Reinhard Klein: il più grande fotografo del Mondiale Rally

Reinhard Klein: il più grande fotografo del Mondiale Rally
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Il nostro inviato Manrico Martella ha intervistato Reinhard Klein, il più celebre fotografo nella storia dei rally
24 settembre 2015

Zaino in spalla e via con l’autostop da Colonia a Montecarlo. E' il 1975 e un giovane appassionato tedesco, di 21 anni, è già stanco di fotografare le gare nel circuito ad un tiro di schioppo da casa, il mitico Nurburgring. “Sai, nelle gare in circuito c’erano pochi cambiamenti un anno per l’altro; le curve erano sempre quelle e l’unica differenza erano i cartelloni pubblicitari che cambiavano  lungo il percorso”. Questo il pensiero del giovane Reinhard Klein! Decide, così, di fare nuove esperienze e di andare a vedere il suo primo Rally Mondiale; all’epoca cosa c’è di più affascinante in Europa se non il Rally di Montecarlo con  la sua “magica” notte sul Turini? Gli amici con cui organizza la trasferta all’ultimo si tirano indietro, ma lui non si scoraggia e con l’autostop, zaino in spalla, decide che lui sul Turini a tutti i costi deve esserci.


Nei rally la Lancia Stratos con la nuova livrea Alitalia è il mostro che calamita  l’attenzione di tutti gli appassionati, ha appena vinto al suo esordio l’anno prima il Campionato Mondiale Rally, battendo a sorpresa gli “odiati cugini” della Fiat. Ed è così che questo giovane fotografo scopre i rally ed è subito amore a prima vista; da quel momento sarà un crescendo. Già il secondo anno le gare sono 3, poi 5 e poi. Oggi sono già passati 40 anni dalla sua prima gara e nel frattempo l’agenzia è diventata Mc Klein, la più importante al mondo per il settore, con il più grande archivio storico in assoluto, con milioni e milioni d’immagini. Reinhard, quando non è in giro per il mondo a realizzare i suoi scatti, ritmicamente tutti i giorni continua imperterrito a scannerizzare il suo immenso archivio e in questa sua passione ha coinvolto sin da piccoli i suoi due figli: Sebastian, giornalista e scrittore che collabora con molti magazine del settore e cura anche i testi dei libri della McKelin, e Daniel che insieme al suo amico Alex Galitzki, nonché socio, si occupa del RallyWebShop: un sito che si occupa delle vendite dei libri, calendari, modellini etc etc. Il tutto con l’appoggio della moglie Ursula.


Nonostante ci si ritrovi da 40 anni sui campi di gara, sinceramente non avevo mai pensato di far una visita e Reinhard, forse perché siamo entrambi riservati o forse perché a Colonia raramente ci si capita. Invece, complice la stessa passione per l’automodellismo da rally (anche lui da giovane montava i suoi modelli) capita così che durante il rally di Germania ci si ritrovi insieme alla moglie a chiacchierare. Dato che la mia permanenza in zona si sarebbe prolungata di un’altra settimana, visto che il weekend successivo ero impegnato nel Mondiale Endurance al Nurburgring, è sorta spontanea la mia domanda: “Reinhard, ma ad inizio settimana se passo a trovarti hai una giornata libera?”  “Off course” è stata la sua risposta. Ed è così che dopo la conclusione del Deutschland Rally ho puntato il navigatore in direzione  Colonia.

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Reinhard Klein nel suo studio a Colonia

 

