Tecnica e storia: le Formula 1 più potenti

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Le acquisizioni tecniche nell’era turbo sono state straordinarie
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
27 marzo 2017

Gli americani hanno un approccio molto lineare e pragmatico quando si tratta di tirare le somme al termine di un periodo nel corso del quale si sono verificati grandi avanzamenti tecnici o si son dovuti superare importanti problemi. Riportano i risultati in una sintesi che intitolano “lessons learned”. In pratica, compendiano così ciò che si è imparato. Magari a caro prezzo, scegliendo soluzioni sbagliate o imboccando strade che non hanno portato ai risultati sperati. Il know how acquisito in questo modo, sotto la spinta di esigenze sempre più pressanti e grazie a investimenti spesso imponenti non ha prezzo. E in molti casi c’è da dubitare che sarebbe stato possibile ottenerlo in altro modo.

Durante la cosiddetta “era turbo” in Formula Uno la corsa alle potenze è stata straordinaria. Nel giro di pochi mesi si è passati da circa 500 a più di 900 CV (in gara, perché in qualifica sono anche stati superati i 1000, e non di poco). L’incremento è stato ancora più impressionante in termini di potenza specifica. Dai circa 170 CV/litro dei migliori motori aspirati di 3000 cm3, con i turbo aventi metà di tale cilindrata nel giro di due-tre anni si è saliti a 600 (record tuttora insuperato). L’Alfetta dei primi anni Cinquanta era arrivata nella sua ultima evoluzione, con sovralimentazione volumetrica a doppio stadio, a 280 CV/litro.

Questo eccezionale incremento delle prestazioni è stato reso possibile, nei motori di Formula Uno degli anni Ottanta, dall’adozione del turbocompressore, con ricorso a pressioni di alimentazione sempre più alte. La cosa ha comportato però un forte aumento delle sollecitazioni sia meccaniche che termiche. Questo è stato più volte testimoniato in maniera spettacolare dai cedimenti che si sono verificati nell’era turbo durante le gare e le prove. In genere si parlava di rottura di “una turbina”, ma in diversi casi a cedere sono stati i pistoni (a causa della detonazione). Insomma, tutto era esasperato come mai in precedenza.

Per quanto riguarda le prestazioni, le diverse fonti forniscono valori spesso discordanti. È comunque possibile fare interessanti considerazioni. Nel periodo in esame tutto era spinto al limite e i motoristi si sono trovati ad affrontare difficoltà impensabili in precedenza. Le pressioni che agivano sui pistoni durante la fase utile del ciclo hanno raggiunto valori straordinari; a queste sollecitazioni meccaniche si sono aggiunti carichi termici mostruosi. Ogni centimetro quadrato delle pareti metalliche a contatto con i gas era attraversato nell’unità di tempo da una quantità di calore impressionante. Una chiara idea di questo viene fornita dalla potenza specifica areale: nei motori automobilistici di serie a ciclo Otto aspirati siamo dalle parti di 0,60 – 0,70 CV per centimetro quadrato di superficie dei pistoni. Questo valore nei motori sovralimentati di ultima generazione, sempre a ciclo Otto e destinati a vetture stradali, passa a 0,80 – 1,0 circa. Nei V 10 e V 8 di Formula Uno dei primi anni Duemila, che avevano potenze specifiche di 300 CV/litro (record, per i motori aspirati), si sono raggiunti valori dell’ordine di 1,20 CV/cm2. Bene, nell’era turbo si è arrivati a oltre 3,0 CV/cm2!

Come noto, nei motori a ciclo Otto quando la temperatura e la pressione durante la combustione superano certi valori, insorge la detonazione che, se intensa, è in grado di mettere rapidamente fuori uso un motore (per sfondamento del pistone). Il rischio che questo si verifichi aumenta al crescere della pressione di alimentazione. È per questo motivo che nei motori turbo i rapporti di compressione erano nettamente minori di quelli che venivano impiegati sui motori aspirati. Al diminuire del rapporto di compressione però peggiora il rendimento termico del motore e quindi aumentano i consumi. Nei motori in questione essi diventavano ancora più elevati se, per assicurare un vigoroso “raffreddamento interno”, si alimentava il motore con miscele molto ricche. Il problema delle sollecitazioni termiche interessava particolarmente i pistoni (aumentava al crescere del loro diametro e quindi la situazione era più critica per i motori BMW e Hart, che erano a quattro cilindri). Il raffreddamento con getti d’olio non era più sufficiente. Si è fatto allora ricorso a una soluzione già utilizzata nei motori dei veicoli industriali sovralimentati, praticando in ciascun pistone una canalizzazione anulare e facendo circolare al suo interno dell’olio. Siccome in questo caso i pistoni erano forgiati, non era possibile utilizzare un’anima in sale solubile per ottenerla (come si faceva per i pistoni ottenuti mediante fusione in conchiglia), ma è stato necessario realizzare una “corona” che veniva poi unita al corpo principale utilizzando la sofisticata e costosa tecnica della saldatura a fascio di elettroni.

Il regolamento, più volte modificato, ha condizionato pesantemente le scelte dei tecnici che talvolta hanno anche fatto ricorso ad autentiche “furbate”. Nel 1984 la massima quantità di carburante è stata limitata a 220 litri e subito c’è stato chi ha pensato che immettendo nei serbatoi benzina a una temperatura notevolmente inferiore a quella ambiente sarebbe stato possibile averne a disposizione una maggiore massa, a parità di volume. Per l’anno successivo questa pratica è stata vietata. Nel 1986 la massima quantità di carburante utilizzabile in gara è stata ridotta a 195 litri. Rimanendo nel settore delle benzine, è interessante segnalare un’altra importante astuzia dei tecnici. Il massimo numero di ottano Research ammesso era pari a 102. Come noto per la individuazione del potere antidetonante dei carburanti (ossia del numero di ottano) si utilizzano motori da laboratorio a compressione variabile, effettuando la prova in condizioni molto lontane da quelle che si hanno nei motori da competizione. Ha cominciato quindi ad essere impiegata una miscela di idrocarburi che effettivamente aveva 102 ottani quando testata in laboratorio ma che in gara (ossia in presenza di temperature, pressioni e tempi di combustione molto differenti) si comportava ben diversamente da quanto avrebbe fatto una comune benzina con identico numero di ottano. Sul finire dell’era turbo veniva impiegata da almeno un costruttore una miscela composta per l’84% da toluene e per il 16% da n-eptano. Il regolamento era soddisfatto e poiché i componenti erano entrambi idrocarburi si trattava di una benzina; con quella regolarmente in commercio però non aveva nulla a che vedere!

Le potenze in gara, che nel 1983 erano dell’ordine di 610 – 680 CV, con pressioni di alimentazione di 2,8 – 3,2 bar, due anni dopo erano salite a 780 – 820 CV (per i motori di punta), con pressioni attorno a 3,0 – 3,4 bar. Nel 1986 tali valori sono passati rispettivamente a 850 – 900 CV e 3,0 – 3,8 bar. Per la stagione successiva la massima pressione di alimentazione è stata limitata a 4,0 bar sia per le gare che per le prove e per il 1988, ultimo anno nel quale hanno corso i motori turbo di 1500 cm3, è stata ridotta a 2,5 bar (con una massima quantità di carburante per la gara di 150 litri).

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