Lancia Stratos, anima da corsa [Video]

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Uno sconvolgente giro su una delle regine del rally made in Italy, alzate il volume
25 settembre 2017

Per chi è cresciuto a pane e rally ci sono alcuni nomi che non possono fare a meno di suscitare emozioni e pensieri parecchio caldi. Uno tra tutti è di certo Stratos. Non solo per il modello che riporta in mente, ma anche per l’epoca d’oro dell’Italia, e di Lancia ancor di più, nei rally di tutto il mondo. Un’età aurea inaugurata da prima con la Fulvia HF, con la Stratos poi, per passare dalla 131 e 124 Abarth e di nuovo alla 037 e alla mostruosa gloria del Gruppo B, la Delta S4.

Ma la storia della Stratos è sicuramente una delle più romantiche. Prima auto progettata specificamente per i rally dalle mani dell’ingegnere Nicola Materazzi, Nella versione definitiva, sia il motore che la trasmissione erano quelli della Ferrari Dino 246, i quali, abbinati a un telaio monoscocca centrale in acciaio, resero la Stratos un'automobile sportiva molto competitiva. L'esordio in gara avvenne nel 1972 al Tour de Corse, dove fu affidata al pilota Sandro Munari. Ottenne il suo primo successo l'8 settembre del 1973 al Rally Firestone di Spagna con Munari e Mario Mannucci. Ad oggi gli unici rally mondiali che mancano nel palmarès della Stratos sono il Rally RAC e il Safari Rally.

Dal vivo: com’è fuori

Forme uniche, inconfondibili; i 3,71 m di lunghezza per 1,75 di larghezza e 1,08 m di altezza hanno contribuito a creare uno dei miti dell’automobilismo mondiale. Diversa da qualunque altra vettura coeva la Stratos ha le sembianze di una navicella spaziale, specialmente quando si isola la struttura centrale alzando cofano posteriore e anteriore, che si aprono come uno scrigno. Fatta per fendere l’aria da qualunque parte la si guardi viene in mente la punta di una freccia. I fanali sono a scomparsa e donano all’auto un look senza tempo. Avrà anche i suoi anni sulle spalle, ma sono poche le macchine capaci di invecchiare così bene. L’impostazione del parabrezza colpisce da fuori e impressiona da dentro, così come le dimensioni delle ruote, che con i loro 15” e 305 cm di larghezza al posteriore danno un’idea della portata di potenza che l’auto deve scaricare a terra. Infine, la ciliegina sulla torta è la livrea Alitalia che ha contribuito a rendere questo pezzo di storia ancora più mitico e intramontabile.

Dal vivo: com’è dentro

Claustrofobica. L’ambiente è spartano e inospitale, se siete più altri di 1.80 farete molta fatica a trovare spazio all’interno dell’abitacolo, con gli stinchi a un centimetro dalla plancia pronti a spezzarsi a un eventuale impatto. La seduta è bassa, ma non compromette troppo la visibilità, il pilota deve fare però i conti con un montante a tratti invasivo le parti laterali del cristallo che si assottigliano per andare a chiudersi verso i finestrini. Si rabbrividisce pensando alla concezione di sicurezza che si aveva al tempo, cone una ‘tenda’ in nomex dietro i sedili che doveva evitare l’intrusione di fiamme nell’abitacolo. Da dentro si può apprezzare il lavoro delle saldature svolto sul telaio e la danza del pilota sui pesali durante la marcia, ma il bello è dato dalla purezza delle sensazione che l’auto vi fa arrivare anche senza tenere in mano lo sterzo.

Dal vivo: come si guida

Per l’appunto non abbiamo avuto modo di metterci dietro il volante di questa leggenda inarrivabile, ma è bastato il sedile del copilota per farci rendere conto di cosa fosse una volta il motorsport e di cosa, purtroppo, non sarà mai più. Una volta in movimento l’unico protagonista è il V6 centrale trasversale, assieme ai circa 260 e più cavalli che sbraitano fino a regimi indegni. Si tratta di un propulsore dall’erogazione lineare ma capace di proiettare gli 890 Kg della vettura in accelerazioni brucianti. Difficile sentirsi parlare, quasi pensare e immaginare che oltre al caos le temperature che raggiunge l’abitacolo sono prossime a quelle di un forno industriale, vi viene in mente cosa potesse essere affrontare un rally come il Safari a bordo di un mezzo del genere. Come già detto la vettura è sincera, ma non per questo precisa. Il passo corto la rende assai nervosa e bisogna stare attenti a quello che si fa con il volante perché ritrovarsi contromano è assai semplice qui. Oltre questo la macchina resta difficile da interpretare, vista anche la presenza di un cambio che richiede una doppietta costante. Solo qui, però, è possibile trovare emozioni pure, scuotimenti e strattoni che ormai non esistono più. Sicuramente le auto da rally di oggi sono anni luce più veloci e capaci di farvi scorrere l’adrenalina a fiumi, ma rimaniamo convinti che un giro a bordo della Stratos sia qualcosa di più unico che raro.

In conclusione:

Se ne volete una dovrete sborsare una cifra non troppo lontana dal milione di euro, visto che sono stati pochissimi gli esemplari costruiti e ancor meno quelli ‘sopravvissuti’ alle varie competizioni. Una bella raccolta firme per farla diventare patrimonio dell’umanità non guasterebbe, anche se sappiamo che c’è chi in garage ne ha ben più d’una gelosamente custodita. Speriamo allora che i posteri un giorno potranno sentire questo eterno mostro squarciare l’aria con il suo infernale ruggito.

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