Ligier JS P3, la prova in pista [Video Primo Test]

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Emiliano Perucca Orfei
A Magny Cours con la P3 dello storico marchio transalpino
21 novembre 2017

Ligier è un brand assolutamente leggendario nella storia del motorsport: 20 anni di presenza fissa nel mondiale di una F1 "ancora speciale", quella dal 1976 al 1996, hanno infatti reso indelebile il ricordo di questo team dell'ex giocatore di rugby Guy Ligier. 325 i gran premi disputati, 9 le vittorie, la Ligier venne poi venduta a partire dal 1997 ad Alain Prost che giocò la carta del team francese con motori e piloti d'Oltralpe ribattezzando il team con il suo cognome.

Nel frattempo Guy Ligier si dedicò ad altro lasciando il mondo delle corse ma ovviamente la passione rimase forte e cristallina come sempre: una passione ed una voglia di ritornare a vedere il proprio brand correre talmente forte da convincere l'amico Jaques Nicolet, proprietario di Everspeed, ad utilizzare il nome Ligier per una famiglia di vetture Onroak che sarebbero andate a competere negli anni successivi nelle categorie Le Mans: LMP2 ed LMP3 prima, LMP1 e LMP4 poi.

Categorie in cui l'automobilismo è uno sport di altissimo livello ed in cui viene richiesta un livello di progettazione ed attenzione per il dettaglio elevatissimo: esattamente come la LMP2 di Le Mans, dunque, anche la Ligier JS P3 è stata pensata dagli uomini della Onroak (che fa capo ad Everspeed) con l'obiettivo di andare a posizionarsi al top della categoria, sfruttando in tutto questo anche molto know how italiano: tutte le componenti in fibra di carbonio, infatti, sono realizzate ad Ascoli Piceno dalla HP Composites

Una vettura, dunque, estremamente sofisticata spinta da un motore V8 da 5.0 litri di derivazione Nissan (VK50) in grado di erogare 420 cv. Un valore notevole se si considera che la Ligier JS P3 pesa solamente 930 kg e sfrutta un set aerodinamico in grado di assicurare notevole carico aerodinamico all'aumentare della velocità, elemento questo che le permette di essere estremamente veloce sul giro secco.

Lunga 4.605 mm, larga 1.900 e sviluppata su un passo di 2.860 mm, la JS P3 risponde ai dettami della categoria LMP3 anche per quanto riguarda il cambio che alla stregua del motore è stabilito dal regolamento: il sei marce sequenziale con "case" in alluminio è realizzato dalla X-Trac.

Anche per quanto riguarda i freni c'è tecnologia italiana al servizio della prestazione della JS P3: il kit frenante, con dischi in acciaio, è infatti firmato dalla italiana Brembo e prevede dischi da 14" di diametro e pinza freno a sei pistoncini.

All'interno dell'abitacolo la JS P3 è quanto di più professionale esista in tema di motorsport: è essenziale ma allo stesso tempo prendono posto alcuni elementi tipici delle auto di ultima generazione, a partire dalla strumentazione digitale per arrivare ad un pannellino di comando ricco di tasti per il controllo dei parametri del motore e della attivazione di accessori chiave per una corsa di durata come i fari o il...tergicristallo. 

Una vettura a suo modo spaziosa, anche se dalle immagini non lo sembrerebbe, in cui è ovviamente necessario realizzare un sedile su misura per sfruttare al massimo il potenziale di un telaio che in curva promette grandi cose.

Mi siedo a bordo, i tecnici ed i meccanici mi spiegano tutte le procedure di avviamento, e dopo un breve sunto di tutte le cose da sapere mi viene dato il via libera per avviare quel gran bel pezzo di motore che è pronto a scatenarsi alle mie spalle: lo avvio con il tasto sul volante e dopo qualche giro a vuoto finalmente prende vita. E' una voce forte, la vibrazione del cinquemila aspirato è di quelle che non si dimenticano facilmente, e l'unica cosa che penso in questo momento è la procedura di partenza: spegnere il motore al via può capitare ma se con un'auto da corsa si riesce a partire al primo colpo lo preferisco, dà una certa sicurezza.

