Dakar ’18 Il Viaggio. Decimo Cielo (Piste Parallele) - Ultima puntata

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Piero Batini
  • di Piero Batini
Mr. Franco, una Peugeot 3008 “Campione in carica”, tre Paesi da scoprire sulle tracce (e fuori pista) della Dakar. È l’Avventura “parallela”, viaggio sensazionale accanto a una Dakar Perù-Bolivia-Argentina eccellente. L’ultima di Marc Coma Organizzatore
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
5 luglio 2018

15- Parigi, Lima… Dicembre 2017. No, non è finita. O meglio, la Dakar è in archivio, il viaggio della Dakar… no. Ma lo sapevate, non era più un segreto. Le immagini erano scivolate online come indiscrezioni e avevano già rivelato la parte del viaggio non era ancora stato ancora raccontato. Una parte importante del Viaggio. Ricominciamo, dunque, dal giorno in cui lasciammo l’Europa. Mr. Franco da Milano, io da Parigi.

Era subito dopo Natale. È stata un’idea di Mr. Franco. Motivata. Doppiamente motivata. La prima ragione la conoscete già, e ancor prima di leggerla su queste pagine. Mr. Franco è l’inventore dell'Incas Rally. Per un lustro il Rally in Perù è stato l’Avventura più eccitante e originale della storia, dopo la Dakar, ma… non così tanto dopo. Era un’altra cosa, più familiare, affettiva, intima. L’Incas è stato l’incantesimo formidabile scaturito dalla bellezza del Perù e dalla fantasia romantica di Mr. Franco. Indimenticabile. È facile immaginare lo spessore del legame tra l’Uomo e quel Paese. La seconda ragione è la potenza dell’incantesimo. Il segreto è lasciare spazio al tempo, far andare avanti il ritmo dei luoghi, concedere ai sensi di avvertire, capire, finalmente sentire i profumi di quella terra, i suoi sapori, i colori nel sole accecante dell’altitudine o filtrato dalle nebbie dell’alba, dal salmastro ventoso del Pacifico o dall’umidità tropicale delle valli in altura. Tempo alla mente per adattarsi a un’inusuale intensità di percezione, alla pelle per leggere nelle temperature, agli occhi… per crederci.

La magia di Macchu Picchu
La magia di Macchu Picchu

Io avevo già deciso che sarei andato a Machu Picchu. Non vedo come non avrei potuto pensarci, allo stesso modo di quando ero andato alle cascate di Iguaçu un anno prima, quando la Dakar era partita da Asuncion, in Paraguay. Mi sarei dato 36 ore di tempo, avrei volato a Cuzco, da lì alla Montagna. E ritorno. Sarei partito non appena iniziava l’anno e sarei tornato a Lima il 3 di Gennaio, in tempo per attaccare la Dakar. Era stato Mr. Franco a farmi notare l’errore, e a dissuadermi.

Non si può andare a Machu Picchu volando. Ti perderesti buona parte, forse tutta la magia, e tratterresti dell’esperienza forse poco più della cartolina che hai visto mille volte e che ti ha spinto a partire. No. Machu Picchu Bisogna conquistarlo sentendo salire la terra sotto i piedi, tappa dopo tappa avvicinandolo con discrezione. Rispetto. E dopo devi respirarlo a fondo. Gran parte dell’emozione, del segreto di Machu Picchu è nella marcia di avvicinamento, di scoperta".

Dopodiché aveva organizzato la spedizione. Da Lima a Machu Pichu, via Paracas, Nazca, Puquio, Abancay, la Valle Sacra, Urubamba, Ullantaytambo. Da lì Aguas Calientes con il trenino. Machu Picchu. Poi il ritorno a Lima da Cuzco, questa volta, sì, planando dalle Ande, in tempo per la Dakar. Tre giorni per andare, uno per il ritorno. Credo di non aver mai avuto un programma di viaggio così bello, logico, che sia riuscito a coinvolgermi emotivamente così tanto. Grazie mille. Arrivo a Lima un’ora prima di Mr. Franco. Con Mr. Franco arrivano anche la figlia, Michela, e la nipotina, Gaia, alla prima “missione” sudamericana. La più importante. Il tempo di una colazione all’aeroporto, il Comandante assegna i ruoli, e “i” Kike, Senior e Junior, guidano il piccolo convoglio. È l’inizio di un’escalation emozionale che non mi aspettavo. Incredibile allineamento dell’umore alle circostanze, in un crescendo di meraviglie. Questo è il Perù.

