Tecnica: denti, pulegge e alberi a camme

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
L’evoluzione dei materiali e del disegno delle cinghie dentate
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
26 maggio 2017

In un recente articolo si è parlato della comparsa e della affermazione in campo automobilistico di queste cinghie che, a differenza delle altre, sono sincrone, ossia trasmettono il moto in maniera rigorosa, senza alcuno strisciamento. Vediamo adesso come si sono evolute per arrivare agli eccellenti risultati odierni.

Le cinghie dentate sono largamente impiegate per comandare la distribuzione al posto delle catene, rispetto alle quali presentano alcuni vantaggi; sono economiche, non richiedono alcuna lubrificazione e non hanno articolazioni. Queste ultime, presenti invece nelle catene, col tempo sono soggette a usura; ciò significa che il passo aumenta e che si verifica un allungamento.

Una cinghia è costituita da un corpo in elastomero nel quale è annegata una serie di inserti resistenti. Questi ultimi sono delle cordicelle (cords) formate da fili avvolti a spirale. Il quadro è completato ovviamente dai denti, il cui profilo è accuratamente studiato, e (nelle esecuzioni moderne) da un sottile strato esterno in nylon avente funzione antiusura. Le cordicelle sono parallele e hanno verso di avvolgimento che si alterna (destrorso-sinistrorso-destrorso…).

Inizialmente i cords erano in fili di acciaio e col tempo erano soggetti a fenomeni di corrosione e di fatica; rapidamente sono stati sostituiti perciò da altri in fibre di vetro. Queste ultime costituiscono un gruppo di materiali piuttosto vasto che negli anni ha visto notevoli sviluppi. Nelle cinghie delle ultime generazioni si impiegano fibre K e fibre U, dalla elevata resistenza a trazione, in grado di sopportare assai bene anche carichi impulsivi e di assicurare una grande durata. Esistono anche cinghie con inserti resistenti in kevlar, ma nel nostro settore le fibre di vetro U e K sono utilizzate pressoché universalmente.

Il corpo delle cinghie impiegate in campo motoristico, nel quale sono anche ricavati i denti, per lungo tempo è stato realizzato in neoprene, una gomma sintetica nota anche come policloroprene che ha buone caratteristiche complessive, ma non è in grado di lavorare a temperature elevate. La situazione è migliorata quando nel corso degli anni Ottanta essa ha iniziato ad essere sostituita dalla gomma nitrilica idrogenata (HNBR), nota anche come HSN, che oggi domina la scena. Questo materiale è più robusto, ha una notevole resistenza all’olio e può lavorare a temperature che possono anche essere dell’ordine di 140 °C. Tra gli sviluppi di maggiore importanza che l’hanno interessata vi sono la messa a punto di un nuovo sistema di reticolazione e l’impiego di cariche di rinforzo in seno alla mescola.

Le cinghie si avvolgono sulle pulegge copiandone accuratamente il profilo. Dato che le loro maglie non sono flessibili, le catene non possono farlo. Per “seguire” le ruote dentate possono contare solo sulle articolazioni; le piastrine vanno così a costituire i lati di un poligono.

Per diverso tempo i denti delle cinghie sono stati dotati di un profilo trapezoidale, logicamente standardizzato. In seguito c’è stata una evoluzione anche in questo settore. La Gates ha sviluppato il profilo HTD, che poi è stato ulteriormente migliorato, mostrando una strada importante. Un profilo arrotondato consente una migliore distribuzione delle sollecitazioni alle quali sono sottoposti i denti e ha conseguenze vantaggiose sulla riduzione della rumorosità e sulla durata.

Le cinghie dentate devono essere guidate assialmente e devono lavorare con la corretta tensione. Quest’ultimo punto è di importanza assolutamente vitale. I rulli di guida (cioè i cosiddetti “galoppini”) in qualche caso possono anche non essere presenti, ma un rullo tenditore non deve mai mancare. Da diversi anni a questa parte si sono diffusi razionali sistemi di tensionamento automatico.

I produttori indicano il raggio di avvolgimento al di sotto del quale non si deve scendere. La cinghia si deve avvolgere sulle pulegge per un arco adeguato, con un congruo numero denti in presa (anche questo è indicato nei manuali tecnici dei fabbricanti). L’allungamento sotto carico nelle realizzazioni più recenti è pressoché trascurabile e quello che si verifica dopo lunghi periodi di impiego rimane comunque minimo; in altre parole, questi componenti sono praticamente inestensibili. Le cinghie hanno una elevata flessibilità e in alcuni casi vengono anche realizzate in versioni con doppia dentatura (che tipicamente si impiegano per azionare alberi di equilibratura controrotanti).

Di recente sono state realizzate cinghie dentate in grado di lavorare in bagno d’olio, che già hanno iniziato a trovare alcune importanti applicazioni (ad esempio, per comandare la pompa di iniezione in certi motori diesel). Nello sviluppo di queste cinghie, chiamate “wet belts” o BIO (Belt In Oil), si è particolarmente impegnata la Dayco.

Un grande punto debole delle cinghie è la durata, che è sempre stata notevolmente minore rispetto a quella delle catene e che rende necessario procedere alla sostituzione con la frequenza indicata dal costruttore della vettura. Qui attualmente le prescrizioni cambiano da casa a casa e non di poco. La situazione è comunque notevolmente migliorata rispetto al passato e già da tempo si parla in diversi casi di durate dell’ordine di 160.000 km per i motori a benzina e di 120.000 per i diesel, con la prospettiva di salire ulteriormente in futuro.

I fabbricanti di catene non sono però rimasti con le mani in mano e hanno sviluppato versioni particolarmente evolute sia di quelle a rulli (oggi largamente sostituite dalle catene a bussole) che di quelle silenziose. Non sono certo pochi i costruttori di automobili che per il comando della distribuzione impiegano le robuste, longeve e poco ingombranti catene; tra di essi spiccano nomi come BMW e Mercedes-Benz.

Due parole meritano infine le cinghie del tipo che in origine veniva spesso chiamato Poly-V, che hanno completamente sostituito le classiche cinghie trapezoidali. Non sono sincrone e trasmettono il moto grazie all’attrito. Grazie alla straordinaria flessibilità una sola di esse è in grado di azionare tutti gli accessori posti attorno al motore, dall’alternatore alla pompa del servosterzo, e di farlo silenziosamente e con la massima affidabilità. Queste cinghie hanno un corpo in cloroprene o in EPDM (copolimero etilene-propilene) rinforzato con fibre corte e utilizzano cords, disposti e avvolti come nelle cinghie dentate, in nylon, resina aramidica (kevlar) o poliestere. Poiché anche il dorso viene utilizzato per trascinare in rotazione, grazie all’attrito, una o più pulegge, in genere è dotato di una ben studiata finitura “rugosa” o è ricoperto con un sottile tessuto.

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