La McKlein è situata in un piccolo paesino sulle rive del Reno alle porte dell’antica città romana Colonia Claudia Ara Agrippinensium (La Colonia di Claudio e l’altare di Agrippina) o più semplicemente Colonia Agrippina; concludiamo questi brevi cenni storici aggiungendo che nell’80 fu costruito l’acquedotto Eiffel e per gli appassionati di rally questo è un nome abbastanza famoso, visto che da molti anni si svolge l’Eiffel Festival: la gara di Rally Storici più importante della categoria. Per la qualità delle vetture partecipanti e selezionate, sono solo 150 le auto che devono avere un vero pedigree e possibilmente nelle loro livree originali. Gli organizzatori ricevono ogni anno oltre 400 domande d’iscrizione; la selezione è durissima e sovente i proprietari delle vetture vedono respinta la loro domanda nonostante abbiano già partecipato a rally storici altisonanti come il Montecarlo, Sanremo etc etc. Altro criterio di selezione: gli organizzatori non voglio 10 o 20 vetture dello stesso tipo. Per fare un esempio a loro non interessa avere 20 Lancia Delta Martini, ma preferiscono avere più modelli e marche differenti, per dare agli appassionati un panorama più ampio delle vetture che correvano nelle epoche passate. Naturalmente Reinhard diventa un punto di riferimento anche per l’organizzazione per chiedere foto e notizie di quell’auto, di quel telaio etc etc etc...

 

L’idea dell’intervista in verità nasce casualmente: dopo che si è stati a parlare diverse ore di lavoro e della passione che ci accomuna, la scintilla scocca nel momento dopo l’orario d’ufficio, prima della cena, ci rechiamo nella villa; ci dirigiamo verso il garage, lui mi guarda e con uno sguardo sornione, comincia a tirare su la saracinesca e … Meraviglia delle meraviglie: all’interno del piccolo garage c’è una Ford Escort RS nei colori originali del 1977, la versione è quella del Safari, vinto da Waldegaard con la vettura gemella. Questa è quella di Preston, la numero 17, vettura che quell’anno era seconda dietro proprio al suo compagno di squadra quando, dopo circa 2 terzi di gara, fu costretta al ritiro per la rottura del ponte posteriore e della scatola del cambio. Il pilota keniano avrebbe potuto tranquillamente continuare, visto che i ricambi con i meccanici sarebbero arrivati con l’aereo in dotazione alla casa dell’ovale; ma Peter Ashcroft, il direttore sportivo, decise immediatamente che Preston e la sua Ford Escort RS sarebbero divenuti, da quel momento, la vettura “ombra” che avrebbe seguito passo, passo, con ricambi a bordo o addirittura da cannibalizzare, la vettura gemella di Waldegaard in testa in quel momento.

 

Rammento che il Safari di quell’anno è ricordato come uno dei più bagnati in assoluto, con le vetture che rimaneva intrappolato in quella morsa di acqua e fango. Tornando al presente, rimango senza parole! Sono passati circa 40 anni da quando questo gioiello vinse la gara africana ed e’ tenuta, naturalmente, in modo maniacale. Ogni accessorio è al suo posto, come se dovesse andare da un momento all’altro a passar le verifiche tecniche dei commissari kenioti. Gli chiedo se posso scattare qualche foto a titolo di documentazione modellistica e da lì, tra un ricordo ed un altro, scocca l’idea dell’intervista. Continuiamo a parlare della vettura e quando gli chiedo se posso fotografarlo con la Ford lui mi dice che non c’è nessun problema, però, essendo l‘auto intestata alla moglie, è giusto che l’equipaggio Klein sia al completo con lei dal lato guidatore. Fatte le foto, continuiamo a parlare in giardino.

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Klein insieme alla moglie e alla sua Ford Escort da rally

 

Reinhard noi siamo, per così dire, jurassici. Nasciamo in un'altra epoca rallystica. Tu credi che questo sia un periodo migliore per i rally, per gli spettatori, per le case auto e i piloti rispetto al passato? 

