Tecnica: i favolosi motori a otto cilindri F1 anni '50

Tecnica: i favolosi motori a otto cilindri F1 anni '50
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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
I primi tre mondiali della Formula Uno di 2500 cm3 sono stati vinti da motori con questo frazionamento ma architetture ben diverse
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
9 agosto 2016

Quando è stato annunciato il nuovo regolamento che dal 1954 in poi avrebbe limitato la cilindrata dei motori aspirati di Formula Uno a due litri e mezzo, i costruttori impegnati nel campionato hanno scelto strade differenti. La Maserati ha continuato a evolvere il suo sei cilindri in linea mentre la Ferrari ha estrapolato un nuovo quadricilindrico riprendendo lo schema che nel 1952 e nel 1953 aveva reso pressoché imbattibili le sue monoposto di 2000 cm3. Pure la BRM e la Vanwall hanno optato per questo frazionamento. Hanno invece deciso di realizzare nuovi motori a otto cilindri la Mercedes-Benz, la Lancia e la Coventry-Climax (con l’obiettivo non di costruire una vettura completa ma di fornire motori sciolti ai telaisti inglesi). Mentre la casa italiana e quella inglese hanno scelto una architettura a V, che oramai dominava incontrastata sulle auto di serie con questo frazionamento, quella tedesca è andata controcorrente, adottando uno schema costruttivo oramai abbandonato da tutti gli altri costruttori (con la sola eccezione della Bugatti di Formula Uno, che però è scesa in pista una volta soltanto, nel 1956).

La casa di Stoccarda ha realizzato un motore formidabile, nel quale soluzioni innovative si sposavano con schemi costruttivi nati molti anni prima e portati a un livello di sviluppo assolutamente straordinario. Ultimo rappresentante della architettura a otto cilindri in linea, era l’autentico canto del cigno dei motori di questo tipo, che in precedenza aveva a lungo dominato la scena.

Le Mercedes-Benz W 196 hanno dominato i campionati mondiali di Formula Uno nel 1954 e nel 1955. Nella foto è ben visibile la presa dinamica che porta l’aria al lungo polmone dal quale partono gli otto condotti di aspirazione
Le Mercedes-Benz W 196 hanno dominato i campionati mondiali di Formula Uno nel 1954 e nel 1955. Nella foto è ben visibile la presa dinamica che porta l’aria al lungo polmone dal quale partono gli otto condotti di aspirazione

Occorre comunque ricordare che nel 1939, per gareggiare nella categoria voiturettes, la Mercedes aveva realizzato un bellissimo 1500 con otto cilindri disposti a V di 90°. Stranamente, per la F1 di 2500 cm3 a questa architettura era stata preferita quella in linea, che costringeva a impiegare un albero a gomiti molto lungo. Per ridurre il rischio che questo componente potesse essere interessato da problemi legati alle vibrazioni torsionali, i tecnici tedeschi avevano collocato la presa di moto in posizione centrale, unitamente al comando della distribuzione(a ingranaggi) e degli accessori. L’albero a gomiti poggiava su ben dieci supporti di banco e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento; ciò consentiva di diminuire le perdite per attrito e riduceva l’assorbimento di potenza da parte della pompa di mandata del circuito di lubrificazione (a carter secco). L’albero era di tipo composito, il che permetteva l’impiego di bielle con testa in un sol pezzo. Per unire le varie parti che costituivano l’albero si faceva ricorso al sistema Hirth, con denti frontali e viti a passo differenziato. Una soluzione di straordinaria raffinatezza tecnica e dal costo elevatissimo.

