Surer: «A spingere un pilota di F1 a correre nei Rally sono velocità e improvvisazione»

Surer: «A spingere un pilota di F1 a correre nei Rally sono velocità e improvvisazione»
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Paolo Ciccarone
Cosa spinge un pilota di Formula 1 o di MotoGP a lasciare la sicurezza delle piste per dedicarsi ai più pericolosi Rally? Ne abbiamo parlato con Marc Surer | <i>P. Ciccarone, Abu Dhabi</i>
1 novembre 2013

Finalmente Robert Kubica può tornare a sorridere, vincendo il titolo mondiale Rally WRC2 si è preso una parziale rivincita su quel drammatico incidente che nel 2011 gli stava per costare la vita. Per fortuna Robert si è ripreso, anche se porta i segni delle ferite ancora evidenti e che lo saranno per sempre.

Ferite ancora aperte. Ma non sono fisiche

Quelle che forse non si sono ancora richiuse sono le ferite dell’anima, quelle di una carriera di F.1 stroncata sul più bello con un contratto Ferrari già in tasca e pronto per essere onorato. E invece niente, lunghi mesi in ospedale, una carriera da inventarsi e poi i rally, gli incidenti a ripetizione e le nuove paure. Se poi ti guardi in giro nel paddock scopri che un altro pilota di F.1 è contagiato dai rally e dal rischio che questi rappresentano.

Kimi Raikkonen, dopo due anni di mondiale, è tornato, ma che dire di Valentino Rossi, un altro che coi Rally ci va a nozze? Insomma, i pistaioli che passano armi e bagagli alle corse su strada. Ma perché un pilota di F.1 deve decidere di prendersi dei rischi elevati rispetto a quelli dei circuiti del mondiale?

Nel Rally c’è varietà, non sai che ostacoli trovi, che tratto di strada devi affrontare, in breve chi sceglie i Rally lo fa perché ama la guida veloce e l’improvvisazione


Lo spiega un altro miracolato delle corse su strada, Marc Surer, uno che ha giocato la sua carriera di F.1 dopo un drammatico incidente nei rally in cui perse la vita il suo navigatore. Anche Surer come Kubica dovette lasciare il mondiale, stare lunghi mesi in ospedale e ricostruire parti del suo corpo completamente bruciato, sistemare le fratture alle gambe che oggi lo fanno camminare claudicante.

Marc, cosa scatta nella mente di un pilota?
«Scatta la passione per le corse, quelle vere, quelle da inventare. La F.1, specie ai miei tempi, era anche pericolosa, ma alla fine giravi sempre in tondo, sempre le stesse piste e sempre lo stesso scenario. Nel Rally, invece, c’è varietà, non sai che ostacoli trovi, che tratto di strada devi affrontare, in breve chi sceglie i Rally lo fa perché ama la guida veloce e l’improvvisazione. Il rischio è più elevato e sta alla tua sensibilità e bravura evitarlo o ridurlo».

Capisco che piloti come Kubica o Raikkonen nei Rally si siano esaltati, ma se hanno avuto gravi incidenti, come accaduto a me, è che a un certo punto sottovaluti il vero rischio, sai che puoi andare a sbattere, ma psicologicamente sei abituato dalla F.1 perché anche se sbagli, al 99 per cento non ti capita nulla


«Capisco che piloti come Kubica o Raikkonen nei Rally si siano esaltati, ma se hanno avuto gravi incidenti, come accaduto a me, è che a un certo punto sottovaluti il vero rischio, sai che puoi andare a sbattere, ma psicologicamente sei abituato dalla F.1 perché anche se sbagli, al 99 per cento non ti capita nulla. Quindi è un mix pericoloso fra voglia di corse vere e falso senso di sicurezza».


«Chi crede che una vettura turismo sia meno pericolosa di una monoposto si sbaglia, guardate i morti nelle gare di questa stagione, ma lo stare al coperto in mezzo alla gabbia metallica, ti fa pensare a tutto tranne che a farti male. Credo che Kubica o Raikkonen, che nei Rally hanno fatto incidenti gravi, molto più gravi di quanto non accadano agli specialisti, siano cascati in questo vortice».

Quindi uno come Valentino Rossi andrebbe bene al Tourist Trophy?
«In teoria sì, ma il rischio lì è troppo alto, ma anche lui abituato alla pista quando può affrontare le sfide stradali lo fa».

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