«E’ difficile paragonare il tutto quando vieni dagli anni 70. Molti rally erano “odiati”, si correva in notturna per non disturbare le persone, questo tipo di gare non erano considerate abbastanza interessanti. Ricordo che nel Corsica avevamo solo tre prove speciali di giorno su 4 giorni di gara. Il resto delle prove si correvano di notte, anche molto tardi per non avere problemi con il traffico e le persone che vivevano lì. Questo rendeva il rally meno bello ed interessante dal punto di vista del panorama, anche se in realtà c’erano azioni spettacolari. Ai tempi non c’era nemmeno una concreta organizzazione per la sicurezza, quest’ultimo problema si trascinerà fino agli anni 80/90. Ti ricordi il periodo dei rally dei gruppi B e dell’incidente di Santos in Portogallo e poi l’altro in Corsica con Toivonen-Cresto?!? E quindi come sai il risultato fu un vero disastro con gravi conseguenze, per tutto il movimento. Da li si tornò a correre con normali auto da strada, ma anche così non fu incrementata la sicurezza. La sicurezza iniziò ad essere considerata per le persone che seguivano i rally più che altro, per quella massa di persone affascinate da queste folli vetture; ma la sicurezza per quanto riguarda i piloti e anche le prove speciali, non migliorò dopo l’incidente dei gruppi B ma solo ad inizio anni 90. Se vogliamo paragonarlo ad ora sotto questo punto di vista non c’è paragone: ora si assiste a gare spettacolari per la loro velocità, ma a questa velocità si riesce ad arrivare grazie ad un grande bilanciamento delle auto, probabilmente le macchine odierne sono molto più facili da guidare perché si sono perfezionate molto dagli anni 70 e tu puoi vedere corse e salti spettacolari perché queste vetture sono in grado di compiere balzi anche con una certa grazia a per il loro giusto , cose che un pickup non potrebbe mai fare, si romperebbe in mille pezzi.! Con la tecnologia odierna possiamo ammirare un vero spettacolo, le macchine stesse hanno un design accattivante, ma quello che si è totalmente perso è il senso d’avventura!

 

«E’ solo un grande show in una piccola frazione di un Paese e quando guardi al passato, a quello che avevamo, comprendiamo noi “jurassici” cosa abbiamo perso, i giovani non sanno non immaginano.
Dimmi un’altro sport che portava due milioni di spettatori dal vivo sulle strade. Ad esempio nel vecchio Lombard RAC Rally, prima andavi in giro per quasi tutto il Paese, così alla fine visitavi varie regioni e vedevi diverse cittadine, perché dovevi girartelo tutto. Così tutta la stampa e le autorità locali e via dicendo erano contente di questo evento, perché il rally era ovunque! E tantissime persone potevano vederlo perché si può dire che il rally gli passasse sotto casa e portava attenzione nel loro paese; e così alla fine avevi due milioni di spettatori, perché era un evento nazionale! Mentre da quando la gara si è limitata al solo rally del Wales ha perso quasi del tutto l’interesse da parte del resto dell’ Inghilterra, il che è assurdo! Cioè è assurdo aver limitato un così grande evento ad una sola porzione del territorio, e fondamentalmente è perché si sono dovute limitare le zone per la gara a causa delle norme di sicurezza: allora non puoi più guidare tanto a lungo, ne oltre un certo limite, ne su determinati percorsi, ma così cosa hai guadagnato? Nulla, hai solo distrutto il rally, perdendo anche tantissimo interesse. Ed è solo un esempio. Lo stesso discorso lo rivediamo sul Safari Rally: considerato anche questo troppo lungo, troppo esteso e via dicendo. Ma avevi un tempo extra, in più,anche lì si sono persi milioni di spettatori. Ma c’è da chiedersi che tipo di spettatori fossero,n quale fosse il loro valore commerciale; cioè era il target che poteva permettersi un’auto? Sicuramente no! Molti erano poveri, che volevano solo vedere, ma l’impatto che aveva il Safari a livello di immagine dello sport, la spettacolarità della gara, era uno degli eventi più importati insieme al Montecarlo, Indianapolis, Le Mans… E lo stesso discorso è per il Rally di Montecarlo attuale: cosa ne è rimasto?»


