Dakar 2017. Joan “Nani” Roma: “Con tutta l’umiltà, ma andiamo per vincere!”

Dakar 2017. Joan “Nani” Roma: “Con tutta l’umiltà, ma andiamo per vincere!”
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Piero Batini
  • di Piero Batini
Vincitore della Dakar in Moto (2004) e in Auto (2014) “Nani” Roma è stato il primo spagnolo a vincere la Dakar. Passato quest’anno tra le file del Team Toyota, il catalano trova posto in una formazione fortissima che scende in campo con una Macchina “temibile”
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
21 dicembre 2016

San Paolo, 20 dicembre. La Nave ha lasciato Rio de Janeiro, prima sosta sudamericana del cargo che trasporta i mezzi della Dakar. Naviga a bassa velocità per raccogliere tutti i benefici del risparmio di carburante. Piano, al ritmo del ro-ro e prima della tempesta di velocità e confronto, anche Moto, Auto e Camion riposano nel ventre del battello. Come se riflettessero, e come se ci lasciassero il tempo di farlo anche noi, ripensando a quello che ci dicono i protagonisti della 39ma (38 dispuatate) Dakar.

È la volta di Joan “Nani” Roma, lo “spilungone” allegro e solare che sin dalla sua partecipazione ha cambiato il modo di intendere, e di far vedere la Dakar. Pronti-via, e già in testa. Poi una deviazione dalla pista principale per attraversare un oued, ma lui pensava che ci fosse un ponte ed è andato dritto, a manetta. Fine della prima Dakar. Poi ha imparato la lezione e il “mestiere”, ci ha messo tutta la sua bravura e la sua intelligenza, e a gennaio del 2004 è tornato in Patria da eroe, con il primo Trofeo della Dakar conquistato da uno spagnolo. Da un Catalano gli veniva da dire, ma poi disse “Iberico” abbracciando moglie e figlio sulla spiaggia di Dakar. Questo è Joan Roma, un fenomeno che dopo l’impresa KTM si è ripetuto dieci anni dopo, al volante di una Mini. E che ci riproverà per la ventunesima volta, questa volta a bordo di una Toyota Hilux. Una delle Macchine di Jean-Marc Fortin, del “teammone” Gazoo messo su quest’anno. A quanto pare una buona idea.

Joan Roma. “Sì, credo che abbiamo avuto una buona idea… in tanti. Sono sicuro che abbiamo un buon Team e una buona Macchina, e con tutta l’umiltà del Mondo siamo pronti a fare una bella Dakar”.

La novita è anche figlia del riveduto regolamento, delle nuove misure della flangia di aspirazione uguali per benzina e diesel?

JR. “Non è solo questo, naturalmente, ma penso di sì. Con il motore a benzina in altitudine si perde tanto, lo sanno tutti. Quando sei a 4.000 metri una macchina a benzina senza il turbo perde molto del suo potenziale. Perderemo comunque, proporzionalmente, ma ora è possibile che guadagneremo quando saremo in basso. Sappiamo tutti che il turbodiesel è molto efficiente in altura, e pensiamo quindi che ASO e FIA abbiano realizzato una bella cosa per livellare il potenziale teorico dei mezzi in gara. In qualche modo hanno restituito anche alle Toyota qualche chance di vincere la Dakar, che sarebbe una bella cosa perché non è mai successo prima, e il ruolo di vettura temibile che le compete.”

È Toyota davvero, o solo il nome?

JR. “Certamente è qualcosa di più rispetto al passato. Piccoli passi, ma sempre avanti. È Toyota, è Gazoo, è Sud Africa. È Overdrive. Non so dirti in che proporzioni precise, ma è senz’altro un progresso. Nasser (Al Attiyah) ha già vinto la Coppa del Mondo con questa Macchina, e vuol dire che anche per noi, poco e poco, arriva una possibilità di più di vincere la Dakar.”

Cambiare Macchina da Corsa non è come cambiare utilitaria in affitto all’aeroporto. Ci vuole un po’ di “comprensione”. Capirla, trovare l’affiatamento. A che punto sei con il processo?

JR. “Abbiamo fatto ormai fatto molti chilometri. Una corsa e molti test. Non puoi mai dire di essere al cento per cento, perché cambia la Macchina, evolvono le tue caratteristiche e la tua sicurezza, evolve l’insieme. Diciamo che sono molto contento. Lo sono della nuova Toyota, ma lo sono anche del lavoro che abbiamo fatto, del Team nel suo insieme e nelle sue potenzialità, dei tecnici e dei meccanici. Ancora. Con tutta l’umiltà del Mondo siamo ben preparati e molto motivati.”

Parto perché mi piace correre e mi piace vincere, e bisogna essere molto motivati per trovare la carica e riuscire a farlo. Ma è motivata alle stelle anche mia moglie Rosa, che non corre per vincere ma perché fare la Dakar in Moto è la sua grande passione, e perché nel Team Himoinsa ha trovato un ambiente ideale per farlo

Lo è anche tutta la tua Famiglia?

JR. Eccome! Io lo sono sempre, parto perché mi piace correre e mi piace vincere, e bisogna essere molto motivati per trovare la carica e riuscire a farlo. Ma è motivata alle stelle anche mia moglie Rosa, che non corre per vincere ma perché fare la Dakar in Moto è la sua grande passione, e perché nel Team Himoinsa ha trovato un ambiente ideale per farlo. Ha 47 anni, è forte, può farlo e farlo bene.”

E dopo toccherà anche ai tuoi bambini?

JR. “Questa è una cosa che deve trovare il suo tempo e la sua collocazione. Per me non è importante che lo facciano e non è basilare che non lo facciano. Non sono “pressato” dall’idea e quindi saranno loro a decidere se e quando farlo. Io non mi sogno certo di mettergli la pressione addosso. Non quella del genitore né quella dell’appassionato. Correre in moto o in macchina è una questione troppo personale, e non si può riversare sui figli convinzioni che sono sempre troppo personali.”

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