Dakar 2017, Tappa 10: vincono Barreda (Honda) e Peterhansel (Peugeot), ma è ”Strage”!

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Piero Batini
  • di Piero Batini
La carovana è decimata da una tappa sulla carta difficile, ma non impossibile. Colpa del caldo allucinante, e del lavoro ai fianchi della neutralizzazione tra Salta e Chilecito. Peterhansel e Sunderland sempre più soli al comando. Sembra tutto normale…
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
13 gennaio 2017

Punti chiave

Ma non lo è. Non è normale. E francamente non mi sento molto d’accordo, in sintonia con questa Dakar. Mi appare come una Prova gigantesca, ma deformata dall’illusione che per creare un inferno “accettabile” bastino due calci nel culo, forma primitiva di punizione che non ammette repliche.

Oggi, 12 Gennaio, sono “saltati”, sì, saltati come birilli o come disinvolti e ignari camminatori sulle mine, Pablo Quintanilla, Stefan Svitko, Ricky Brabec, Luca Manca, Livio Metelli. Tra gli altri, e in aggiunta alle defaillance ormai perfidamente “storiche” della prima parte di questa edizione singhiozzante della Dakar, il cablogramma può ben parlare di decimazione. Non piegati dalla competizione, ma dal contesto sbalorditivo in cui si è venuta a trovare la Corsa, al di fuori delle intenzioni dei suoi disegnatori. Non è infatti colpa di nessuno, potremmo dire che nessuno si aspettava tanta pioggia, tanto freddo e tanto caldo, ma è un fatto che con tre mète diversamente opportune, e distanti tra loro migliaia di chilometri, il “Rally più duro del Mondo” si è convertito in un “infierno” di trasferimenti!

C’è anche chi dice, con una punta di sarcasmo ma con assoluto senso realistico, che la Dakar la stanno facendo tutti, i Piloti alle prese con il cronometro ma anche,  e forse soprattutto, “aggratis” gli Assistenti, i prestatori di servizi, i fornitori al seguito. Persino gli Organizzatori, che devono fronteggiare ormai quotidianamente l’emergenza. A tre quarti di Dakar, succede spesso che le situazioni agonistiche siano talmente ben delineate che negli gli ultimi giorni la Dakar non sia più un Rally da defibrillatore. Ma questa rischia di passare alla storia come l’edizione più imprevedibile, ma anche la più noiosa. Le difficoltà sono figlie del disegno della costellazione di quest’anno. Le stelle esterne, le Capitali del progetto 2017, sono distanti migliaia di chilometri. Buenos Aires-Asunción, 1.500, Asunción-La Paz, 2.000. La Paz-Buenos Aires, 2.500. Basta un sussulto meteo, una “grana” qualsiasi, che queste distanze convertite in tempo diventano un ostacolo all’avanzata dell’impero. Gli Organizzatori non hanno colpa, ma l’avidità lo è, e ci vogliono Piani “B” concreti, applicabili. Non si può giocare alla roulette con un impegno sportivo, logistico e di immagine di questa portata. Un altro risultato curioso è che la “Dakar di Marc Coma”, sono io che l’ho definita così perché ho la massima fiducia nella competenza dell’ex cinque volte vincitore della Corsa, si è potuta realizzare solo parzialmente, molto parzialmente. Due tappe sono state annullate, e il caso ha voluto che fossero le due inedite “tremende” del disegno cinico del Catalano. La tappa del giorno 7 tra Oruro e La Paz, con un primo percorso di sabbia e dune, e la tappa dell'11 tra Salta e Chilecito, con la Super Belen già sperimentata, ma solo parzialmente. In compenso ci sono Piloti ed Equipaggi che sono stati giro per due giorni senza far muovere il cronometro, Assistenti che hanno dormito poco e male in attesa di ricongiungersi con i propri assistiti.

