Smog, De Vita: «Non sottovalutiamo il problema del riscaldamento domestico»

Smog, De Vita: «Non sottovalutiamo il problema del riscaldamento domestico»
Pubblicità
Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
Il nostro editorialista, Enrico De Vita, discute di inquinamento e di propulsione elettrica ai microfoni di Elena Carbonari su Isoradio
  • Enrico De Vita
  • di Enrico De Vita
10 novembre 2017

Negli ultimi tempi il problema dell’inquinamento in città in Italia è sulla bocca di tutti. Se i valori in Italia sembrano elevati, in altri paesi la situazione è ancora più grave. Il nostro editorialista, Enrico De Vita, è intervenuto ai microfoni di Elena Carbonari su Isoradio per discutere di questo argomento di attualità. «In India al momento lo smog è ai livelli di quello prodotto a Londra negli anni tra il 1966 e il 1968 – spiega De Vita -. Londra a quell’epoca ha toccato, per via del considerevole riscaldamento da caldaie a carbone, una quota di 5.000 microgrammi per metro cubo di Pm10».

«Milano non era da meno: nel capoluogo lombardo in quegli anni si toccò si arrivò a 1.700 µg/m³. Oggi siamo ad un livello medio annuo di 20/30 µg/m³. Nelle città più inquinate d’Italia abbiamo toccato quota 100/102 µg/m³, ma siamo molto lontani dai dati registrati in passato; quando si parla di tumori da inquinamento, di malattie, si discute di fenomeni reali, ma il passato era nero, drammatico. Si pensi alla situazione nell’Ottocento, quando la Regina Vittoria si scaldava con centinaia di camini nelle sue residenze. Questi camini a legna generavano nerofumo nei polmoni dei fuochisti che li attizzavano tutti i giorni, al punto che ancora oggi, nelle loro bare e nei loro polmoni, vengono riscontrate delle concentrazioni di carbone spaventose rispetto a degli odierni fumatori di 50 sigarette al giorno».

C’è un problema di inquinamento da riscaldamento domestico che non è stato risolto, mentre è stato ridotto moltissimo nel settore trasporti. Si è riscontrato addirittura che l’uso del pellet peggiora la situazione, al punto che la produzione di calore è uno degli aspetti che maggiormente ha contribuito all’aumento delle concentrazioni da particolato

Come ricordato da Elena Carbonari, il problema smog, però, rimane. Basti pensare ai provvedimenti delle varie amministrazioni del nostro paese, come le limitazioni del traffico. Sul banco degli imputati, ovviamente, ci sono i trasporti, però sappiamo che a questa situazione contribuiscono anche i riscaldamenti, l’industria. Quindi come agire? «Un rapporto ben fatto della RSE, la Ricerca sul Sistema Energetico, in merito all’inquinamento della Lombardia esamina tutte le fonti di smog e suggerisce rimedi pienamente condivisibili. Si parte dal presupposto che nel periodo 2000-2015 le emissioni complessive di Pm10 e Pm2.5 sono diminuite del 25%. Però si pone l’accento sul fatto che le emissioni di particolato primario da combustione nei settori residenziale, commerciale e pubblico siano aumentate di oltre il 10%, nel decennio 2003-2012».

«C’è un problema di inquinamento da riscaldamento domestico che non è stato risolto, mentre è stato ridotto moltissimo nel settore trasporti. Si è riscontrato addirittura che l’uso del pellet peggiora la situazione, al punto che la produzione di calore è uno degli aspetti che maggiormente ha contribuito all’aumento delle concentrazioni da particolato. Nella regione Lombardia, Milano esclusa, l’uso delle biomasse ha un impatto sul totale del Pm10 maggiore di quello di tutti gli altri combustibili».

Cosa fare per migliorare la situazione? «Per limitare l’impatto - si legge nel rapporto della RSE - occorre agire su tre fattori: ridurre il fabbisogno per la climatizzazione attraverso interventi strutturali in grado di migliorare le prestazioni degli edifici, rendere i sistemi di produzione calore più efficienti e meno inquinanti e promuovere negli utenti una maggiore consapevolezza sull’uso dell’energia, riducendo, di fatto gli sprechi».