«Nulla o quasi e il discorso potrebbe continuare con i luoghi dove si svolgono oggi i rally; in passato, ad esempio, quando gli organizzatori del vecchio Rally dell’Acropolis inserirono le Meteore con il loro monasteri, tutto il mondo tramite queste immagini e video venne a conoscenza di questi luoghi. E nei video, nelle foto, puoi vedere queste rocce maestose con sopra il monastero che sono uno sfondo magnifico per le vetture da rally, ricordo inoltre che gli organizzatori per dar maggior risalto alla zona, fecero in modo di far terminare la tappa lì vicino. Io fino a quel momento non sapevo che esistessero cose del genere, i greci hanno pensato d’includere questa meraviglia, comprendendo la pubblicità che poteva portare alla gara offrendo questo paesaggio unico. Come gli organizzatori del Kenya, una volta capito che era possibile fotografare il Kilimangiaro nitidamente solo alle prime ore del giorno, spostarono la tappa sotto al Kilimangiaro la mattina presto. Oggi questo tipo di discorso non esiste. Prendi il recente rally di Sardegna, c’è la Costa Smeralda, conosciuta in tutto il mondo, eppure non c’è una prova speciale li vicino dove puoi filmare, fotografare il mare. Una volta le case automobilistiche investivano sulla pubblicità dell’evento, prendi proprio le foto che ho realizzato per la Toyota in Kenya, con la vettura da gara siamo andati il giorno prima alle pendici del Kilimangiaro e poi poco prima dell’alba quando eravamo già li pronti per scattare la foto con i Masai, o l’altra del guado, dove la vettura emerge tutta ricoperta di fango, quella foto l’ho potuta realizzare perché ho chiesto al pilota di non entrare a velocità sostenuta come se fosse in gara, ma ad una velocità normale e quindi il fango ha ricoperto completamente la vettura, oggi le case non lo fanno più, spendono soldi solo per presentazioni o altre cose del genere. Tutti parlano di promozione e pubblicità della gara e l’impatto sulle persone, ma in realtà non fanno nulla di particolare tutto ciò che modificano è solo ai fini della praticità… la filosofia di quei giorni era “abbiamo il mondo e possiamo usarlo, trovando ciò che di più bello possiamo trovare per offrire qualcosa di spettacolare”  adesso invece, al contrario, l’unico obiettivo dei team è espandersi il più possibile».

 

Uno dei celebri scatti di Klein

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Concordo e non capisco perché le Case non vogliano più il Kenya nel Mondiale. Eppure il ritorno commerciale e pubblicitario sarebbe enorme... 

«Perché dovrebbero costruire altre macchine, al momento è al di fuori del loro standard. Le macchine di adesso si danneggerebbero, va oltre a il loro attuale pensiero: le macchine si rompono, quindi? E’ proprio quello che dovrebbe succedere, ma gli sponsor sono contrari. La Michelin, ad esempio, dovrebbe produrre altri pneumatici, più resistenti se si dovesse rifare un rally come il Safari. Attualmente le gomme non reggerebbero. Altro motivo è che è troppo lungo e sono troppo lunghi gli spostamenti. E’ cambiato proprio il modo di ragionare: prima ci si doveva spingere oltre ogni limite, arrivare all’estremo. Tutto questo è scomparso, ora vai fuori per 80 km, e dopo questi 80 km hai finito. Cosa abbiamo oggi? Velocità incredibile, molto affascinante da vedere, per il pilota spingere la vettura oltre ogni normale limite, ma non crei il fascino, la storia… Durante le tappe, abbiamo una speciale, un altra speciale e il vincitore. Ecco tutto. E molto spesso il vincitore è sempre lo stesso: quindi la gente si inizia a disamorare e posso capirne il perché. Ovviamente c’è una maggiore possibilità di pubblicità, tv  internet, ma tutto questo funziona? Sta avendo il riscontro adeguato? Non credo, io non lo vedo così. Per quanto e come la vedo io non si è raggiunta alcuna meta, non sta funzionando».