Luca Manca è stato fermato da una polmonite covata da sei giorni, lo dice la “lastra”; Quintanilla e Svitko sono andati al tappeto sotto i colpi del gran caldo calati su una situazione, anche tecnica, già resa precaria; Brabeck idem, ma colpito anche nella dignità e portato via di peso; Metelli, non lo sa nemmeno lui, ma è chiaro che la lucidità è un ingrediente che ad alta temperatura può andare fritto. Sono tutti marcantòni, difficili da spezzare, che non si piegano. Eppure sono andati K.O.  Una botta in terra e una sberla di caldo. A casa. Non è più il caso di una gara “caratterizzata” dai colpi di scena, questa è una strage, e, se non premeditata, almeno “colposa”. Ma non è finita. Ci sembrava che la classifica generale fosse già abbastanza deserta. Senza nulla togliere a nessuno, e lo dico con assoluto senso di rispetto, Sunderland, Quintanilla e Van Beveren nell’ordine non erano una scommessa da poco. Ma non sarà neanche questa la classifica finale. Lo dice la terzultima tappa. Intanto, infatti, tornano sul podio Walkner, che è così “graziato”, e vi sale Gerard Farres, il Pilota più esemplare di questa Dakar. Il lungo, interminabile riordino tra il Nord di Tilcara e Chilecito ha costretto i Dakariani a confrontarsi con una “prova inedita”, che ha sfiancato molti di essi e creato il presupposto per una revisione del concetto geografico. Se la nuova Dakar è nella mezz’ora di vantaggio su cui Sunderland può, meritatamente, scivolare fino all’epilogo di Buenos Aires, il risultato deve essere considerato inaspettato anche da chi ne aveva ideato i fattori, perchè mezz’ora non è thriller agonistico, e non si può dire che la leadership dell’inglese sia figlia della sua bravura fintanto che non si ammette che in quella classifica mancano alcun nomi importanti.

La gara delle auto ci offre uno “spaccato” esemplare. Non inedito, né stravagante.  Ci parla di un certo “stile” che si dovrebbe impiegare nel fare le cose. E di conseguenza di come non dovrebbero essere fatte. Ancora una volta, non è colpa di nessuno se viene giù un Paese trascinato dall’alluvione, ma se i camion di assistenza restano oltre la barriera della sventura e il veicolo da gara è già di qua, può succedere che l’eccessiva “verticalizzazione” dello sviluppo della Corsa porti a qualcosa di irreparabile. Sarebbe il colmo se Peterhansel o Loeb o Despres non potessero andare avanti perché un pezzo da cinque euro è rimasto sul camion fermo a mille chilometri di distanza. Comunque è strage anche nella gara della macchine, ma per un altro motivo: le Peugeot non si possono battere, quindi tanto vale suicidarsi in massa. I tre Equipaggi in testa commettono errori, perdono tempo, aprono varchi, ma nessuno può approfittarne. Non c’è concorrenza.

La navigazione diversa e più espressamente appuntita ha fatto la differenza, nessuno lo mette in dubbio, ma la domanda che mi pongo è la seguente: se le due tappe di sabbia e di dune non fossero state annullate, che cosa sarebbe successo? Un’altra strage? Non ci sono risposte, e quelle possibili devono mantenere nel conto l’imprevisto meteo, un elemento che, però, come dice un lettore, è una prassi degli ultimi tre anni.

Insomma, ci son troppe cose che fanno discutere e che deludono, il bivacco ne è pieno. Non c’è colpa nel voler fare le cose ancor più in grande, ma talvolta un segnale trasversale o fortuito può essere una buona occasione per monitorare quello che sta realmente succedendo. Quello che manca alla Dakar di questi giorni è l’omogeneità del Grande Evento, perfettamente calibrato nei suoi ingredienti e tale per cui la prova che manda in scena non sia il frutto del caso, ma di circostanze perfettamente sotto controllo.

Photos made with Nikon

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