Di Paracas sapete, ci siamo andati anche nel “pre-viaggio”, che non ha fatto altro che confermare la perfezione della stazione di posta prescelta. Cambiato i cavalli, Nazca. Beh, Nazca non si può attraversare come una freccia. “Casualmente” alloggiamo all’Hotel de Turistas, che oggi ha cambiato nome ma che conserva intatta la stanza dove ha vissuto Maria Reiche, la “custode” delle Linee.

Le linee
Le linee

È una storia affascinante, sconcertante, curiosa e anche un po’ misteriosa. Soprattutto se si pensa alla persona che è vissuta nel deserto per più di cinquant’anni, a diecimila chilometri da casa, sola, ripulendo le linee che andava scoprendo giorno dopo giorno, e poi interpretando, cercando di capire, raccontando. Ma, nessun mistero: “La Loca” era votata alla causa. All’inizio la bianca e bionda Maria Reiche era una figura quasi inquietante, poi finalmente anche la gente di Nazca iniziò a vedere “las Lineas” attraverso i suoi occhi azzurrissimi. Oggi è nella storia della Città e del suo simbolo ancora enigmatico, indelebile come le Linee. Il mistero è sempre di grande attualità, meglio non farsi troppe domande e assorbire dall’atmosfera le sensazioni. E tenersi forte! Sì, perché a volare sulle linee con uno di quei trabiccoli bimotore, e seguire oltre che le linee anche le acrobazie dei loro divertiti piloti, è facile per gli occhi ma impossibile per… lo stomaco, che prima o poi urla vendetta.

A Nazca scopriamo la corsa all’oro nel suo rovescio della medaglia. Una vita a sottrarre alla terra le ultime pagliuzze del prezioso metallo, ore e ore dall’alba al tramonto per poche diecine di dollari, quando va bene. Da noi si pensa all’oro nei caveau, blindato sotto terra per essere protetto dagli assalti. Laggiù non è così

A Nazca scopriamo la corsa all’oro nel suo rovescio della medaglia. Una vita a sottrarre alla terra le ultime pagliuzze del prezioso metallo, ore e ore dall’alba al tramonto per poche diecine di dollari, quando va bene. Da noi si pensa all’oro nei caveau, blindato sotto terra per essere protetto dagli assalti. Laggiù non è così. Lo si cerca scavando nella terra il proprio tunnel, macinando il minerale, filtrando e trattando l’impasto sinché non rivelerà la sua frazione di valore. Il Minatore non è in pericolo, a queste condizioni, perché su di sé non avrà mai abbastanza da essere appetibile per un malintenzionato. I Minatori scavano da soli, macinano e trattano il minerale in compagnia, cantando, discutendo, raccontandosi.

La sera andiamo al piccolo, intimo planetario ricostruito nel cortile dell’hotel, ad ascoltare il racconto delle Linee e di Maria Reiche. La mattina dopo, presto, si riparte, è ora di dare assalto alle Montagne.

Splendida fauna
Splendida fauna

Mr. Franco è silenzioso. Lo interpello, incerto, preoccupato. Ci sono dei giorni alla Terra del Fuoco che, pur sapendo che ce ne sono a diecine, non riesci a vedere le balene. Per qualche ragione non emergono, e diventa un semplice viaggio a vuoto. Oltre la nebbia c’è la meraviglia di Machu Picchu, ma se la nebbia non si alza…

Mr. Franco mi guarda, sorride silenzioso e mi fa un cenno con la testa, quasi impercettibile, come di assenso. O di pazienza. Ma certo! Non è nebbia, è una nuvola. Prima o poi si allontanerà. Ma non si muove. Mr. Franco torna a guardare dentro la nebbia, estatico, direi religioso. Poi tutto comincia con un raggio di sole. Come una sciabolata che scuote l’aria. La nuvola si agita. Si crea una corrente, sembra di aria ma è luce, che viene dalla Porta del Sole, a Est.

