Nuovo Museo Ferruccio Lamborghini, da Ferrara a Bologna per crescere e comunicare

Nuovo Museo Ferruccio Lamborghini, da Ferrara a Bologna per crescere e comunicare
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Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
La struttura voluta da Tonino Lamborghini passa da Ferrara ad Argelato (BO) e si amplia per mostrare tutti gli ambiti in cui l’indimenticato Ferruccio ha dimostrato il suo genio
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
13 giugno 2014

Non c’è una grande rivalità fra Bologna e Ferrara, perlomeno non di quelle storiche o sportive che colorano il vernacolo delle due città. Ma sembrava comunque poco appropriato che il Museo Ferruccio Lamborghini, una struttura fortemente voluta e realizzata dal figlio Tonino, dovesse stare fuori provincia, in una piccola sede a Dosso (FE) dove le sue potenzialità erano tutto sommato un po’ limitate.

Molto meglio riutilizzare una struttura del Gruppo, originariamente destinata alla produzione di componenti oleodinamiche ed abbandonata a seguito della delocalizzazione seguita alla crisi, anche perché così facendo si sono ottenuti due risultati: portare il museo nella provincia “di competenza”, ma anche ridare vita ad un edificio di grande prestigio architetturale e valorizzare un territorio che, specie di questi tempi, sicuramente beneficerà dell’attrattiva di un Museo che raccoglie tutta la produzione industriale di Ferruccio: dalla sua Miura SV personale all’avveniristica Countach fino al misconosciuto offshore di Classe1 spinto da motori Lamborghini, ad un prototipo di elicottero, tanti trattori e una raccolta fotografica da lasciare a bocca aperta fino ad arrivare alla ricostruzione dell’ufficio in cui Ferruccio ha lavorato per tutta la sua carriera.

A fare gli onori di casa lo stesso Tonino Lamborghini, figlio del fondatore Ferruccio nonché ideatore del museo, e Fabio Lamborghini, il suo curatore, intervistati dal decano della professione giornalistica auto Carlo Cavicchi.

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Tonino Lamborghini girò per svariato tempo sotto falso nome nelle campagne allo scopo di raccogliere i trattori che costruì suo padre in modo da portarli nel museo

 

Dopo i saluti di rito, si passa a parlare del Museo, partendo dalle motivazioni per cui è nato.
«Le ragioni sono molteplici, ma iniziamo con il dire che un museo esisteva già – più piccolo, una chicca di grande bellezza – ma trovandomi con questo stabilimento, in cui ho passato 45 anni della mia vita, libero per varie vicissitudini abbiamo pensato di non abbandonarlo ad un inevitabile degrado e allo stesso tempo dare un impulso al territorio. Spostare il piccolo museo di Dosso – 1400 metri quadri – ed avvicinarlo alla città, all’uscita dell’autostrada».

«Forse ero predestinato a far nascere questo museo. Fin da ragazzino ho iniziato a collezionare cose che oggi troviamo esposte al museo, per quale ragione solo Dio lo sa – ho cominciato con gli adesivi, che allora si chiamavano decalcomanie, delle varie sigle appiccicate sui trattori; insomma, cose che non necessariamente trasmettevano emozione. Poi mi sono messo a girare per campagne, sotto falso nome, a cercare i trattori che aveva fatto mio padre, spesso abbandonati sotto qualche fienile. Piano piano ho iniziato a trovarne uno dopo l’altro – segno del destino, in ordine cronologico – alcuni dei quali prodotti in due, tre esemplari. Li abbiamo risistemati (sono tutti funzionanti), riverniciati, e un bel giorno feci vedere questa collezione a mio padre, che invece di apprezzare mi disse che avrei dovuto pensare a lavorare, non a queste cose vecchie. Un po’ imbarazzato ne accesi uno, e vidi gli occhi azzurri di mio padre velarsi dalla commozione. Allora mi disse: Beh, avevo la tua età e neanche un soldo in tasca. Va avanti così».

«E’ il caso di aggiungere che la motivazione principale viene dalla scomparsa di Ferruccio» fa eco Fabio Lamborghini, «motivo che ha spinto Tonino a decidere di celebrare il padre con il museo nato a Dosso. Cercheremo di valorizzare questo nuovo museo, più impegnativo del vecchio perché ovviamente più ampio, come abbiamo fatto con quello precedente. Sarà una soddisfazione, non certo una responsabilità che ci spaventi».

Le scolaresche sono le benvenute e verranno naturalmente accolte a braccia aperte, e mi piacerà parlargli prima di tutto dei trattori. Poi, se resta tempo, tratteremo le automobili


La struttura architettonica è molto particolare. Merito di uno studio molto preciso, come racconta orgogliosamente Tonino.
«Questa struttura, del 1960, come tutte le aziende Lamborghini, è stata pensata dall’Ingegner Venturi, che ha sempre disegnato strutture più belle – guardate la facciata di questa – dei semplici capannoni che andavano per la maggiore all’epoca. Io l’ho ripresa in mano, mi ci sono messo anima e corpo per un anno e grazie all’aiuto di grandi collaboratori, che hanno interpretato alla perfezione le mie direttive, abbiamo ottenuto questo risultato».

