L'evoluzione della ruota: dal carro, all'automobile fino alla bicicletta

L'evoluzione della ruota: dal carro, all'automobile fino alla bicicletta
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La ruota, elemento apparentemente semplice, è stata protagonista di una storia avvincente e di un'evoluzione inarrestabile | <i>C. Sidoli</i>
9 aprile 2015

Quelle rozze e massicce ruote in legno visibili nelle sculture dei popoli della Mesopotamia già nel quinto millennio avanti Cristo si sono evolute, nel corso dei secoli, con lo scopo di essere sempre più leggere, efficienti, resistenti e confortevoli. In altri termini, considerando che quelle più antiche erano certamente assai robuste, ogni passo successivo ha risposto alla domanda: si possono ideare ruote che, in aggiunta, permettano di andare più veloci, pesino di meno, assorbano meglio gli urti contro le pietre e durino a lungo?

La storia della ruota

I primi progressi avranno sicuramente riguardato la scelta del tipo di legno per ridurre lo spessore dei dischi per poi passare, ad esempio, all’assemblaggio di due semicerchi, e poi di più settori (una specie di ruota composita), facilitando in questo modo le riparazioni, il trasporto ed il reperimento del legno che non necessitava più di alberi col diametro del tronco pari o superiore a quello delle ruote. Ma, limitandoci alle preziose fonti archeologiche, non si può fare a meno di notare che con la diffusa introduzione del cavallo come “motore” già gli egizi realizzarono più di mille anni avanti Cristo eleganti ed efficienti carri da guerra biposto con due ruote a sei raggi guidati da un auriga con a fianco un arciere dardeggiante.

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Nell'antichità la ruota a raggi era già usata diffusamente

 

E’ bello constatare che l’elemento congiungente il centro con la circonfernza abbia conservato il nome di “raggio” mantenendo così il significato geometrico ben noto ad Archimede (quello, tra l’altro, del “Pi Greco”). Nella indimenticabile corsa delle bighe del film colossal “Ben Hur” i cocchieri cattivi miravano, con opportuni rostri, a segare i raggi degli altri concorrenti. Diciamo pure che la ruota è rimasta tale, pur tra mille piccoli miglioramenti, fino al secolo scorso quando l’utilizzo dei fili metallici come raggi ha ribaltato il concetto meccanico per cui il mozzo (al centro) non è più sostenuto dai raggi che si trovano nella parte inferiore della ruota bensì è appeso a quelli sottili che si trovano nella parte superiore. E’ evidente infatti che un filo metallico, anche se d’acciaio, non sostiene nulla perché è soggetto a piegarsi mentre se vi si appende una massa, esso può tenere sospesi carichi di quintali.

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Alcune moto, come le Harely-Davidson, utilizzano ancora oggi ruote a raggi

Arrivano i raggi: come funzionano

I raggi filiformi, approssimando, “non lavorano” quando si trovano in basso mentre sono sempre più impegnati quanto più si vengono a trovare nella zona culminante della ruota. La maggiore evidenza circa le nostre argomentazioni ci viene dal campo ciclistico e motociclistico; le ruote dei treni, per via delle enormi sollecitazioni, restano in ferro massiccio. Quelle delle automobili sono state prodotte inizialmente e quasi fino ai nostri giorni anche con i raggi, ma ragioni di costo e di praticità hanno reso praticamente universale la soluzione attuale con cerchi quasi monolitici, in ferro o in lega leggera, che possono alloggiare i pneumatici senza camera d’aria. Alcune belle architetture di cerchi in lega hanno dei raggi, ma con funzione estetica. Le biciclette da strada, nella loro quasi totalità, hanno ruote a raggi fatti con fili d’acciaio; solo quelle specializzate, da competizione, sono equipaggiate talvolta con ruote monolitiche con tre o quattro raggi robusti.

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Un esempio di ruota lenticolare in materiale composito


Ce ne sono anche di quelle con ruote “piene” (dette lenticolari) in materiale composito leggerissimo, le più famose delle quali sono quelle utilizzate da Francesco Moser per i record mondiali e per le gare a cronometro. E’ evidente che in questi casi i motivi di impiego sono esclusivamente in funzione della penetrazione aerodinamica giacché viene a mancare la resistenza che i raggi “classici” creano attraversando l’aria, inoltre il fondo è liscio e pianeggiante; le bici da record hanno una forma inutilizzabile su strada anche se si trattasse di corse a tappe per professionisti, perché costringono il corpo ad una posizione “impossibile” che solo i grandi campioni sanno sopportare, ma per un periodo che non superi l’ora; se poi ci fosse del vento laterale sostenuto, con le ruote lenticolari ci si troverebbe a mal partito.

 

Carlo Sidoli

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