L’auto elettrica

Fortemente legato alla riduzione delle emissioni inquinanti è il tema dell’elettrificazione della propulsione delle vetture, cui le case automobilistiche sono sempre più attente. Dichiarazioni di intenti e visioni dei costruttori a parte, quali sono gli scenari possibili? «È certo che fra 40 anni il petrolio costerà così caro da smettere di utilizzarlo, per cui il motore termico perderà la sua supremazia (anche se saranno disponibili dal carbone numerosi carburanti sintetici) – spiega De Vita -. È evidente che i veicoli si muoveranno soprattutto con l’energia elettrica. Ma questa da dove proverrà?».

Se dovessimo avere accumulatori migliori, nel futuro potremmo abbandonare definitivamente il motore termico. Non c’è ancora all’orizzonte la coppia voltaica capace di dare più di quanto oggi si ottenga dal litio

«Speriamo tutti che le auto a batteria possano contare su un magazzino di energia tale da consentirci di sostituire quello che fa oggi il motore termico, che con 30/40 kg di benzina o di gasolio percorre 800 km. Non è possibile farlo con gli accumulatori di oggi. Non abbiamo ancora un sistema di immagazzinamento dell’energia elettrica (sotto forma chimica) capace di valere almeno un decimo della benzina: oggi con un kg di batteria al litio siamo ad un trentesimo».

«Siamo tanto lontani da doverci accontentare di un’auto piccola a bassa velocità – plafonata tra gli 80 e 100 km/h– per due persone, possibilmente leggera come carico, ma pesante come batteria, esclusivamente per uso urbano. Questo sicuramente può essere fatto già oggi, ed è il filone dal quale partire per portare a zero l’inquinamento causato da tubi di scarico all’interno delle città. Queste piccole auto costano ancora care, per via del prezzo delle batterie. Se dovessimo avere accumulatori migliori, nel futuro potremmo abbandonare definitivamente il motore termico. Non c’è ancora all’orizzonte la coppia voltaica capace di dare più di quanto oggi si ottenga dal litio».

La battaglia contro i mulini a vento

«Da vecchio tecnico quale sono, posso affermare che i proclami per l’abolizione del diesel contengono gravi errori di fondo. Chi è convinto di questa necessità non tiene conto della rivoluzione gigantesca avvenuta nel motore diesel a partire dal 1997. Con il Common Rail è entrata l’elettronica, che ha ridotto significativamente le emissioni di particolato, migliorato la potenza e la silenziosità, ridotto il peso dei propulsori e ha migliorato moltissimo l’efficienza, al punto che la CO2 emessa da un diesel è inferiore del 30% a quella emessi da un motore a benzina».

«Poi, tra il 2003 e il 2004 è stato introdotto il filtro antiparticolato sui modelli omologati euro 4. Ed è avvenuto un secondo decisivo miglioramento, al punto che i tecnici considerano questo motore più pulito del “benzina”. Qualche giorno fa sono stato ad Ispra, al laboratorio dell’Unione Europea, ad assistere alle prove che stanno conducendo sui motori diesel, e mi hanno mostrato come il filtro, abbia portato praticamente a zero le emissioni di Pm10 e Pm2.5. Non convinti della efficacia del FAP, molti critici del diesel hanno preteso una norma che contasse le particelle ad una ad una, perché ritenevano che il filtro antiparticolato non fosse un eliminatore tout court del particolato, ma uno “sbriciolatore”, un macinino del caffè. Ebbene dal 2004, con l’introduzione del FAP, la macchina che conta le particelle si è rivelata inutile, perché i motori rispettano abbondantemente la norma».

«Per contro, nei motori a benzina ad iniezione diretta sta nascendo il problema del particolato, per cui sarà necessario introdurre un filtro autorigenerante anche su questi motori. La crociata contro il diesel sa molto di battaglia contro i mulini a vento: è molto disinformata, perché non considera neppure che con l’avvento degli iniettori piezoelettrici la pressione d’iniezione è cresciuta ad oltre 2000 bar e consente la totale riduzione del particolato. Fra l’altro questo motore adopera il combustibile più economico derivato dal petrolio, e in maggior quantità: tuttavia, in troppi si fasciano la testa, proibendo addirittura le Euro 4, le Euro 5 e le Euro 6».

«Se vogliamo dimezzare l’inquinamento legato ai motori benzina, dobbiamo volgere lo sguardo verso l’ibrido. Tuttavia, il nuovo ciclo RDE di misura dei consumi e delle emissioni, fra l’altro concepito ad Ispra, ridurrà notevolmente i vantaggi (apparenti) che l’ibrido conseguiva nel ciclo NEDC. Quindi, se nella marcia in città l’ibrido sarà ancora efficace, in autostrada è sempre il diesel a dare i migliori risultati».

Pubblicità