Formula 1, la McLaren a Montecarlo compie 50 anni

Formula 1, la McLaren a Montecarlo compie 50 anni
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Nel 1966 a Montecarlo Bruce McLaren disputava il primo Gp con una vettura che portava il suo nome
28 maggio 2016

182 vittorie, 12 titoli piloti, 8 allori costruttori, 485 podi, 155 pole position: Bruce McLaren probabilmente non si sarebbe aspettato di dare via ad una storia di così grande successo il 22 maggio del 1966, quando, dopo due anni dalla fondazione del proprio team, il pilota neozelandese partecipò al suo primo Gran Premio di Formula 1 ufficiale al volante di una macchina che portava il suo nome, a Montecarlo. Quella corsa non gli sorrise: la M2B con propulsore Ford, infatti, si fermò dopo soli nove giri, per una perdita d'olio. La gara di Monaco, però, rappresentò l'incipit di cinquant'anni di successi e colpi di scena per la McLaren

La prima vittoria in Formula 1 della McLaren arrivò nel 1968, nel Gp del Belgio, proprio per mano del fondatore, due gare dopo il primo podio, colto dal campione del mondo dell'anno precedente, il suo connazionale Denny Hulme, in Spagna. Bruce McLaren divenne così il secondo pilota della storia, dopo Jack Brabham, a cogliere un successo al volante di una macchina che portava il suo nome. Quell'anno Hulme vinse anche il Gp d'Italia e quello del Canada. Nel 1969, invece, arrivarono tre podi per McLaren e la vittoria per Hulme nel Gp del Messico.

La favola di Bruce McLaren, però, non era destinata al lieto fine: il pilota neozelandese, infatti, trovò la morte il 2 luglio del 1970 a Goodwood, mentre testava la nuova M8D. McLaren aveva solo 32 anni. Dopo la scomparsa di McLaren, ad assumere il controllo della scuderia fu il responsabile commerciale, Teddy Mayer. Il primo titolo mondiale piloti per la McLaren arrivò nel 1974, per mano del brasiliano Emerson Fittipaldi. Emmo riuscì a centrare l'alloro con un quarto posto nel Gran Premio degli Stati Uniti, beffando Clay Regazzoni per soli tre punti.

Il 1976 vide l'approdo in McLaren di uno dei personaggi più affascinanti dell'epoca, il britannico James Hunt. Il nuovo alfiere della McLaren fu protagonista di un avvincente duello con Niki Lauda, all'epoca sotto l'egida del Cavallino Rampante. A metà stagione, Lauda vantava 56 punti, mentre Hunt solo 26. Lauda, però, fu protagonista di uno spaventoso incidente al Nurburgring, che gli costò quasi la vita, e fu costretto a saltare le successive due corse. Hunt colse quattro successi di fila, e i due contendenti per il titolo si giocarono l'alloro nell'ultima gara dell'anno, in Giappone. La pioggia torrenziale al Fuji persuase Lauda, preoccupato per la mancanza di sicurezza, a non disputare la corsa, e Hunt vinse il mondiale. 

La vittoria del Gp del Giappone del 1977 da parte di James Hunt fu l'ultima prima di un periodo buio, che vide la McLaren entrare negli anni Ottanta senza cogliere alcun successo. Dopo l'ennesima stagione deludente, quella del 1980, Philip Morris, lo sponsor principale della McLaren, costrinse Teddy Mayer alla fusione con una scuderia di Formula 2 che la multinazionale sosteneva, denominata Project 4. Il team principal della Project Four Racing, Ron Dennis, prese le redini di quella che era diventata la McLaren International. Proprio da Project 4 viene l'acronimo MP4 - inizialmente Marlboro Project 4, poi McLaren Project 4 - che denomina le monoposto della McLaren ancora oggi.

Sotto l'egida di Ron Dennis, la McLaren andò incontro ad un periodo d'oro tra la metà degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. Nel 1983, Dennis, che, insieme ai suoi soci, aveva acquistato le quote della scuderia di Mayer e di Tyler Alexander, convinse Mansour Ojjeh, amministratore delegato della TAG e all'epoca investitore della Williams, a finanziare la produzione di propulsori turbo V6 Porsche che avrebbero portato il nome della società.

Proprio quell'anno arrivò una vittoria che passò alla storia: a Long Beach, infatti, John Watson, scattato dalla ventiduesima posizione, vinse la gara. Nessuno, dopo di lui, è mai riuscito a cogliere un successo partendo così indietro nello schieramento. Le Michelin, sulle vetture della McLaren, in qualifica non avevano performato a dovere. In gara, con il serbatoio pieno, però, fu un'altra storia: sul podio, oltre a Watson, salì anche Lauda, tornato dopo il ritiro dalle corse quell'anno. 

Il 1984 vide il dominio della McLaren: furono 12 le vittorie conseguite dal team, i cui alfieri erano Niki Lauda e Alain Prost. Alla fine della stagione, arrivarono il titolo costruttori e quello piloti, ottenuto da Lauda per mezzo punto di vantaggio sul compagno di squadra; si tratta del margine minore della storia. Il pilota francese, però, si rifece ben presto, vincendo due mondiali di seguito, nel 1985 e nel 1986; nessuno, dopo Jack Brabham, iridato nel 1959 e nel 1960, era riuscito a centrare questo obiettivo.

Il meglio, però, doveva ancora venire: nel 1988, infatti, la McLaren - che contava su Prost e su Ayrton Senna, in arrivo dalla Lotus - dominò la stagione, vincendo 15 gare su 16, cogliendo 15 pole position su 16 e mantenendo il comando per 1003 dei 1031 giri disputati durante il campionato con la MP4/4, considerata una delle migliori monoposto della storia di Formula 1.

