OiLibya Rally Marocco. Ufficiali e gentiluomini.

OiLibya Rally Marocco. Ufficiali e gentiluomini.
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Fuoriclasse e amatori, Ufficiali e “privati”. Il Rally-Raid si sforza ancora di mettere tutti sullo stesso piano. Oltre la passione in comune, è chiaro però che le opportunità non sono le stesse per tutti | <i>P. Batini</i>
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
8 ottobre 2014

Zagora, 7 Ottobre - La “strana” figura del Principe Nasser Al-Attyah del Qatar. È un pilota con i fiocchi, da quando è arrivato ha imposto la classe e la velocità del pilota nato tra le dune del suo Paese, si è guadagnato la stima e la fiducia di marche, piloti e Team, è benvoluto e ammirato. È il… re delle gare del suo deserto, è cinque volte olimpionico di skeet, e ha vinto la Dakar. Era solo un’introduzione, l’argomento è più ampio.

Pilota ufficiale, che sogno!

Quando Giacomo Agostini era come il figlio del Conte Agusta, o Pasolini l’emblema della “rivincita”, quasi sociale, e entrambi potevano contare sul supporto totale della loro Marca e della squadra di cui erano il centro assoluto, tutti sognavano di diventare piloti ufficiali. Più ancora di mettere a fuoco l’eccellenza e il talento, nell’immaginario il mito dell’ufficiale era qualcosa che scavalcava le ambizioni concrete per rappresentare una condizione più che privilegiata, ideale.

Ma un altro aspetto, mai rilevato con sufficiente chiarezza, è che l’”ufficialità” ha un costo elevatissimo, e che l’ideale del mecenate miliardario che non bada a spese per il suo pupillo trova ben pochi riscontri nella realtà, e tanto meno oggi. Oggi, nella realizzazione di un’impresa, sportiva come imprenditoriale, entrano in gioco molte figure, dalla marca agli sponsor, dalle sinergie ai CDA. Oggi, spesso, dire che il tale pilota è ufficiale della tale marca non presuppone automaticamente un legame diretto, e tanto meno è diretto il rapporto tra il “capo” dell’azienda e l”uomo” cui va il compito di rappresentarla nelle imprese agonistiche. Il Rally-Raid non è, sotto questo aspetto, un mondo diverso dagli altri.

rally marocco 2014 (9)
Fare il pilota ufficiale è un sogno, ma non tutto funziona come si immaginerebbe

 

Marc Coma è pilota ufficiale KTM, ma solo in tempi recenti il suo rapporto è così diretto con la fabbrica austriaca, e gran parte dei successi il fuoriclasse spagnolo li ha ottenuti come pilota ufficiale di… un team privato che poteva contare sul privilegio di utilizzare materiale ufficiale della Casa, ma a pagamento. E gente di valore come Francisco “Chaleco” Lopez, e così i Polacchi, che godono del materiale ufficiale, portano le insegne ufficiali della moto immerse nei colori dei loro sponsor personali, che sono quelli che pagano gran parte del conto. Finisce che gli sponsor “detengono”, in certo qual modo, i “diritti” degli atleti, e questi ultimi si fregiano del titolo di “ufficiale” perché qualcun altro ha permesso di associarli in questa forma al marchio.

Legame di sangue

Le Mini All4 Racing non appartengono alla BMW, e solo casualmente il proprietario del Team X-raid è un rampollo della famiglia che ha fondato la BMW. Cioè, il legame tra BMW e il logo sulle macchine che corrono alla Dakar è solo parziale, tecnico, di varia natura e, probabilmente, di qualche “spicciolo”. Non è diretto. A scalare, anche le posizioni dei piloti sono sostanzialmente diverse, anche a parità di “ufficialità”. Qualcuno è pagato, e altri, semplicemente, arrivano con la valigia e stendono il contante.

Le Honda del Team HRC, clamoroso rientro del marchio dopo 25 anni sulla scena dei Rally-Raid, sono decise, disegnate, costruite in Giappone, e il “Large Project Director”, Katsumi Yamazaki, è giapponese pure lui. Ma per il resto, le posizioni decisionali del Team si distribuiscono tra italiani, spagnoli, tedeschi. Sono piloti ufficiali i 5 dell’Ave Maria, Barreda, Gonçalves, Rodrigues, Israel e la Sanz che rappresentano quel marchio, ma i loro interlocutori sono per l’appunto tedeschi e iberici, anche se il contratto che firmano è su carta intestata a marchio Honda.

