Dakar ‘18. La tappa dei misteri. Sainz (Peugeot) e Van Beveren (Yamaha) al comando a metà Marathon

Dakar ‘18. La tappa dei misteri. Sainz (Peugeot) e Van Beveren (Yamaha) al comando a metà Marathon
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Piero Batini
  • di Piero Batini
La ripresa delle ostilità è massacrante. Nuovo avvicendamento al comando. Sainz vince per la seconda volta e sale al primo posto, Peterhansel è rallentato da un incidente. Vince Barreda, ma il colpo dello spagnolo non è risolutore. Beveren di nuovo primo
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
14 gennaio 2018

La Paz, 13 Gennaio. L’atmosfera è surreale. I concorrenti arrivano alla spicciolata, a intervalli anche molto irregolari, i loro mezzi irriconoscibili sotto uno spesso strato di fango essiccato dal sole del fine Tappa. Meno male, ha piovuto per tutta la mattina e nei giorni precedenti sulle piste della lunghissima Tappa. Nessuno ha voglia di parlare, la situazione è critica. felicità con il contagocce. È la settima tappa, ovvero la prima metà della Marathon. I Concorrenti abbandonano il loro mezzo nel Parco di Lavoro, sorvegliato come un Parco Chiuso ma aperto e certe condizioni. I concorrenti, infatti, non possono ricorrere all’opera degli Assistenti e devono arrangiarsi tra di loro e con quanto hanno a bordo. Al momento, tuttavia, rinnegano il Mezzo da Corsa per andare a far asciugare l’abbigliamento all’ultimo sole di Uyuni, tiepido, per fare una doccia, mangiare, fare il road book e scaraventarsi in branda. Siamo alla Caserma Militare di Uyuni, completamente a disposizione della Dakar come in altre occasioni. Niente di originale ma pratica, addirittura confortevole date le circostanze. Nella Città trampolino delle escursioni al Salar di Uyuni gli Hotel sono pochi e molto sobri, e sono stati presi d’assalto non appena sono stati resi noti date e percorsi della Dakar numero 40. Non c’è un buco, i Concorrenti raccolgono il Kit Marathon, felpa, pantaloni-pigiama, berretto e qualche altro indumento asciutto, questo è importante, e si infilano nel posto a loro riservato nei letti a castello della camerata. Decoro poco originale, è un avamposto militare, ma confort eccellente.

Nell’aria galleggia un che di provvisorio, precario, addirittura misterioso. Durante il giorno sono successe molte cose, importanti, ma ci sono poche risposte ai quesiti. Di sicuro è stato un altro giorno micidiale, e la Dakar ha fatto altre vittime. Nessuno ci vuole credere, molti dichiarano che ne hanno abbastanza, che questa volta si è andati troppo in là. Doveva essere una cauta ripresa della Gara interrotta a La Paz per la giornata di riposo, e invece per arrivare a Uyuni i Concorrenti hanno sputato sangue, e non in tutti casi è bastato. Fino a Oruro, il trasferimento è stato frustato da una pioggia fredda e battente, e il maltempo si è trasferito nella prima parte della Prova Speciale di oltre 400 chilometri. Fango, soprattutto, e un’apocalissi centrale di sabbia molle su dunette da diventare isterici. Cinquanta, alcuni dicono cento chilometri, ubriacati e poco presenti a causa delle difficoltà dell’alta quota, massacranti. A tre quarti, la Tappa aveva già accumulato un’ora di ritardo sulla tabella di marcia.

Sono circostanze limite, che cambiano ancora il volto di questa Dakar troppo dura, e perversa. Ancora un sovvertimento di pronostici e di situazioni, classifiche che mutano, incredibilmente, Piloti che si fermano inspiegabilmente. Altro giorno di colpi di scena, e le classifiche, introvabili a Uyuni, non dicono molto, anzi non spiegano nulla di quello che è successo in Pista. Per certi versi, tuttavia, sono un bollettino di guerra.

La Tappa Marathon del 2018 cambia ancora le carte in tavola. I mezzi vanno nel Parco di lavoro, Piloti e Equipaggi sono liberi di scegliere, ovvero se restare ospiti della Caserma o andare in albergo. Questa particolarità è all’origine dell’aria di mistero che avvolge Uyuni. Non è questione di comodità, in fondo è meglio dormire il più vicino possibile alla propria Moto, Auto o Camion, ma l’hotel diventa una bella scappatoia.

Notizie zero. Si sa che Barreda è ripartito all’attacco, che ha recuperato ancora molto nella prima parte della speciale, ma anche che è caduto. Stephane Peterhansel era in una botte di ferro, anche a noi sembrava impossibile che potesse cambiare la sua rotta verso il 15° Titolo, e invece il Fuoriclasse è finito contro una roccia nascosta nel fango, si dice per evitare un Motociclista, e ha distrutto il quartiere posteriore sinistro della Macchina già dichiarata vincitrice (anche da noi).

Si sa che Barreda ha vinto la Tappa davanti a Van Beveren e Benavides, ma nel finale il lancio forsennato, l’attacco fulminante non è riuscito bene come a Arequipa. Si sa che Peterhansel è rimasto in pista per due ore, che ha riparato grazie all’arrivo di Despres e che è ripartito. Barreda ha vinto la tappa, più di misura rispetto agli obiettivi, ma non ha raggiunto né Van Beveren, che torna in testa alla Corsa, né il compagno di Squadra Banavides, che scende al secondo posto. Peterhansel ha concluso al ventesimo posto, e Carlos Sainz ha vinto la Tappa con un buon vantaggio, il solito quarto d’ora delle Peugeot alla concorrenza, su De Villiers e Al Attiyah. Si sa qualcosa, insomma, ma è impossibile verificare direttamente, perché Barreda e Peterhansel sono spariti, rifugiati in hotel, e possono dare la loro versione dei fatti con calma, indirettamente se necessario e dopo aver concordato con i loro comunicatori. Solo Sainz si concede alla sua felicità.

Si suppone che il vistoso rallentamento di Barreda sia dovuto alle conseguenze di una gran botta al ginocchio, ma saranno i medici, alba della ottava Tappa a Tupiza, a decidere per il catalano. La situazione della Dakar delle Auto si è rovesciata, e ora è Sainz ad avere un asso importante da giocare. Da qui a Cordoba il Campione madrileno può lasciare agli avversari dieci minuti al giorno, un importo che né Al Attiyah né Peteransel, verosimilmente, possono fatturare.

Al bivacco arrivano i Motociclisti italiani, i più spossati. Botturi non si da pace, Cerutti ha ancora mal di stomaco e soffre l’altitudine, Gerini, Maurizio Gerini alla prima Dakar non nasconde un certo compiacimento: sta riuscendo a dominare la sua Maratona del debutto, una prova più dura di quanto potesse solo immaginare.

Cento Motociclisti al traguardo di Uyuni, altri dieci sono ritirati o ancora fuori nella notte gelida del Salar, tra questi Gabriele Minelli, e altri dieci Equipaggi delle Auto ancora lontani, filtrati da quel tappo maledetto di dune, Eugenio Amos tra questi.

Mistero e disagi, sbandamento, l’altitudine gioca brutti scherzi. La Bolivia è un inferno, indipendentemente dalle difficoltà delle sue piste. A quelle ci pensano Marc Coma e Compagnia, alle quote da capogiro oltre i 3.500 metri e al meteo più stupido del Mondo ci pensa la Bolivia delle meraviglie.  I Concorrenti pregano Salta, il catino infuocato di Fiambala. Non vogliono tornare su questa parte micidiale delle Ande.

 

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