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Bam! Donald Trump non perde tempo e piazza una bomba sul tavolo del commercio globale. Dal 1° giugno, l’Unione Europea si troverà a fare i conti con una mazzata tariffaria del 50% su tutte le merci dirette verso gli Stati Uniti. Cinquanta. Percento. Roba da far tremare i polsi anche ai più stoici burocrati di Bruxelles. Il tycoon, con il suo solito piglio da showman, ha definito l’Europa “molto difficile da trattare” e ha liquidato i negoziati con un laconico “non stanno andando da nessuna parte”. E così, eccoci qui, sull’orlo di una guerra commerciale transatlantica che rischia di mandare in frantumi un flusso di merci da 600 miliardi di dollari. Preparatevi, perché il mondo sta per diventare un posto ancora più incasinato.
Non è la prima volta che Trump gioca la carta delle tariffe. Già il 2 aprile, con il suo roboante Liberation Day, aveva sganciato un dazio del 20% specifico per l’Europa, in aggiunta a una tariffa base del 10% per tutti. Poi, una pausa di 90 giorni, come a dire: “Vi do un po’ di tempo per inginocchiarvi”. Ma Bruxelles, con il suo mix di orgoglio e caos interno, non ha ceduto. E ora? Trump ha perso la pazienza. “L’Europa ci tratta malissimo”, ha tuonato, e il suo annuncio su Truth Social ha fatto crollare i mercati come birilli. Le borse USA hanno aperto in rosso, con gli indici che barcollano in pre-market, e in Europa le cose non vanno meglio: Volkswagen e BMW hanno visto le loro azioni affondare di oltre il 4%. Il messaggio è chiaro: Trump non bluffa.
L’Europa, dal canto suo, non sta a guardare. La minaccia di ritorsioni da 95 miliardi di euro è già sul tavolo, con dazi su aerei, bourbon, acciaio e chissà cos’altro. Ma c’è un problema: l’UE non è un monolite. Alcuni Stati membri, più duri, hanno già bloccato l’idea di ridurre unilateralmente i dazi sui prodotti americani, come chiedeva Trump. Altri, più pragmatici, guardano al recente accordo fra UK e USA – che ha portato le tariffe britanniche "solo" al 10% – e si chiedono se non sia meglio piegarsi un po’ per evitare il disastro. Ma con Trump che alza la posta, l’Europa rischia di trovarsi intrappolata tra l’incudine di Washington e il martello di Pechino, che potrebbe inondare il Vecchio Continente di merci a basso costo escluse dal mercato USA. Un incubo per le aziende europee, già schiacciate dalla competizione cinese.
I mercati, prevedibilmente, sono in modalità “si salvi chiu può”. Il prezzo del petrolio è sceso di un dollaro, con il sentiment di rischio che prende una botta dopo l’annuncio di Trump. L’oro, bene rifugio per eccellenza, ha perso il 2,3%, segno che gli investitori stanno correndo verso i titoli di Stato USA, facendo calare i rendimenti. Ma c’è un lato curioso: le scommesse su tagli dei tassi d’interesse da parte della Banca Centrale Europea sono aumentate. I trader ora prevedono tre tagli entro fine anno, contro i due di prima, per sostenere un’economia europea già asfittica che potrebbe soffrire sotto il peso delle tariffe.
Cosa vuole Trump? Soldi, potere, o semplicemente il gusto di far saltare il banco? Probabilmente un mix di tutto questo. La sua strategia è quella del bullo del quartiere: colpisce duro, poi offre una via d’uscita, ma solo alle sue condizioni. La Cina, dopo aver subito dazi al 145% (ora scesi al 30% dopo trattative a Ginevra), ha risposto con tariffe al 125% sui prodotti americani. L’Europa, più frammentata, fatica a trovare una risposta unitaria. E il Regno Unito? Be’, loro hanno già il loro accordo con gli USA. Che sia il revival dell'industria automobilistica britannica? La verità è che nessuno sa come finirà. Trump potrebbe ritirarsi all’ultimo minuto, come ha fatto con la Cina, o potrebbe andare fino in fondo, trasformando il commercio globale in un ring dove tutti perdono. Una cosa è certa: il 1° giugno è fra una settimana. Per ora, le aziende europee tremano, i mercati oscillano, e i consumatori si preparano a pagare di più per tutto, dalle auto al vino italiano. Trump ha acceso la miccia. Ora tocca al mondo decidere se spegnerla o lasciarla esplodere.