 centimetri, biondo, massiccio, ma nel confronto con Enzo Ferrari ne esce annichilito, specialmente quando il Drake si toglie gli occhiali scuri e guarda dritto negli occhi l’interlocutore chiedendo che il problema non si ripresenti mai più. «Quando si è tolto gli occhiali, mi ha guardato dritto in faccia e con la voce sottile mi ha detto che non avrebbe più accettato un problema del genere mi son sentito morire, mai provato una cosa simile in vita mia» dirà il tecnico bergamasco dopo quell’esperienza. Verrà accontentato. Eppure Michele ha finito al secondo posto, mica si è ritirato, ma ha perso la vittoria a scapito di Alain Prost. In Portogallo, seconda gara della stagione, Michele finisce ancora secondo, Prost si ritira e Senna vince la prima gara della carriera. Alboreto è in testa alla classifica del mondiale piloti. A Imola ci sarà il ritiro, a Montecarlo ancora un secondo posto ma in Canada, sulla pista dedicata a Gilles Villeneuve, arriva la prima vittoria dell’anno. E pensare che la vigilia era stata segnata da uno scontro con un giornalista italiano, finito a spintoni e sberle sul muretto dei box. Tutto per un articolo, “gli evasori del rischio” relativo alla corsa monegasca.

Una serie di turbine difettose e quello che sembrava un titolo a portata di mano svanisce coi piazzamenti di Prost mentre per Alboreto ci sarà una serie di ritiri consecutivi

 

La vecchia abitudine di leggere sempre i settimanali specializzati, presa da ragazzino, non aveva abbandonato Alboreto che se aveva qualcosa da dire, non delegava ad altri l’incombenza. E per questo una parte della stampa italiana cominciò a guardarlo con occhio diverso e a mettergli i bastoni fra le ruote. E Alboreto, per tutta risposta, insieme ad Enzo Ferrari, cominciò a fare la cernita di tutti, chi lavora per chi e per come e quanto prende: «Meglio essere informati – diceva – a volte certi articoli sono il frutto di una reazione secondaria, per cui prevenire meglio che curare…». Ma Michele in pista è scatenato: altro podio in USA Est, un ritiro in Francia, ma al Nurburgring c’è la corsa capolavoro dell’anno: pole position, vittoria con infilata a Keke Rosberg da manuale alla curva che immette sul traguardo. È l’ultima vittoria di Alboreto in F.1, la quinta della carriera, ma all’epoca la corsa verso il mondiale sembra inarrestabile. Invece arriva il tracollo. Una serie di turbine difettose e quello che sembrava un titolo a portata di mano svanisce coi piazzamenti di Prost mentre per Alboreto ci sarà una serie di ritiri consecutivi. Gli ultimi due mesi della stagione 85 hanno stravolto le aspettative. Michele finisce al secondo posto, ma non si perde d’animo.

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Una volta abbandonata la Ferrari, la carriera di Alboreto prende una piega calante, a causa di mezzi meccanici non propriamente felici

 

Invece l’anno seguente sarà peggio. «Dobbiamo ad Alboreto un mondiale – dice ancora oggi l’ingegner Forghieri – glielo dovevamo perché la colpa era nostra». La macchina nell’86 non è competitiva contro le Williams e le McLaren, Johansson non dà quell’aiuto che serve al team e la stagione finisce senza grossi spunti. Anzi, a Monza si rischia la polemica quando Michele si presenta con una spalla malandata. Ufficialmente per una caduta sotto la doccia, secondo altri per una caduta col motocross. Michele sfugge alla polemica, ma tanto ormai non cambia molto. Nell’87 arriva Berger e il rapporto fra i due è molto buono. L’austriaco ha in Michele il maestro, gli copia gli assetti, il modo di lavorare, cerca di batterlo in pista e ci riesce. Ma la Ferrari sta cambiando volto, il Drake comincia ad accusare il peso degli anni, la gestione della squadra passa di mano, la stella di Michele comincia ad offuscarsi all’interno del team. Quando poi Berger vince le ultime due corse della stagione '87 Alboreto ha capito che il 1988 sarà il suo ultimo anno al volante della Ferrari.

A Monza ci sarebbe la grande occasione, ma davanti c’è Berger, che vince la corsa di casa di Michele

 

Nel 1988 la Formula 1 assiste al trittico McLaren Honda Ayrton Senna Alain Prost, capace di vincere a mani basse 15 delle 16 corse in programma. Solo una nota dolente, a Monza: lì ci sarebbe la grande occasione, ma davanti c’è Berger, che vince la corsa di casa di Michele, il quale sale ancora sul podio e conclude così davanti al suo pubblico la carriera da pilota della Ferrari. Il Commendatore non c’è più dal 15 agosto. Fosse stato per lui avrebbe dato un ordine di scuderia: lasciar passare Michele per farlo vincere davanti al suo pubblico. Se lo sarebbe meritato per tutti gli anni trascorsi al volante del mito, rifiutando offerte allettanti che lo avrebbero reso campione del mondo. Invece no: dai box arriva l’ordine perentorio di rallentare per problemi di consumi, Michele ubbidisce poi a fine gara si scopre che Berger aveva sì e no un litro di benzina, Alboreto ne aveva 11 e poteva vincere a mani basse. Qualcuno non volle.

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Nei prototipi, Alboreto vive una seconda giovinezza, sino al tragico 25 aprile del 2001

 

Michele capisce, rifiuta offerte di team stranieri che lo avrebbero fatto diventare campione del mondo. Ma non con una Ferrari. Dopo la rossa per Alboreto ci furono solo delusioni, specialmente con la Footwork Porsche dopo l’avventura con la Lola Larrousse nell’89. Anche qui podio, rimonta, poi contrasti con sponsor del tabacco e ancora a piedi… Nel 1993 ci fu ancora l’incontro con la Ferrari, ma stavolta con la Lola della Scuderia Italia che usava i motori della squadra italiana. Un anno difficile, un vero disastro, per concludere l’avventura in F.1 al volante della Minardi, la squadra che lo aveva lanciato in F.2 e con la quale aveva vinto una gara a Misano. In F.1 la squadra faentina non è il massimo, ma Alboreto mostra ancora la sua classe arrivando sesto nel GP di Montecarlo del 1994, ultimo punto conquistato nel mondiale ma che nell’ottica dei mezzi a disposizione e della pista, per Michele Alboreto e i ragazzi della Scuderia Salvati era l’equivalente di una vittoria.

 

A fine anno Michele passa ai prototipi, vince anche a Le Mans, partecipa alle gare Indy, trova una nuova giovinezza al volante della Audi nella ALMS, la serie americana per i prototipi. Il 23 aprile del 2001 è a Monza a disputare una gara con le Lamborghini, due giorni dopo deve andare al Lausitzring, in Germania, per una sessione di test privati con la Audi R8. Saluta gli amici, prende appuntamenti: ha idee meravigliose per riportare un italiano su una Ferrari di F.1. «Ciao, ragazzi, ci vediamo venerdì». Sale in macchina, parte e saluta tutti. Due giorni dopo morirà in un incidente assurdo. Il suo progetto per un italiano in F.1 sulla Ferrari non lo vedrà mai realizzato.  Così come tutti gli altri, a partire dalla CSAI al pool di sponsor. Michele Alboreto, un pilota troppo intelligente per definirlo soltanto pilota da corsa. Michele era Michele. E Monza casa sua. Che qualcuno lo ricordi ai signori dell’autodromo.

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