 

In questi lunghi 40 anni attraverso le tue immagini son passati innumerevoli personaggi, dai direttori sportivi ai piloti. Quali ricordi conservi?
«Dei direttori sportivi probabilmente Jean Todt era il più professionale: ciò che ho ammirato in lui è stata la costruzione di un team partendo da zero. Mi riferisco al Team Peugeot, la continua motivazione di lavorare tutti per lo stesso scopo. Ovunque nel mondo quando 50 persone devono lavorare sullo stesso obiettivo si avranno sempre eterne discussioni. Su 50 persone 40 lavorano in una direzione e gli altri 10 gli remano contro, perché qualcuno deve sempre complicare la situazione. In un brutto team hai 40 persone che lavorano insieme e 20 contro; in un team molto buono hai 45 persone che lavorano insieme e 5 contro, e per me la più grande qualità di Jean Todt era quella di costruire una bella squadra dove tutti lavoravano nella stessa direzione. Lui cercava di motivare tutte le persone, compresi quelli che esprimevano pareri contrastanti o che non erano sempre d’accordo. Per me era una persona molto forte e penso che si sia visto anche quando è andato in Ferrari, portando il team fuori da quel casino, proprio perché era la sua qualità! Fortunatamente ora è presidente della FIA e ci aspettiamo che un uomo di rally faccia ciò che non è stato fatto finora. Con Ove Andersson, Direttore Sportivo del team Toyota Europe, è una storia diversa, anche perché era una persona differente, più amichevole. Come ho detto Jean Todt era altamente professionale mentre Anderson aveva un’idea più “familiare” del team, credeva nelle persone e ogni tanto rimaneva incastrato in questo. Metteva così tanta passione alla maniera giapponese, che spesso anche le decisioni venivano prese in maniera divertente. Riuscire a tenere un team del genere per così tanto tempo, credo che qualcun altro al suo posto sarebbe esploso dopo tre anni e invece lui è andato avanti per anni, anni, anni, e lo sai: i giapponesi possono prendere decisioni in 5 minuti come in 5 anni. Beh a lui sono toccati i 5 anni e alla fine ce l’ha fatta alla grande, ma gli ci è voluta una grandissima passione che non molti avrebbero avuto».

 

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Piccolo passo indietro. Torniamo al momento in cui da semplice appassionato di rally e fotografia diventi un professionista

«[Mi guarda e sorride] Ma tu lo sai che i miei avrebbero voluto che continuassi la tradizione di famiglia, loro sono entrambi insegnanti?! Ho preso la laurea nel 1991, ma è rimasta lì nel cassetto; nel frattempo già da circa 10 anni la mia passione si era trasformata in un lavoro. Ho cominciato come tutti quanti all’epoca: vendendo le prime foto ai giornali specializzati e poi proponendomi alla Toyota Europe visto che di base era a Colonia e poi con l’avvento dei gruppi B, sono venuti altri contratti importanti come con Peugeot… e da lì altri».

 

E Audi?

«No, con Audi, non ho mai avuto un contratto, c’erano già altro fotografi tedeschi, Krailing, Wagner, Naigel»

 

Se non sbaglio questi ultimi due sono stati i primi da cui hai acquistato gli archivi. La tua agenzia del resto ha il più grande archivio del mondo rally, sicuramente il migliore per qualità e quantità. Credo quindi che la tua sia proprio una passione. Quando hai iniziato a creare il primo archivio?

«Sì è sicuramente una passione iniziata più o meno 20 anni fa. Ero fortunato a partire proprio dalle mie foto, ogni volta che le mandavo ad una rivista o un’agenzia gliele chiedevo indietro. Così le prime collezionate sono state proprio le mie, e alla fine è diventata una passione che mi ha dato modo di ricostruire la storia del rally tramite le immagini. Per me è come la vigilia di Natale quando posso andarmele a rivedere e esplorare e ricordare; è una passione ed è bellissima scrutarle, rivivere bei ricordi, perché cercando anche nelle vecchie riviste c’è sempre molto poco sui rally. Parlano tutti di Formula 1 perché ha un mercato maggiore ed il rally è quasi sparito Da qui è nata anche un’altra passione che è quella per le auto storiche dei rally ed ho iniziato a collezionarle, non né posseggo molte, solo 2, ma son contento così. Abbiamo cercato una piattaforma per poterle esporle per farle conoscere e da lì l’idea di aiutare i possessori di questi gioielli a ripristinare le loro vetture come erano una volta e questo puoi farlo solo confrontando le foto dell’epoca con la vettura che hai. E poi venuta naturale la collaborazione con l’EIFFEL FESTIVAL, una gara di auto storiche da rally dove la vettura deve essere identica all’originale. Una volta un signore portò un macchina dicendo che era la xxx, ma controllando le foto del mio archivio ho potuto dirgli che non era assolutamente come la vettura originale.

