Formula 1, Ramirez: «In Ungheria abbiamo scritto una pagina di storia»

Formula 1, Ramirez: «In Ungheria abbiamo scritto una pagina di storia»
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Paolo Ciccarone
In occasione del trentesimo anniversario dell'entrata del Gp d'Ungheria nel calendario della F1, Jo Ramirez, all'epoca team manager della McLaren, racconta la prima edizione della corsa magiara
27 luglio 2016

Sarà la stagione dei record di corse di F.1, saranno 21 le gare che si disputeranno e per qualcuno il calendario è troppo fitto. Quest’anno c’è stata la novità di Baku in Azerbaijan, ma il panorama della F.1 è cambiato profondamente dagli anni 70 e 80, che bene o male hanno conservato la loro fisionomia anche nel periodo successivo, gli anni 90, quando la F.1 ha cominciato a varcare i confini europei. Diceva all’epoca Jacky Ickx, pilota della Ferrari, che fra un GP e l’altro passava troppo tempo e non c’era modo di parlare di F.1 sui media dell’epoca. Ora ci sono corse ogni settimana e se ne parla anche meno di allora. Qualcosa di sbagliato c’è ed è pure enorme. Eppure la F1 ha il merito di avere aperto le porte ad eventi politici di altissimo livello. Il primo in assoluto a fare da cassa da risonanza mondiale fu proprio il GP d’Ungheria. Era il 1986 e il mondo della F.1 era legato all’Europa occidentale e a qualche gara in Giappone, Australia, Messico tanto per dire. Il calendario era di 16 corse di cui 12 in Europa. Oggi il calendario è di 21 gare di cui 7 in Europa. Chiaro sintomo di una trasformazione totale della F.1 che in quel 1986 scriveva la prima pagina di quella che è poi oggi. 

Ricorda Jo Ramirez, all’epoca team manager della McLaren che schierava Prost e Rosberg, il padre di Nico il pilota che ora corre con la Mercedes: “Ci dicono che corriamo in Ungheria, ci chiediamo dove sia e come ci si arriva. Sbrighiamo le formalità burocratiche e scopriamo un mondo arretrato di anni rispetto all’Europa occidentale. Era una curiosità per noi, ma anche per i magiari che ci guardavano come marziani, eravamo tappati in albergo, non c’erano negozi dove comprare merce adeguata, non c’erano ristoranti decenti, nessuno che parlasse inglese, dovevamo avere tutti un interprete al seguito per sbrigare le faccende che da noi erano banali, qui era una tragedia. Dopo 30 anni c’è un mondo evoluto, diverso rispetto al passato, una volta era tutte Trabant oggi girano più Ferrari e Mercedes a Budapest che nelle altri capitali europee. Una volta dicevi che correvi in F.1, non sapevano cosa fosse. Sbarcare qui ha aperto un mondo nuovo, è stato il primo colpo di martello che ha buttato giù il muro di Berlino e ha aperto a queste nazioni una finestra sull’occidente. All’epoca ci era sembrata una sciocchezza di Ecclestone, invece abbiamo scritto una pagina di storia e non lo sapevamo”.

Oggi i trasporti sono organizzati dalla DHL che in tutto il mondo consegna in 48 ore macchine motori e strutture, all’epoca invece era un problema enorme: “Mi ricordo che ci trovammo alla dogana con i ragazzi della Minardi e delle altre squadre, passammo tre giorni per avere tutti i permessi dopo che avevano controllato cassa per cassa e all’epoca mica portavamo tutta la roba che si trasporta oggi, se avessero mantenuto questo sistema, ci sarebbero volute due settimane per sdoganare il materiale!”. Infatti a quel tempo la Ferrari era una squadra che portava più roba in pista, si parla di 3500 kg di materiale, poi salito a 5000 negli anni 80. Oggi una scuderia di F.1 trasporta oltre 15 tonnellate ad ogni gara, uno sproposito rispetto a quel tempo. “qualcosa di simile è accaduto quest’anno a Baku – continua Jo Ramirez – molta gente ha dovuto prendere un atlante geografico per capire dove fosse sto posto e come ci si arrivasse. Poi anche qui problemi con le dogane, lenti e puntigliosi su tutto, ecco sembrava quasi l’Ungheria di 30anni fa, ma la pista a Baku era spettacolare, han fatto davvero una cosa incredibile”.

Una volta dicevi che correvi in F.1, non sapevano cosa fosse. Sbarcare qui ha aperto un mondo nuovo, è stato il primo colpo di martello che ha buttato giù il muro di Berlino e ha aperto a queste nazioni una finestra sull’occidente. All’epoca ci era sembrata una sciocchezza di Ecclestone, invece abbiamo scritto una pagina di storia e non lo sapevamo

Un altro ricordo è di Ivan Capelli, attuale presidente ACI Milano: “Io ho corso l’anno dopo, nell’87, il GP a Budapest, la struttura doveva essere collaudata invece no, pista sporca, guard rail mal fissati, organizzazione inesistente. Il problema era trovare le auto a noleggio, non esistevano affatto e quindi ci eravamo organizzati con gli autisti. C’erano solo le limousine lunghe e larghe e così mattina e sera caricavamo tutto, meccanici, piloti, attrezzi e si andava in pista, non c’era nemmeno l’autostrada come oggi, solo tanta volontà di capire cosa fosse la F.1. E Adrian Newey, il progettista della mia Leyton House, che si divertiva come un matto in questa situazione assurda”. “E’ vero – dice Ramirez – litigavamo le auto a noleggio che mancavano, le dovettero portare dai paesi vicini, ma da quelli comunisti perché dall’Austria era vietato”. Nel 1996, per celebrare i 10 anni del GP d’Ungheria, fu inaugurata una bretella stradale che portava gli addetti ai lavori ai box e fu battezzata Bernie Avenue, in onore di Bernie Ecclestone. Il sindaco di Budapest regalò ad Ecclestone le chiavi della città in una cerimonia suntuosa nella piazza principale della città. Bernie prese la chiave, la guardò e rivolto al sindaco disse: “Avrei preferito la chiave della banca dove tenete i soldi, ma se non avete niente di meglio…”. Oltre alla città, 30 anni dopo, Bernie ha messo le mani anche sul malloppo garantito dalla F.1.

 

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