Il motore al minimo è quanto di più "godurioso" esista per un appassionato di motori e dopo gli ultimi controlli alle pressioni il capo-meccanico mi chiude la porta e mi lascia solo sulla pista Club di Magny Cours. La sensazione è meravigliosa e dentro a quella bolla di "lexan" con quella porticina così leggera e minuta alla mia destra inizio a capire cosa provano tutti quei piloti di Le Mans che da anni vedo sfrecciare nella notte più lunga dell'anno: dev'essere pazzesco. 

In realtà la mia esperienza è decisamente meno mistica e molto più reale perché è vero che la JS P3 lascia il box con una discreta facilità ma è anche vero che le gomme Michelin sono ancora fredde e la pista Club non è certamente l'ambiente perfetto per una vettura del genere: vero le vie di fuga sono ampie e sicure ma il tracciato è troppo lento per far lavorare bene una vettura di questo genere. L'assetto, per quanto alzato e ammorbidito, non è infatti pensato per piste così lente e la sensazione - soprattutto a gomma fredda - che la belva non possa scatenarsi come saprebbe davvero fare la tocco con mano quando inizio a spingere sul rettifilo, da quinta, che mi porta nella zona più guidata.

Con l'aumentare della velocità la JS P3 assume una dimensione diversa rispetto a quella che ha quando si muove lentamente e ci si affida alla sola meccanica ed è un vero peccato non riuscire ad apprezzarne al massimo le gesta se non in un paio di curve da percorrere in terza: qui si sente chiaramente il lavoro dell'aerodinamica, che spinge verso il suolo la vettura trasformando in efficace un assetto che prima di allora appariva piuttosto duro e nervoso. 

La JS P3 è una vettura che ha tutte le caratteristiche delle vetture aerodinamiche e per guidarle a fondo c'è bisogno di piste medio veloci oltre che di una certa abitudine alla guida di quelle che di fatto sono degli aeroplani rovesciati

Esattamente come la Renault RS 01 che ho guidato a Jerez un paio d'anni fa, dunque, anche la JS P3 è una vettura che ha tutte le caratteristiche delle vetture aerodinamiche e per guidarle a fondo c'è bisogno di piste medio veloci oltre che di una certa abitudine alla guida di quelle che di fatto sono degli aeroplani rovesciati.

Una sensazione bellissima, atipica per chi come me è più abituato a guidare mezzi in cui è la componente meccanica ad avere la meglio su quella aerodinamica, perché è chiaro e lampante come l'idea di percorrenza e di ingresso in curva è completamente stravolta in un mezzo come questo: qui si vola ed il limite, almeno nel mio caso, non è certamente la macchina ma la mia conoscenza di questo modo di guidare un'auto da corsa.

Continuo a guidare, mi godo la potenza dell'impianto frenante, la violenza con cui il cambio X-Trac passa da un rapporto all'altro e mi sorprendo curva dopo curva di come questa JS P3 sia in grado di andare fortissimo con una armonia davvero incredibile: anche senza avvicinarmi ai tempi di riferimento mi accorgo di come sia l'armonia e l'accordo tra le varie componenti a rappresentare il punto di forza di queste vetture, che sono terreno di caccia di professionisti ma anche di gentlemen che hanno voglia di fare sul serio.

Il tutto senza spendere cifre esagerate in ambito Motorsport: una JS P3 costa per regolamento 207.000 euro + tasse che rappresenta esattamente la metà del listino medio di una GT3. E' vero, fa "meno figo" guidare un prototipo rispetto ad una Lamborghini o una Ferrari da corsa, ma le soddisfazioni racing che si provano a bordo di un sogno come questo sono assolutamente imparagonabili a qualsiasi altra vettura a ruote coperte al mondo.

Faccio i miei più vivi complimenti a Onroak per aver dato vita a questo progetto "Ligier" puntando sulla progettazione francese e sulla qualità del prodotto italiano in termini di costruzione del carbonio: del resto di eccellenze come la HP Composites ne esistono poche al mondo ed il frutto di questo know how si riflette sulla qualità costruttiva di questo prodotto, che è davvero eccezionale.

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