Anche in Inghilterra ora fanno una cosa simile ed infatti hanno anche loro bisogno delle foto. Credo che sia un vero peccato che ci sia così poco interesse per questo sport, mentre invece ci sono fantastiche persone, fantastici eventi, macchine e team fantastici e abbiamo una grande storia alle spalle. Ma a nessuno importa, le persone che gareggiano hanno una cultura sulle vecchie auto e sui vecchi eroi, ci sono pochi eroi nei motori e noi nei rally né abbiamo molti, piloti che hanno un approccio totalmente diverso rispetto alla Formula 1 o altre gare, dove i piloti devono semplicemente andare più veloci degli altri. Quindi c’è da domandarsi chi sia il vero Re delle 4 ruote: chi va più veloce su una pista o chi deve combattere anche contro altri ostacoli, terreni,  ecc.. come i piloti dei rally?»

 

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«Oppure sarebbe meglio che ci siano semplicemente due Re, due Campioni, due eroi ma molto diversi?
Il fatto è anche che il rally è più difficile da seguire, è più lungo e non puoi seguirlo da casa semplicemente guardando un paio d’ore la tv. C’è molta differenza, ma abbiamo troppa poca cultura su tutto questo e ormai sui rally non conta nulla se non l’oggi. Quindi mi piacerebbe dare alla prossima generazione l’esatta descrizione di come erano queste macchine, tutto, dai freni alle colorazioni delle vetture, agli adesivi; oggi si trovano delle orribili copie, si vede benissimo che colorazioni, adesivi o altro non corrispondono all’originale. Eppure le spacciano per copie esatte, ma sono false: al massimo si può dire che sono delle copie pressappochiste della vettura, ma quasi mai copie identiche. Ma vengono presentate come grandi copie. Però piano, piano, stiamo insegnando loro, stiamo iniziando a dire a queste persone come dovrebbe essere e stanno iniziando a cambiare e ad ascoltare: ecco diciamo che li stiamo educando. Se oggi tu vai da molte case automobilistiche che nel passato sono state protagoniste nella storia dei rally, non sanno assolutamente nulla, nulla; e non hanno nulla e se hanno qualche vettura è solo un manichino che non può essere portata su strada. Peugeot tedesca ha due auto 206 gruppo B, le vetture di Grundel: una ha il motore rotto e l’altra non mi ricordo bene cosa ha, ma non può circolare. Inoltre non hanno nemmeno i meccanici per ripararle: cioè hanno i meccanici normali di adesso, ma queste macchine sono diverse, non ci sono parti di ricambio ne un budget per ripararle o metterle in esposizione; è questo è davvero un peccato, ma è una cosa tipica del rally perché non importa praticamente a nessuno».

 

Nella tua carriera ci sono stati anche momenti bui...

«Certo come tutti noi che siamo freelance e che facciamo questo lavoro, alterniamo momenti buoni ad altri meno buoni, siamo sulle montagne russe….. Quando la Toyota si fermò, per me fu abbastanza difficile… Ricordo che mia moglie Ursula mi sostenne per quel periodo.»

 

Come e quando nasce la McKlein?

