Dakar 2017, Il Viaggio. Il Miraggio dell’Acqua - nona puntata

Dakar 2017, Il Viaggio. Il Miraggio dell’Acqua - nona puntata
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Piero Batini
  • di Piero Batini
La nona puntata del racconto della nostra Dakar 2017, un viaggio entusiasmante, unico, con un grande “veliero” e il contagioso timone di fantasia di Mr. Franco
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
31 agosto 2017

Tupiza, Bolivia, 5 Gennaio 2017. Funziona così. Io sono a testa bassa sul computer, Mr. Franco pensa al resto. Non è la giornata tipo ma la descrizione di una forma di collaborazione naturale e dai risultati sbalorditivi. Mr. Franco non ama l’elettronica, non sopporta Google Maps e i Tom Tom, anche se in segreto ammira la compattezza logica dei sistemi più moderni e si incanta davanti alle espressioni buone della tecnologia. D’altro canto è innamorato della cartografia su… carta. Le mappe. Basandosi sull’esperienza e sulla passione, è in grado di leggere su una carta informazioni che, ho provato varie volte a controllare, uno non riesce neanche a immaginare, e per di più con una sensazionale precisione. L’indice sulla carta Mr. Franco sa dirti se quella strada bianca è migliore di quell’altra, e se l’attacco alla montagna è meglio farlo da questa o da quella parte. Mentre strimpello sul Mac stendendo la favola della Dakar, Mr. Franco mi infila pizza e coca tra le classifiche e torna a studiare la carta. Dopo poco si interrompe e esclama: “Trovato. La Speciale di domani passa da San Antonio de los Cobres. A Ovest di Salta, un po’ fuori mano!”. Alzo la testa dal mio lavoro: “E allora finiamo qui a San Miguel, andiamo a dormire direttamente a Salta e da lì, di buon mattino, partiamo all’assalto della montagna e della Dakar! Troviamo un hotel a Salta”.

Tocca a me. Booking è affar mio. Apro la pagina, digito luogo e data e salta fuori la lista, non lunga in verità, isolo una piccola serie di opzioni. Passo il PC a Mr. Franco: “Scegli tu.” Ci mette un secondo: “Jasmine. Mi piace il nome”. OK, siamo anche fortunati, è un’offerta last minute a prezzo bassissimo. Fatto tutto in cinque minuti, piano e programmazione. D’istinto e a caccia di sorprese, come dovrebbe essere ogni giorno della vita. Studiata la giornata di domani, finito il lavoro, deciso per la notte e per la mattina successiva, ripartiamo. Il sole scende ma l’inedita sensazione di essere in anticipo sulla Dakar è potente, e ci spinge in avanti sicuri. Mr. Franco infila i guanti bianchi da lavoro, un’idea Acerbis, e si mette alla guida. Io, visto che fa buio, inserisco il waypoint nel GPS, più per sicurezza che per reale utilità. Sono oltre 300 chilometri di strada facile, ma mi piace vedere il Pilota sorprendersi ogni volta che il GPS ci porta esattamente nel luogo che è la nostra mèta. Jasmine. House of Jasmines. Il nome mi ronza nella testa, ma il quadro si chiarisce solo quando rilevo il volante della 3008 e punto verso il WP. Due Dakar fa, e quella scorsa, ci siamo fermati a dormire a Jesus Maria, non lontano da Cordoba, da amici di amici in un hotel che è una Maison de Charme, un luogo unico e stupendo che si chiama El Colibri. Ecco, il più bel posto nel quale uno possa sognare di fermarsi anche soltanto qualche ora ha un suo omologo. Stessa filosofia, stessi proprietari, l’House of Jasmines di Salta è l’ex fazenda dell’Oscar Robert Duval ora Estancia de Charme di Raoul e Stephanie Fenestraz. Una magnifica fattoria tra gli eucalipti, stile e piacere della vita perfettamente trasposti, da un’epoca lontana e saccheggiata fino ai giorni nostri, perfettamente conservata e amorevolmente accudita.