Non meno decentrata è la realtà Toyota, Giapponese nell’anima e nelle scelte. L’allestimento delle macchine, come a suo tempo per la Mitsubishi, viene effettuato in Europa. I team che rappresentano il marchio sono addirittura due di cui uno, quello per cui corre l’Asso Giniel De Villiers, in questo caso pilota ufficiale, ha la sua base “commerciale” in Sud Africa, e l’anima del progetto tecnico, Jean-Marc Fortin, è francese. Provate voi ad immaginare quanti dei piloti che corrono per il marchio hanno anche solo una volta volato in Giappone a visitare la fabbrica.

Le Mini All4 Racing non appartengono alla BMW, e solo casualmente il proprietario del Team X-raid è un rampollo della famiglia che ha fondato la BMW. Cioè, il legame tra BMW e il logo sulle macchine che corrono alla Dakar è solo parziale

Casi di ogni genere

Alain Duclos e Joan Pedrero, al contrario, trattano, decidono e condividono ogni scelta sportiva con il signor Marc Teissier, anima e “padrone” di Sherco. Il Team è piccolo, le ambizioni modeste, ma l’impegno non minore a nessun altro di anche maggiore caratura d’immagine. I piloti corrono per il marchio, e vengono scelti e pagati dal “padrone” di quel marchio.

IVECO corre e vince, e fornisce le basi tecniche per i camion della squadra della famiglia De Rooy. Jan l’ha fondata piantando nella sabbia del Sahara la bandiera della sua leggenda, suo figlio Gerard corre, e vince come il padre, sui camion IVECO i cui libretti di circolazione sono intestati all’azienda di famiglia. C’eravamo quasi. Il pilota, la macchina, la proprietà della squadra, ma la catena si rompe se si pensa che il peso del Gruppo Fiat, nell’operazione, è inferiore anche a quello dello Sponsor.

Anche nel caso di Botturi si poteva pensare di essere più vicini alla linea ideale del pilota ufficiale di un tempo. Ma non è così. Il Gigante di Lumezzane è chiamato a correre da ufficiale per Yamaha, ma la sua trasferta si ferma a Parigi. Logico, da sempre Rally-Raid e Yamaha passano per la filiale francese, e prima ancora per la direzione dell’indimenticabile Jean-Claude Olivier. Oggi la “filiera” non è dissimile, e alla figura del “patron” si è sostituita quella dell’AD.

I casi di oggi sono anche quelli della storia di ieri, e gli esempi non si contano. Solo ogni tanto un caso raro. E ogni tanto la sua trasposizione perfetta nel mondo di oggi. Vedi il caso di Peugeot. C’è ancora un marcato spirito di famiglia nella struttura e nello stile dalla Casa francese, ma la maggioranza proprietaria è del Gruppo PSA ed è chiaro che non è più una persona soltanto a decidere. Si definisce il programma, cinque anni, si allestisce il progetto, si disegna la macchina, la 2008 che abbiamo visto solo di straforo, la si costruisce alle porte di Parigi.

Si scelgono i piloti, tra i più forti del Mondo con un totale di 17 Dakar vinte, e questi vengono pagati profumatamente. E si aspetta che il marchio corra sulle sabbie dell’Argentina-Bolivia-Cile. La particolarità dello schema è che la marca ci mette tutto, anche la faccia, assumendo direttamente tutte le responsabilità.

La voce fuori dal coro

E poi chiudiamo. Con Nasser Al-Attiyah. Il caso particolare. Una delle particolarità della persona è che se la spassa, nel senso che ama questo Sport e lo fa con passione, sottoponendosi al sacrificio richiesto per eccellere, ma nessuno ne deve subire il peso. Anzi. Le persone che lavorano, corrono o dipendono dal principe possono godere prima di tutto del suo buonumore e della sua educata gentilezza. Nasser è uno che non deve sottostare alle imposizioni commerciali del team, eppure lo segue con il rigore del professionista, ne impone il valore della sua “liquidità”, con la quale il team potrebbe formarlo o comprarlo. È pilota ufficiale, oggi, perché è chiamato a guidare per la sua bravura. Probabilmente è anche pagato, e sicuramente non deve portare la valigia. Ecco, se l’eccezionalità è la persona, la particolarità è nel suo “assetto” privilegiato ma esemplare.

 

Immagini Antonio Ammiragli e Paola Picone, ApPhotosport

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