«Prima che arrivassero le vetture WRC nel ‘97: alla fine di quell’anno pensavamo che i tempi fossero cambiati, che la domanda fosse cambiata, si aveva bisogno di trasmissioni più veloci delle immagini. Era finito il tempo in cui un singolo fotografo poteva fare tutto da solo , perché da solo avresti dovuto coprire gara, ritratti, eventi, il podio per poi spedire una selezione di immagini. La domanda era diventata sempre maggiore allo stesso tempo non era davvero possibile gestire tutto da soli. Con Bob Mc Affrey già andavamo insieme ai rally, poi arrivò Colin Mc Master, ognuno di noi aveva un contratto, i nostri clienti erano: Subaru,Ford e Toyota e ci si scambiava il materiale così che ognuno avesse un po’ di tutto e si metteva tutto il lavoro in un unico “pentolone”, questo è stato l’inizio ed era il 1997. La cosa buona di questo è che tutti devono lavorare come una squadra: io vado sulla prima speciale, lui sulla seconda e l’altro sulla terza e ognuno deva cercarsi il posto migliore, ognuno pensa a dare il meglio, per poi unire le forze e questo rispecchia un po’ la scuola di pensiero di Jean Todt. Cioè se hai tre persone, hai bisogno di tre teste pensanti e non di farli scontrare sulle stesse decisioni, ed è un ragionamento che per me funziona ancora adesso».

 

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Dal 1997 ad oggi sono passati quasi vent'anni. Cos'è cambiato nel tuo lavoro?

«Molto è cambiato ed è un processo continuo: ricordo che ogni 6 mesi cambiavamo metodo di lavoro perché era necessario, perché tutto cambiava: il modo di pensare, il tempo di lavoro … All’inizio si lavorava in pellicola, quindi dovevamo trovare la pellicola e dove svilupparla li dove si teneva la gara, e quando ce l’avevamo dovevamo mandarla per la pubblicazione e la MCKlein aveva una scarsa qualità in quel periodo. La velocità delle gare cambiò, dovevano essere più veloci, ovviamente non si usa più la pellicola da molto e ora quando si va a fare un rally non puoi mandare le foto la sera, è troppo tardi, dovresti riuscire a mandarle a metà giornata: sai, fare la foto e trasmetterla immediatamente, ed è una bella sfida perché, sai, sei fuori sulle montagne e non sai se hai linea, sei nel nulla. Molto è cambiato: prima la qualità finale rispetto ad ora era molto inferiore, adesso la qualità dello scatto è migliorata grazie alle macchine fotografiche e quindi devi solo essere veloce. la cosa divertente è che prima si lavorava molto alla produzione dopo il rally, sceglievi una per una. Ora dal lunedì mattina è tutto fatto, è per me questo ha levato anche l’interesse nella storia della foto, ora consultiamo magari gli archivi fotografici cerando immagini storiche, ma secondo me tra 20 anni nessuno cercherà le foto di questi eventi».

 

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A questo proposito io ho ricevuto in questi giorni due mail da due ragazzi che vorrebbero lanciarsi in questo lavoro e mi chiedono consigli. Tu pensi che ci sia posto in questo mercato per giovani aspiranti fotografi?

«No, non vedo possibilità: se uno vuole fare carriera credo proprio che non ce ne sia per nessuno. Dovrebbero prenderlo come un hobby: se devi solo soddisfare il cliente allora devi fare solo quello che ti viene richiesto e la passione sparisce; alla fine arriva il cliente con i soldi e ti dice “ io voglio le foto fatte qui e così” e tu le fai, ma  il piacere svanisce e devi combattere con tanti elementi, con i marshalls, la gendarmerie; magari vai in ricognizione e trovi il posto che ti piace ma poi arrivano i commissari e ti dicono che non ci puoi stare, perché gli gira e non gli interessa del tuo lavoro e ti ritrovi a fare le foto dagli stessi punti degli altri. I tempi per cercare nuovi posti sono finiti, tutti devono andare sulla stesse location. 30 anni fa potevi girare ovunque per trovare il posto e riuscivi a trovare posti dove nessuno era mai andato e venivano foto particolari, ma ormai sei totalmente limitato e ti trovi a fare foto di massa».

 

Tu hai due vere auto da rally. Una ford Escort del Safari e una Metro. Qual è la loro storia?