Sezione trasversale del motore M 196 a otto cilindri in linea. Come si può notare, i condotti di aspirazione sono downdraft, la distribuzione è desmodromica e le valvole fortemente inclinate tra loro. I cuscinetti di banco e di biella sono a rotolamento
Sezione trasversale del motore M 196 a otto cilindri in linea. Come si può notare, i condotti di aspirazione sono downdraft, la distribuzione è desmodromica e le valvole fortemente inclinate tra loro. I cuscinetti di banco e di biella sono a rotolamento

Sul basamento in lega di alluminio erano installati due blocchi di quattro cilindri ciascuno, con testa integrale (ovvero fissa), realizzati in acciaio. Questo schema costruttivo risaliva addirittura agli anni Dieci, quando la Mercedes lo aveva impiegato soprattutto per i motori d’aviazione. Successivamente, la casa tedesca lo aveva utilizzato anche sui motori delle sue famose auto da corsa degli anni Trenta. I passaggi per il liquido di raffreddamento venivano ottenuti utilizzando un sottile lamierino di acciaio, che veniva accuratamente disposto attorno alle canne e alla testa per essere poi unito ad esse mediante saldatura. Non vi erano sedi delle valvole riportate e ciò consentiva di adottare valvole più grandi di quelle che si sarebbero potute impiegare con una testa di alluminio munita di anelli-sede.

La sezione longitudinale (parziale) del motore Mercedes consente di osservare la struttura di uno dei due blocchi testa-cilindri, realizzato in elementi di acciaio opportunamente uniti tra loro mediante saldatura. Non ci sono sedi delle valvole riportate
La sezione longitudinale (parziale) del motore Mercedes consente di osservare la struttura di uno dei due blocchi testa-cilindri, realizzato in elementi di acciaio opportunamente uniti tra loro mediante saldatura. Non ci sono sedi delle valvole riportate

Le due valvole di ogni cilindro erano inclinate tra loro di ben 88° e avevano un diametro di 50 mm alla aspirazione e di 43 mm allo scarico, misure impressionanti in relazione all’alesaggio. Pure questa scelta appare strana, se si pensa che negli anni Trenta le straordinarie “Frecce d’argento” della casa di Stoccarda impiegavano teste a quattro valvole.

Per poter raggiungere regimi di rotazione molto elevati e adottare leggi delle alzate spinte il progettista Hans Gassmann aveva ideato e sviluppato una efficiente distribuzione desmodromica, responsabile in larga misura, assieme alla iniezione diretta, delle eccellenti prestazioni di questo motore, che ha gareggiato nel 1954 e nel 1955 conquistando il titolo mondiale in entrambe le annate. L’alesaggio di 76 mm era abbinato a una corsa di 68,8 mm e la potenza erogata, al termine dell’evoluzione, è arrivata a circa 290 CV a un regime di 8500 giri/min. Questo è stato l’ultimo motore a otto cilindri in linea a vincere un titolo mondiale.

Molto avanzato per la sua epoca era il V8 realizzato dalla Lancia per la sua D50 di Formula Uno. Disegnato da Ettore Zaccone Mina con la supervisione di Vittorio Jano, responsabile del progetto della intera vettura, ha esordito alla fine del 1954 e ha iniziato la stagione successiva in maniera promettente. L’avventura della casa torinese nel mondiale si è però interrotta prematuramente a causa della scomparsa del pilota di punta, Alberto Ascari. Passato tutto il materiale del reparto corse della casa torinese alla Ferrari, questo motore ha potuto essere ulteriormente sviluppato, consentendo a Manuel Fangio la conquista del titolo iridato nel 1956.