Sono entusiasta, siamo capitati per purissimo caso in uno dei più bei posti del Nord Argentino, e ci distendiamo in una forma di rilassamento che supera la fatica e trasforma la stanchezza in soffice desiderio di sonno. In aiuto un piatto di prosciutto e due calici di vino paradisiaci. Siamo soli, Salta non è nel percorso di andata della Dakar, e ci godiamo poche ore nelle quali sono contenuti una serata favolosa, il sonno magico e un risveglio completamente rigenerati. Colazione portentosa, i Fenestraz non ci sono e non sono raggiungibili al telefono, una passeggiata nella proprietà e siamo pronti per ripartire. Non prima di aver prenotato per il ritorno da Uyuni.

La Dakar è già rocambolesca, e così il nostro viaggio, ma abbiamo un’ulteriore conferma, con la prova del contrario, che la scelta di uscire dalle traiettorie della Corsa è quasi sempre vincente

La strada diventa ben presto sterrata, ma scorrevole, l’alba è magnifica e promette bel tempo. 150 chilometri di paesaggi e panorami stupendi per raggiungere San Antonio de los Cobres, la città più alta del Paese. È anche un crocevia importante, a Ovest si scende verso il deserto di Atacama in Cile, verso Est e contornando il Salar Salinas Grande, un immacolato lago di sale prosciugato, verso Purmamarca e Jujui. Dopo aver incrociato la Dakar lungo la ferrovia e visitata la città andina a 3.700 metri sul livello del mare, poche case, una base militare e la singolare, austera stazione ferroviaria del “Tren a las Nubes”, il Treno per le Nuvole”, scendiamo verso Est. Altri 150 chilometri. Attorno al Salar la strada diventa più brutta, tole ondulé. Le gomme autostradali e cittadine della 3008 non reggono alle sollecitazioni del deserto di sale e una va in brandelli. Ci fermiamo a sostituire. Montiamo il ruotino e ripartiamo ancora più delicati. Il viaggio si divora la giornata. Sosta a Purmamarca, per scoprire una delle cittadine più caratteristiche del Nord dell’Argentina, autentica perla della Quebrada de Humahuaca con un originale stile architettonico, urbanistico e di vita. Ci fermiamo, io al lavoro e Mr. Franco… al lavoro. Io mi infilo in un caffè del piccolo, colorato centro, e Mr. Franco va in cerca di un gommista. Tutti i gommisti, ma anche i meccanici, hanno preso un giorno di ferie e chiuso bottega per assistere al passaggio della Dakar. La soluzione ideale sarebbe fermarsi per la notte e ripartire la mattina dopo verso la Bolivia, ma c’è quel dannato timbro da raccogliere a San Salvador, e presi dai dubbi e dal senso del dovere commettiamo l’errore di scendere a Jujui. Saremo giustamente puniti con la notte più brutta del viaggio e 120 chilometri aggiunti, del tutto inutili, al già pesante contachilometri. Esperienza già rimossa, e del resto non vedremo più San Salvador de Jujui. La Dakar è già rocambolesca, e così il nostro viaggio, ma abbiamo un’ulteriore conferma, con la prova del contrario, che la scelta di uscire dalle traiettorie della Corsa è quasi sempre vincente.

Ripartiti da Jujui con il cuore in gola vogliamo solo mettere più strada che possiamo alle nostre spalle, e il più resto possibile. Ripassiamo da Purmamarca, ma di lato, e ci fermiamo invece a rinfrancare lo spirito a Huamahuaca, che ne ripropone le armonie. Ogni volta che lasciamo, anche per pochi chilometri soltanto, il percorso della Dakar, finiamo in un altro mondo, di solito fantastico. Che lo facciano apposta? Ci fermiamo per carburante e colazione, e una volta cancellato definitivamente dalla memoria a breve termine il buco nero di Jujui riprendiamo la strada. Tutta la direttrice tra Jujui e la Bolivia, comunque, è costellata di luoghi e gente di semplice bellezza.