Sarebbe stato un en plain a livello di corse vinte, se non fosse stato per il Gran Premio d'Italia, occasione in cui la vettura di Alain Prost abbandonò il francese per un problema meccanico; non andò meglio a Senna, protagonista di un contatto con Schlesser a due giri dalla fine della gara in fase di doppiaggio, mentre era in testa alla corsa. A vincere il mondiale piloti fu Senna, per la prima volta iridato. 

La rivalità tra Senna e Prost era destinata a diventare sempre più aspra nel corso della stagione 1989, raggiungendo il climax nel Gran Premio del Giappone. A Suzuka i due piloti arrivarono al contatto al Casio Triangle; Prost fu costretto al ritiro, mentre Senna, dopo un pit stop per mitigare i danni alla sua MP4/5, rientrò in pista, riuscendo a riprendere il comando della corsa, superando il nostro Alessandro Nannini, a tre giri dalla fine della gara.

La gioia del brasiliano, però, fu di brevissima durata: Senna, infatti, fu squalificato per la manovra ai danni di Prost. L'anno successivo, i due ex fratelli coltelli della McLaren - Prost era passato alla Ferrari per la stagione 1990 - finirono nuovamente per toccarsi, sempre in Giappone. Nessuno dei due terminò la corsa, e Senna vinse il mondiale. Nel 1991 il pilota brasiliano colse il terzo alloro piloti. 

L'età d'oro successiva della McLaren arrivò nel 1998: nell'agosto dell'anno precedente Adrian Newey, progettista di grandissimo successo della Williams, era passato alla McLaren, e la MP4/13, la prima vettura con la sua firma, si rivelò subito competitiva, permettendo al finlandese Mika Hakkinen di vincere il mondiale, battendo Michael Schumacher grazie ad uno sprint finale, con i successi nelle due ultime corse dell'anno, in Lussemburgo e in Giappone. La McLaren ottenne inoltre il titolo costruttori. L'anno successivo Hakkinen fece il bis, ma fu la Ferrari ad essere iridata. Nel 2000, il pilota finlandese dovette cedere lo scettro a Schumacher, ma entrò nella storia grazie all'iconica manovra su Schumacher - e Zonta, doppiato - alla Les Combes a Spa. 

Una monoposto certamente competitiva fu la MP4/20, vettura progettata da Newey per la stagione 2005 e affidata a Kimi Raikkonen e a Juan Pablo Montoya. Raikkonen colse il maggior numero di vittorie - sette - in quel campionato, ma la vettura si rivelò troppo fragile, costringendo spesso e volentieri gli alfieri della scuderia di Woking al ritiro. Ad approfittarne fu Fernando Alonso, laureatosi campione del mondo più giovane della storia al termine della stagione. 

Nel 2007, fu proprio Alonso, reduce dal doppio alloro mondiale con la Renault, ad approdare in McLaren, al fianco di un giovane pilota da anni sotto l'egida protettiva della scuderia di Woking, un certo Lewis Hamilton. La rivalità tra il più esperto Alonso, all'epoca ventiseienne, e il campione GP2 in carica, Hamilton, 22 anni, diventò esplosiva a metà stagione. Un episodio su tutti è passato alla storia: Gran Premio di Ungheria, qualifiche. Hamilton dovrebbe lasciare il passo ad Alonso nella fase di consumo della benzina delle qualifiche, ma non lo fa.

Durante la Q3, Alonso rientra ai box per montare pneumatici freschi, ma, vedendo Hamilton alle sue spalle, pronto ad installarsi al suo posto nella piazzola, decide, una volta avuto il via libera dai meccanici, di non muoversi di un millimetro per alcuni, interminabili secondi, facendo perdere al compagno di squadra il tempo necessario per impedirgli di effettuare un ulteriore tentativo lanciato. Il risultato? Penalizzazione per Alonso e rapporti compromessi tra i due. Alla fine di quella stagione, a godere fu il proverbiale terzo litigante, Kimi Raikkonen, passato in Ferrari proprio quell'anno. Il 2007 fu anche l'anno della famigerata Spy Story, che costò alla McLaren tutti i punti del mondiale costruttori. Mike Coughlan, ingegnere della McLaren, aveva ottenuto documenti contenenti preziose informazioni tecniche dall'ex capo meccanici della Ferrari, Nigel Stepney. 

Hamilton si rifece nel 2008, con un finale di stagione decisamente al cardiopalma, ad Interlagos. Sotto la pioggia battente, Hamilton avrebbe dovuto ottenere almeno il quinto posto per laurearsi campione del mondo. All'inizio dell'ultimo giro, Hamilton era sesto: il leader della corsa, Felipe Massa, tagliò il traguardo della gara con il titolo in tasca. L'alloro, però, fu suo per meno di trenta secondi: Hamilton, infatti, sorpassò un Timo Glock in ambasce con le slick da asciutto sotto una pioggia torrenziale, cogliendo il quinto posto che gli valse il mondiale, l'ultimo titolo ottenuto dalla McLaren sinora.

La storia recentissima della scuderia di Woking ha visto il ritorno di una partnership di grandissimo successo nel passato, quella con Honda. Questa volta i frutti, però, sono stati tutt'altro che positivi: la stagione 2015, la prima per McLaren con le power unit della casa giapponese, è stata un disastro. Jenson Button, a Woking dal 2010, e il figliol prodigo, Fernando Alonso, si sono ritrovati alla mercé di una monoposto inaffidabile e decisamente poco competitiva. Quest'anno la situazione è leggermente migliorata, ma non abbastanza da permettere alla McLaren di cogliere risultati degni del proprio blasone. L'augurio, per questi primi 50 anni della McLaren, è il ritorno quanto prima ai fasti del passato. 

Foto: McLaren, Formula1.com

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