Il motore a otto cilindri della Lancia D50 di Formula Uno aveva una architettura a V di 90°. In questa sezione sono ben visibili le punterie a piattello “tipo Jano” e le quattro viti impiegate per fissare ciascun cappello di banco
Il motore a otto cilindri della Lancia D50 di Formula Uno aveva una architettura a V di 90°. In questa sezione sono ben visibili le punterie a piattello “tipo Jano” e le quattro viti impiegate per fissare ciascun cappello di banco

Si trattava di una realizzazione moderna e razionale, con distribuzione bialbero comandata mediante catene a rulli; le due valvole di ogni cilindro erano inclinate tra loro di 74° e venivano richiamate da molle a elica (il progetto originale prevedeva un angolo di 80° e molle a spillo, ma era stato modificato dopo le prime prove). Gli eccentrici agivano su punterie a piattello direttamente vincolate alla estremità degli steli delle valvole. Il basamento, in lega di alluminio come le teste, era dotato di due bancate di cilindri nelle quali erano inserite canne in ghisa riportate in umido. L’albero a gomiti lavorava interamente su bronzine e poggiava su cinque supporti di banco che avevano il cappello fissato per mezzo di quattro viti. La versione di questo motore che ha corso nel 1954 e nel 1955 aveva un alesaggio di 73,8 mm e una corsa di 73,1 mm. La potenza era di circa 250 CV a 7700 giri/min. Nel 1956 lo sviluppo ha consentito di superare i 260 cavalli e ha portato alla adozione di nuove misure caratteristiche.

In questa sezione longitudinale del V8 Lancia si può notare come i quattro perni di manovella siano disposti su due piani a 90° tra loro. Il comando della distribuzione è affidato a due catene a rulli duplex collocate anteriormente
In questa sezione longitudinale del V8 Lancia si può notare come i quattro perni di manovella siano disposti su due piani a 90° tra loro. Il comando della distribuzione è affidato a due catene a rulli duplex collocate anteriormente

Nello stesso periodo nel quale a Torino nasceva il V8 della Lancia, in Inghilterra la Coventry Climax stava lavorando alla progettazione del suo primo motore nato specificamente per impiego agonistico e non derivato da un modello preesistente. Come Jano, i tecnici Harry Mundy e Walter Hassan hanno scelto di realizzare un otto cilindri con una architettura a V di 90°, che assicurava una grande compattezza e una ottima equilibratura (con i perni di manovella disposti su due piani a 90°, come all’epoca era usuale anche per i V8 da competizione e non solo quelli di serie). Il risultato finale è stato un motore molto simile a quello della Lancia D50. Pure in questo caso veniva impiegato un basamento in lega di alluminio, con canne cilindri riportate in umido e dotate di un bordino di appoggio superiore. La distribuzione era bialbero con due valvole per cilindro inclinate tra loro di 66°. Per richiamarle inizialmente erano state adottate molle a spillo ma poi si era passati a quelle a elica cilindrica. I due alberi a camme di ogni testa, che agivano su punterie a bicchiere, venivano comandati da una cascata di ingranaggi.

Il V8 FPE della Coventry Climax non ha potuto scendere in pista a causa della mutata politica dell’azienda. Aveva la distribuzione bialbero con angolo tra le valvole di 66° e canne dei cilindri riportate in umido. Per il fissaggio di ciascun cappello di banco, oltre alle due viti principali, se ne impiegavano due trasversali, che lo vincolavano alle pareti laterali del basamento
Il V8 FPE della Coventry Climax non ha potuto scendere in pista a causa della mutata politica dell’azienda. Aveva la distribuzione bialbero con angolo tra le valvole di 66° e canne dei cilindri riportate in umido. Per il fissaggio di ciascun cappello di banco, oltre alle due viti principali, se ne impiegavano due trasversali, che lo vincolavano alle pareti laterali del basamento

Questo motore, che aveva un alesaggio di 76,2 mm e una corsa di 68 mm, era contraddistinto dalla sigla FPE ma era più conosciuto come Godiva. Le prove sono iniziate nel 1954 ma sono procedute a rilento. Alla fine, nella seconda metà del 1956, è stata ottenuta una potenza di circa 260 CV a 7900 giri/min. In seguito però la direzione dell’azienda ha deciso di puntare sul più semplice quadricilindrico FPF, per il quale c’erano prospettive di mercato assai più ampie, e il bellissimo FPE è finito nel dimenticatoio.

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