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La Miura rappresenta uno dei modelli a cui Ferruccio Lamborghini era più legato insieme al trattore Carioca

 

Fin troppo facile chiedere se c’è un modello a cui Tonino è più affezionato che ad altri.
«Intanto, non stupitevi se visitando il museo troverete cose apparentemente scollegate dalla produzione Lamborghini. Sono stato un po’ criticato per questa scelta, ma troverete automobili come la Topolino, che era la macchina di casa, o una Lambretta, una Vespa – icone del periodo storico che ho voluto mettere a confronto con le produzioni Lamborghini dello stesso periodo. Vedrete anche una Mustang, che era la Ferrari, o la Lamborghini, americana del 1963, quando mio padre iniziò a produrre automobili. E vedrete anche un’enorme raccolta fotografica, dedicata a tutte le persone che hanno lavorato, sudato, sofferto e gioito con la famiglia Lamborghini. Persone a cui è dedicata questa mostra».

«Ma tornando alla domanda iniziale, i modelli sono due – è inevitabile. Il primo è senza dubbio quel Carioca, fatto partendo dai materiali bellici lasciati qui dagli Americani, con cui è iniziata la produzione Lamborghini, e con cui mio padre ha aiutato diversi agricoltori dell’epoca, vendendolo a credito in attesa che il suo trattore ne aumentasse le capacità produttive e gli permettesse di saldare. Il secondo modello è sicuramente la Miura, il modello più amato da mio padre, quello che ha reso famoso il marchio Lamborghini in campo automobilistico e che ha stravolto per tanti versi la meccanica automobilistica tanto da fare parlare molti di periodo pre- e post-Miura. E che fece dire ad Enzo Ferrari, in dialetto modenese, “oh, però, quello lì mi fa un po’ paura”, riferendosi naturalmente a mio padre».

La storia di Ferruccio Lamborghini è importantissima per i giovani perché è la storia del figlio di un agricoltore che attraverso lo studio, il lavoro, il sacrificio e la grande passione arriva a realizzare dei sogni. Credo che questo sia il grande messaggio, il più importante di tutti, che possiamo trasmettere ai giovani


E se ci fosse ancora Ferruccio? Sarebbe più attaccato alla Miura o al Carioca?
«Credo che metterebbe un piede su una e uno sull’altro, perché l’uno gli diede i mezzi per realizzare l’altra»

Il museo sarà aperto soprattutto ai giovani, con particolare attenzione per gli studenti e le scolaresche.
«Le scolaresche sono le benvenute e verranno naturalmente accolte a braccia aperte, e mi piacerà parlargli prima di tutto dei trattori. Poi, se resta tempo, tratteremo le automobili» spiega Tonino. «Il motivo è semplice: spesso mi accorgo che, parlando di automobili, il visitatore ne sa quanto o più di me, mentre è raro trovare visitatori che capiscano davvero quale sia stata la portata del cambiamento derivante dal trattore nel dopoguerra, e che rivoluzione abbia portato mio padre nel settore con modelli potenti, economici e capaci di cambiare la vita degli agricoltori dell’epoca».

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Il Museo Ferruccio Lamborghini racconta la storia dell'uomo e l'origine del mito

 

In qualità di curatore, naturalmente interviene il cugino Fabio, che offre ottime ragioni per visitare il museo.
«La storia di Ferruccio Lamborghini è importantissima per i giovani perché è la storia del figlio di un agricoltore che attraverso lo studio, il lavoro, il sacrificio e la grande passione arriva a realizzare dei sogni. Credo che questo sia il grande messaggio, il più importante di tutti, che possiamo trasmettere ai giovani. Del resto siamo alle porte di Bologna la Dotta, e qui facciamo prima di tutto cultura: le nostre visite sono sempre guidate proprio per questo motivo. Credo che la città saprà cogliere l’opportunità di avere questa eccellenza vicinissima, che ne siano orgogliosi e mi aspetto molto da loro in termini di valorizzazione – non economica, intendiamoci, ma solo promozionale, attraverso le sue infrastrutture di supporto al turismo – del museo».

Infine, parliamo di quello che manca. Perché il museo è una cosa viva, in divenire. Cosa vorrebbe aggiungere Tonino a quel tanto che c’è già?
«Direi che sia quasi completo, ma quello che mi farebbe tanto, tanto piacere sarebbe trovare altre fotografie di persone che hanno lavorato con noi!».

Il messaggio è per noi della stampa: chiunque abbia fotografie che vuole prestare, donare o comunque far avere al Museo Ferruccio Lamborghini lo faccia. Perché, come ha già detto Tonino, il Museo diventi sempre di più un tributo non solo al fondatore, ma a tutte le persone che hanno lavorato e contribuito a far diventare il nome Lamborghini quello che oggi è in tutto il mondo.

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