Formula 1, caso Vettel-Pirelli: ecco perché non sarà l'ultima volta

Formula 1, caso Vettel-Pirelli: ecco perché non sarà l'ultima volta
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Paolo Ciccarone
La FIA vuole vederci chiaro, ma la gomma di Vettel che scoppia a Spa è una conseguenza di una F.1 che si affida troppo al computer e bada poco alla realtà
25 agosto 2015

Non è stata una riunione tranquilla quella che si è tenuta martedì mattina a Maranello. E’ arrivato anche Sergio Marchionne per capire cosa sia successo e la richiesta di chiarimenti della FIA, che vuole sapere tutti i motivi che hanno portato a ritardare il pit stop di Vettel, non ha rasserenato gli animi. 


Secondo il presidente Jean Todt, dopo aver ascoltato le comunicazioni radio fra Vettel e il suo ingegnere di pista, Adami, e col tedesco che per ben due volte aveva chiesto quando poter cambiare le gomme, merita di essere chiarito. Infatti, sul battistrada è rimasto a mala pena un millimetro, del tutto insufficiente a garantire la sicurezza negli ultimi due giri di corsa del GP del Belgio. Infatti si è visto che la gomma ha ceduto (probabilmente per un detrito che con la copertura usurata ha avuto buon gioco nel forarla). 


Ma se Vettel ha chiesto per due volte quando cambiare le gomme, vuol dire che la strategia non era stata pianificata in precedenza come ci avevano detto, ma decisa all’istante in base alle informazioni in proprio possesso. E qui è probabile che non tutto sia filato liscio nella catena di comunicazione fra i tecnici Ferrari, il muretto virtuale che da Maranello coordina le decisioni in pista e la Pirelli che col proprio tecnico deve aver dato indicazioni forse non troppo convincenti. Insomma, ce la si poteva fare, si è rischiato, è andata male.

 

In una squadra normale la cosa sarebbe finita lì, siamo in Italia e siamo alla Ferrari e di mezzo c’è la Pirelli, per cui la catena di comunicazione che avrebbe dovuto calmare gli animi non ha calmato un bel niente. Al punto che la FIA vuole vederci chiaro. E Marchionne è il primo a chiederlo.

 

Chiusa la parentesi di cronaca (che tanto non cambia i fatti: Vettel non era competitivo e il terzo posto era stato raggiunto con una strategia rischiosa, stava per andare bene, è andata male. Fine del problema) restano i precedenti di gomme che in F.1 determinano il risultato. Non è la prima volta e non sarà l’ultima, fa parte del gioco

Gomme che scoppiano: i precedenti

Quando Mansell perse il mondiale nel 1986 ad Adelaide con l’esplosione in diretta TV della gomma posteriore, le polemiche furono ridotte all’osso, eppure la Goodyear non era esente da problemi in quella stagione, quella però fu la volta in cui tutti videro cosa era accaduto. Ma non ci furono le polemiche di oggi, e pensare che Mansell si stava giocando il mondiale (e in Australia stava giocandosi anche la pelle…). 

Nessun costruttore di gomme è al riparo da simili problemi, nessun costruttore di auto può garantire che non si romperà nulla su una monoposto. Il problema di Spa è che il danno è il frutto di questa F.1 artificiale


Una foratura ci ha portato via Michele Alboreto, con l’Audi Le Mans nei test in Germania. La gomma si forò, la macchina prese aria sotto al fondo e decollò e Alboreto morì sul colpo. Stessa sorte, 1975, per Mark Donhoue, che a Zeltweg durante le prove finì oltre il guard rail per il cedimento di una gomma della sua monoposto. Anche l’americano morì sul colpo e il risarcimento milionario che la Goodyear pagò agli eredi convinse tutti gli operatori della F.1 a curare maggiormente questo aspetto. 


A Indianapolis nel 2005 la Michelin fece ritirare tutti i suoi piloti e restarono a correre in sei con le Bridgestone. E che dire di Raikkonen che al Nurbrugring nell’ultimo giro volò fuori per il cedimento della gomma della sua McLaren? Anche qui le polemiche furono ridotte al minimo, e lo stesso era accaduto in Canada a piloti che fra gomme e freni rotti si son trovati contro il muro. Nessun costruttore di gomme è al riparo da simili problemi, nessun costruttore di auto può garantire che non si romperà nulla su una monoposto. Il problema di Spa è che il danno è il frutto di questa F.1 artificiale

 

I tecnici Pirelli hanno forse dato l’ok (o meno come dice Hembery), quelli al muretto box della Ferrari han preso per buoni i dati del simulatore. E’ il risultato di una F.1 fatta in provetta, dove i computer simulano tutto tranne la realtà. Può essere che il computer a Maranello abbia detto che con quel consumo ce la facevano, ma il computer non sa cosa c’è per strada fra un giro e l’altro, pezzi di carbonio, sassi, cordoli che tagliano etc. Questo lo scopri solo girando davvero in pista, quando le condizioni cambiano giro dopo giro e il pilota capisce cosa capita e il gommista verifica dal vivo quanto dura una gomma e in che condizioni arriva alla fine. Il resto è tutta teoria, smentita poi dai fatti o da una banale foratura. 

 

Le polemiche servono solo a far scrivere, a scaricare e a distogliere l’attenzione da altri problemi. A Spa la Ferrari non era competitiva, a Monza il rischio è simile e visto come viaggiano i rivali, e se non si vedono segni di miglioramento, il pensiero della prossima stagione è lì che grava come un macigno. Meglio parlare di gomme, tanto quello che ha detto Marchionne nella riunione di martedì 25 agosto, non lo sapremo. E se lo sapremo sarà sempre filtrato…

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