Filosofia della tecnica. Il ritorno dello Space Shuttle

Filosofia della tecnica. Il ritorno dello Space Shuttle
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  • di Carlo Sidoli
Voci solitamente bene informate riferiscono che tra i vari esperimenti ci sia quello di una “trazione elettrica” molto raffinata, per usare un gergo di tipo automobilistico, cioè una spinta ad effetto Hall
  • di Carlo Sidoli
23 febbraio 2017

Ci lasciamo alle spalle il cinquantenario del disastro dell’ “Apollo 1”, primo veicolo del programma di allunaggio, in cui morirono soffocati e carbonizzati tre astronauti americani durante un’esercitazione a terra, prima del lancio, che non ebbe mai luogo. Fatalmente, proprio nello stesso periodo dell’anno, distanziati di circa un ventennio uno dall’altro, accaddero le disgrazie che colpirono due veicoli del programma “Space Shuttle”: il “Challenger” in fase di partenza e il “Columbia” in fase di rientro, con la perdita di due equipaggi, ciascuno composto di sette persone. Quattordici morti, tra cui quattro donne, a funestare il pur utile e prestigioso programma delle “navette spaziali”, concluso con lo shuttle “Atlantis” nel luglio del 2011 per motivi di ordine economico (500 milioni di dollari al lancio), dopo 135 missioni.

Un arco di storia importante che va dalla “guerra fredda” quando la competizione tra “superpotenze” si trasferì fortunatamente nello spazio, passando per la conquista della Luna, per approdare a quella sorta di comunione d’intenti che caratterizza l’attuale fase dell’esplorazione spaziale. Oggi la maggior parte delle nazioni che hanno interesse anche solo alla collocazione di satelliti nelle cosiddette “orbite basse” (tra i 160 e i 2000 km di altezza) si scambia tra loro vettori (missili), basi di lancio ed equipaggiamenti come in un mercato dove la convenienza economica è il criterio fondamentale per le scelte. Sbaglieremmo a pensare che quell’idea di un veicolo spaziale in grado partire come un razzo e di rientrare e atterrare come un aliante per poi essere riutilizzato (che motivò il programma “Space Shuttle”) abbia cessato di interessare gli addetti ai lavori.

Voci solitamente bene informate riferiscono che tra i vari esperimenti ci sia quello di una “trazione elettrica” molto raffinata, per usare un gergo di tipo automobilistico

Al Centro Kennedy in Florida, tutto è pronto per l’atterraggio dello shuttle “X-37 B” che è in orbita dal 20 maggio 2015, senza equipaggio, per una missione militare coperta da segreto. Precisiamo che la portavoce delle Forze Aeree USA, capitano Anmarie Annicelli, non ha confermato ufficialmente l’imminente conclusione della quasi biennale avventura. Peraltro è già la quarta missione di questo tipo di veicolo spaziale, che esiste il almeno due esemplari e la penultima è durata ben 674 giorni; la prima ebbe luogo nel 2010. Come dire che un anno prima che Atlantis, Enterprise, Endevour, e Discovery andassero in pensione una loro copia in scala ridotta (1:2) e senza equipaggio, lo X-37 B, fu sparata in orbita sulla punta di un missile Atlas V senza troppa pubblicità, anzi nel massimo segreto. Naturalmente non è dato di sapere cosa combini oggi lo X-37 B, che ufficialmente è un veicolo sperimentale, come tutti quelli contrassegnati da una “X”: qualcuno ricorderà l’aereo “X-1” che nel 1947 superò per primo il muro del suono (oltre 1000 km/h) ai comandi di Charles “Chuck” Yeager.

Voci solitamente bene informate riferiscono che tra i vari esperimenti ci sia quello di una “trazione elettrica” molto raffinata, per usare un gergo di tipo automobilistico. Ufficialmente si dice “Hall Thruster Electric Propulsion” cioè una spinta ad effetto Hall, che fa muovere la navicella orbitante senza bisogno del normale propellente chimico. In pratica, quest’ultimo, pesante e inquinante, ma in grado di dare spinte enormi, non serve per le correzioni di rotta nello spazio, dove non ci sono grandi resistenze da vincere, come quella dell’atmosfera terrestre.

Ad essere accelerato e spinto fuori dal motore è un gas (attualmente lo Xeno) i cui ioni sono mossi da un campo elettrico. La tecnica è nota da tempo, ma ora il grado di efficienza ha raggiunto livelli molto interessanti soprattutto se si considera che l’energia elettrica può essere ricavata da quella solare, coi “soliti” pannelli.

Diciamo pure che sono le premesse per arrivare su Marte con un equipaggio umano. Intanto, volando basso (è il caso), allo X-37 B potrebbe seguire uno X-37 C con equipaggio per raggiungere e lasciare la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) ripristinando in pratica l’attività dei “vecchi” Space Shuttle. Senza contare che ci sono altre Società, non collegate ad attività militari, che sono in fase di realizzazione di navette “recuperabili” con equipaggio composto eventualmente anche da “turisti dello spazio”: i soliti milionari stravaganti e coraggiosi che hanno già prenotato l’avventura pagando profumatamente, il che rende ancor più redditizia questa attività in pieno sviluppo.

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