Tra la Quiaca e Villazon il confine, e in Bolivia cambiano molte cose. Si sale in quota, si abbassa la velocità media e il paesaggio si spoglia per lasciar progressivamente posto al più tipico paesaggio delle Ande in quota. Anche le risorse calano, man mano che si sale tutto diventa più faticoso a causa della rarefazione dell’aria e del conseguente minor apporto di ossigeno all’organismo. Tupiza non è solo il luogo dove nel 1908 l’esercito boliviano avrebbe posto fine alle scorribande di Butch Cassidy e Sundance Kid. È la città che vanta una delle storie di insediamento spagnolo più antiche, e anche una certa turbolenza di confine essendo stata argentina e boliviana. Manchiamo il principale richiamo turistico della città per un solo giorno. La Fiesta de los Reyes, infatti, è il 6 di gennaio, e per quella data saremo già avanti, verso Oruro. Il bivacco doveva essere posto all’entrata Sud della Città, e invece lo hanno piazzato ben più a Nord e lontano oltre l’area urbana, in una distesa suggestiva, ma anche arida e amena, lavorata con le ruspe e frustata dal vento, quindi da una polvere micidiale. Non vi diciamo come troveremo lo stesso bivacco al ritorno da Uyuni!

A Tupiza, comunque, amici di amici che accorrono in nostro aiuto, incontriamo la famiglia di Jorge Pereira, ex gestore di stazione di servizio e deluso dell’esperienza politica intrapresa con grandi ideali. Jorge ha venduto tutto e divide ora la sua vita tra la campagna e una nuova grande casa in Città, che ha trasformato in albergo e dove vive con la moglie Maria e i due figli, Mario e Jorge jr. quando sono a casa. Tupiza merita una visita ma ancor di più la conoscenza di Jorge, patriarca filosofo ed estatico visionario, il cui destino putativo non è vivere, bensì “offrire una forma di vita”. Anche per questo sta completando rapidamente l’hotel che abbiamo abitato in forma “ufficiosa” durante il viaggio verso Nord e che abbiamo mancato al ritorno per l’allungamento all’infinito della tappa di ritorno da Uyuni. Jorge, Mr. Franco e io parliamo a lungo, ci si capisce alla perfezione, conosciamo e amiamo il Sud America. Finalmente il padrone di casa traccia sulla carta del Sud America, che Mr. Franco ha sempre con sé, il sogno della sua vita: una via commerciale terrestre tra Atlantico e Pacifico che passa per la Bolivia. È un progetto grandioso ed enorme, come tale diviso tra una fattibilità logica e la certezza dell’impossibile, che ricorda molto l’Avventura di Fitzcarraldo e della nave trasportata a braccia oltre le montagne per completare un sogno tra due fiumi.

“Chi sogna può muovere le montagne”, ma in Bolivia bisogna rassegnarsi a una riduzione drastica delle comodità, e il gusto di ogni bellezza costa come una conquista. Le distanze, enormi, e le altitudini, vertiginose, condizionano l’esistenza del viandante e la sobria dignità dei suoi abitanti

“Chi sogna può muovere le montagne”, ma in Bolivia bisogna rassegnarsi a una riduzione drastica delle comodità, e il gusto di ogni bellezza costa come una conquista. Le distanze, enormi, e le altitudini, vertiginose, condizionano l’esistenza del viandante e la sobria dignità dei suoi abitanti. Rari i distributori di benzina e pochi i punti di ristoro, la lontananza dalla Capitale pesa come un obbligo alla rassegnazione e ad un’esistenza piuttosto isolata. Su tutto, per noi, pesa la fatica di vivere a quattromila metri. Chi più, chi meno, da un mal di testa al vago senso di spossatezza, tutti ne soffriamo. C’è una pillola di aspirina e caffè che si chiama Sorojchi Pill per il male d’altitudine, oppure le schifose foglie di coca da masticare che stanno trasformando l’economia del Paese. In ogni caso, una settimana alle quote boliviane è lunga e logorante. Figuriamoci con poche ore di sonno e una valanga di chilometri quotidiani sulle spalle. D’altra parte in Bolivia ci sono dei luoghi di tale bellezza che le distanze che li separano svaniscono al cospetto delle esperienze possibili, che sono senza eguali.

Foto: Piero Batini - Nikon

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