Quando i campioni danno i numeri

Quando i campioni danno i numeri
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  • di Carlo Sidoli
Valentino Rossi corre col numero “46” perché è il numero che usava suo padre quando correva in motocicletta e se date un’occhiata alla folla dei suoi tifosi vedrete una marea di “46” agitati da centinaia di mani
  • di Carlo Sidoli
1 dicembre 2016

Ci sono molti numeri che vengono associati immediatamente a cose, persone o fatti. Il “112”, ad esempio, è il numero telefonico di emergenza nazionale e vuol dire aiuto, soccorso; il “48” (con riferimento ai fatti rivoluzionari del 1848) è sinonimo di pandemonio, la “66” è una famosa strada americana; per non parlare di tutta quella serie di vetture che sono rimaste nella memoria. Non è necessario dire “sono proprietario di un’auto Porsche modello 911”; basta dire “ho una 911” (o una “128”, eccetera). Quando i numeri delle maglie dei calciatori erano “fissi” (1 per il portiere, 2 per il terzino destro e così via) non era necessario dire “l’ala destra”, bastava dire “il 7” e i tifosi capivano immediatamente. Negli sport motoristici i piloti scelgono il numero che li individuerà per tutta la carriera e il britannico Lewis Hamilton sta correndo col “44” perché gli è affezionato (numero di famiglia) pur avendo il diritto di usare l’”1” in quanto campione del mondo.

Valentino Rossi corre col numero “46” perché è il numero che usava suo padre quando correva in motocicletta e se date un’occhiata alla folla dei suoi tifosi vedrete una marea di “46” agitati da centinaia di mani.
Dal momento che molti campioni sono superstiziosi o comunque hanno il buon senso di impedire riferimenti spiacevoli, alcuni numeri sono abitualmente evitati, in particolare nel mondo occidentale il 13 e il 17. Le origini sono antichissime, tanto che esiste una parola di derivazione greca la “triscaidecafobia” che individua la paura ingiustificata per il numero 13 che in alcuni ambiti porta addirittura ad evitare la “fila numero 13” o il “numero civico 13”, ovviamente chiamati “12 bis” o in qualche altro modo. Eptacaidecafobia è la stessa cosa applicata al numero 17, odiato persino dai seguaci di Pitagora. Però non si può dire che cerchino di evitare il 13 quelli che giocano al totocalcio né gli abitanti del Tibet o della Cina, dove invece il 13 è un numero fortunato; là (come in Giappone e in Corea) è il 14 da evitare. Esistono anche fatti controversi che hanno a che fare col numero 13 e il più significativo è la “Missione Apollo 13”. L’avventura prese il via dalla “rampa 39” (3 volte 13) alle 13:13 dell’ora texana di Huston dove stava il Centro di Controllo e visse un’esperienza travagliata, senza poter allunare e rientrando con grande difficoltà. Sicché, dopo tutto, l’aver superato tante peripezie può essere visto positivamente; tanto è vero che dalla storia capitata ai tre astronauti americani Jim Lovell, Jack Swigert e Fred Haise fu tratto un film da premio Oscar e oggi si parla di Apollo 13 come di un “fallimento di successo”. Oltre ai numeri universalmente riconosciuti come negativi, ci sono quelli “individualmente” ritenuti negativi oppure ossessivi.

 

Dal momento che molti campioni sono superstiziosi o comunque hanno il buon senso di impedire riferimenti spiacevoli, alcuni numeri sono abitualmente evitati, in particolare nel mondo occidentale il 13 e il 17

E’ nota la mania del grande Nicola Tesla a proposito del numero 3 mentre altri, meno famosi, se la prendono con numeri che, a loro parere, hanno provocato loro disgrazie e dolori. Per tornare ai motociclisti, il “signor 93” (Marc Marquez, classe 1993) e i suoi tifosi potrebbero maturare una certa avversione per il numero 46 (Valentino Rossi). Il nostro fuoriclasse infatti sarebbe ricaduto nel vizietto di farsi largo a ginocchiate, stavolta nei confronti di una tifosa del rivale spagnolo. I giornali hanno parlato di “pedata” o anche di “spinta” ma ormai le telecamere inquadrano tutto e parrebbe che Vale sia “entrato duro” (usando il gergo calcistico) col ginocchio sinistro sulla coscia di una fan di Marc, per farsi largo tra la folla del paddock di Valencia con il suo scooter di servizio. La prima volta aveva scalciato in gara Marquez stesso (nel 2015 a Sepang); oggi tocca a una sua tifosa, il che sembra un’applicazione della “proprietà transitiva”.

Poi Vale si è scusato (scuse non accettate, segue causa in tribunale) spiegando che era nervoso; un po’ strano per il veterano delle gare di GP, che alla folla dovrebbe essere abituato: gli spagnoli la prenderanno come una sorta di “mania persecutoria”.
Un po’ come se Zinédine Zidane, il “10” storico e capitano della nazionale francese di calcio, andasse in giro a prendere a testate i tifosi italiani dopo averlo fatto con il nostro Marco Materazzi ai mondiali del 2006. Col loro gesto entrambi persero il titolo mondiale che avevano quasi in tasca: certi “numeri” portano davvero sfortuna.

 

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