«Sono 2 storie molto differenti, la Ford l’ho acquistata nel 90/91 è un’auto originale al 100%, questa è la vera RS con cui Vic Preston corse il Safari del 1977 quello del Giubileo. Questa vettura era rimasta in Kenya dopo il Safari e Preston partecipò per il resto della stagione  al Campionato Nazionale. passano gli anni e vengo a sapere che la vettura è ancora lì, m’informo e c’è la possibilità di acquistarla ma c’è un grosso problema con le autorità Kenyote, la legge di questo stato infatti permetteva l’importazione di queste auto da rally concedendo il beneficio di non pagare le tasse perché vetture destinate alle competizioni, quindi la Ford non può’ lasciare il paese perché non ha mai pagato le tasse e non sanno come comportarsi. All’epoca lavoravo per la Toyota ed il legame con il team e Ove Andersson era molto forte, gli espongo il mio problema e lui ordina ai meccanici di costruire una cassa di legno dove far entrare la vettura e di lasciare molto spazio ai lati per ricoprire il tutto con i pneumatici, così la mia Escort viene letteralmente seppellita di gomme e poi l’intero box in legno viene stipato in un container, dichiarando alla dogana naturalmente che conteneva solo pneumatici. Così son riuscito a salvarla e portarla qui, ah la vettura è intestata alla signora …e guarda sorridendo la moglie. La Mini Metro gr. B, non ha una storia corsaiola, l’ho acquistata nel 92/93 è una macchina omologata all’epoca ed è una delle 200 prodotte come prevedeva il regolamento dell’epoca.  La Metro non nasce come una vettura da strada, era una kitcar. Perciò aveva un’omologazione specifica; è una macchina prettamente da competizione con un motore da gara che la rende anche difficile da guidare perché hai la potenza di 410 hp,  quindi capisci che è un motore propriamente da competizione. Fatto sta che il motore sarebbe da rifare ogni anno. La macchina che ho io è una via di mezzo tra una vettura stradale ed una rally car, questo per poterla guidare più agevolmente.  Non partecipo a vere e proprie competizioni, l’estetica è identica, ho solo un po’ di cavalli di meno e va benissimo per questi raduni storici. Nonostante ciò, devo rifargli il motore ogni 10 anni il che è molto dispendioso. Il problema sono sempre le riparazioni, se si rompe qualche pezzo devi trovarlo su un mercato ristrettissimo o ricrearlo da solo, ed è molto difficile».

 

La tua altra passione sono anche i modellini

«Sì amo fare i modellini da quando ero un ragazzo, sai ho iniziato con i vecchi Tamiya in plastica sia di  formula1 che poi da rally, poi arrivarono altre marche Hasegawa, Fuij etc etc poi mi sono appassionato ai kit in scala 1:43 ed ho iniziato a farmi una piccola collezione poco a poco uno alla volta e quando miei figli erano ragazzini li ho coinvolti nel mio hobby ed era molto bello nelle sere invernali o nei weekend mettersi tutti sù un tavolo, ognuno a montare il suo modellino, a loro naturalmente davo i modelli in plastica quelli in scala più grande, ripeto c’era una bella atmosfera.io pian piano, prendevo sempre più familiarità con questi kit ed ho poi cominciato a realizzare delle piccole trasformazioni, vetture aperte o come questa Lancia Stratos di Darniche al TDC, ricordavo che in quell’anno in una prova speciale molto lunga e non avendo possibilità di assistenza prima dell’altra, Chardonnet fece mettere 2 ruote di scorta una nel piccolo vano bagagli anteriore e l’altra in quello posteriore e così il povero Darniche corse questi tratti con le ruote di scorta che uscivano fuori dai cofani. Ecco questa era una versione particolare che ho realizzato per me. Oggi colleziono solamente, non ho più tempo per montare i modelli, le mie tematiche sono:
- Il Safari, ovviamente
- Le vetture vincitrici fino alla fine del 1986
- Le squadre ufficiali dal 1986 in poi

 

La lunga chiaccherata volge al termine, le gole sono arse  e giustamente Reinhard indica che è l’ora per scendere tutti insieme a prenderci una fresca birra sulle rive del Reno.

 

Manrico Martella

 

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