Pian piano, solennemente, la nuvola prima si stratifica, poi inizia a dissolversi lasciando che l’immagine di Machu Picchu inizi a comporsi. Prima in sprazzi di grigio sfuocato, poi in bianco e nero su tratti che iniziano a essere più definiti. L’immagine si colora, tenui pastelli, poi esplode nei toni forti della luce nell’aria tersa. Succede tutto molto lentamente, progressivamente, ma è solo a un certo punto che si ha la percezione completa, totale del quadro che si è formato davanti i noi. È luce, è profondità, è il villaggio inca, segreto anche agli Spagnoli a 2400 metri di altitudine su uno spettacolare strapiombo di 450. Non è la Villcabamba di Hiram Bingham. È la purezza di Machu Picchu, la comunione non stratificata come a Cuzco, per esempio, dove invece sono arrivati, in tanti, a più riprese. Ci abbracciamo tutti. È un’emozione forte, un momento particolare che ci lega. Poi Mr. Franco ci porta ai piedi dell’unico albero tra i muri a secco di quello che è oggi considerato un santuario della storia del Perù. “Non era così alto, quando sono venuto qui la prima volta, ma era l’unico, come oggi. Il tempo è crescita.” Primo Gennaio duemiladiciotto.

Paesaggi scenografici
Paesaggi scenografici

Torniamo giù. Alla Valle Sacra, probabilmente un po’ cambiati, poi a Cuzco, poco più a Nord a Sacsayhuaman, non meno misteriosa, raffinata e gigantesca fortezza megalitica, altri amici, altri trent’anni di legami e un’altra notte d’altri tempi prima di ripartire…

Atterriamo a Lima che è sera, la discesa da Cuzco è stata un balletto di turbolenze. Shakerate le emozioni siamo di nuovo a Miraflores. Pronti per la Dakar

Atterriamo a Lima che è sera, la discesa da Cuzco è stata un balletto di turbolenze. Shakerate le emozioni siamo di nuovo a Miraflores. Pronti per la Dakar. Dalla mattina successiva si volta pagina, e quella settimana del viaggio da sogno verrà sedimentata lentamente, riorganizzata in un valzer di ricordi e di emozioni. Passiamo nella hall dell’hotel e cadiamo nell’imboscata. Alberto, Carlos Roberto e Michel. Gli amici di Franco sono lì. Ci aspettavano. Siamo fatti prigionieri. Prima il ristorante Svizzero, la Tiendencita Blanca di Alberto, poi il piano d’azione per i giorni seguenti. Saremo lasciati liberi di seguire la nostra Dakar, ma il patto è che gli amici ci seguiranno, ci accompagneranno fino a Paracas, poi a San Juan de Marcona, a Nazca. Abbiamo ancora da celebrare. La Dakar, d’accordo, ma soprattutto quell’amicizia di trent’anni, e la Storia che si è sovrapposta ed è diventata parte integrante del Paese, il Paese stesso, così bello e così carico di fascino, di storia che è ancora tradizione, di civiltà e di pace. La prima civiltà di pace che emerge dalla Storia.

“L’ultima edizione dell’Incas Rally fu la Lima-Rio” – Mr. Franco racconta – “Per una serie di circostanze stavamo chiudendo il ciclo dell’Avventura del Rally in Perù e ci venne l’idea di gemellare i due Oceani che stringono l’America del Sud in una Maratona di Avventura tra il Pacifico e l’Atlantico. Vinse Fabrizio Meoni. Certamente non un caso. Fu un’Avventura vera, eccitante nel suo spessore generale e a tratti persino drammatica. Fu un successo sensazionale e un ricordo indelebile. Saremmo tornati ancor in Perù, con l’edizione celebrativa del Rally. Volevamo solo ritrovare le atmosfere speciali del Paese e degli amici, ripristinare i legami con la Gente che era cresciuta al nostro franco e ci aveva fatto crescere. All’epoca non avevamo confini. Né geografici né mentali, sapevamo di poter spaziare per tutto il Sud America. Sapevamo anche che il Perù di allora era il centro del nostro modo di intendere l’Avventura del Rally. Lo è ancora, di nuovo. Da allora non avremmo più pensato ad attraversare dei confini con una Corsa, sapevamo che saremmo rimasti sempre dentro i limiti di un solo Paese, che il Rally poteva e doveva vivere in Perù o altrove, per esempio in Nevada, ma che l’esperienza totale era rimanere in un solo centro storico e culturale di grande bellezza, il più a lungo possibile!”

Ma te guarda!

Piero Batini – Immagini Nikon

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