I motori automobilistici raffreddati ad aria (seconda parte)

I motori automobilistici raffreddati ad aria (seconda parte)
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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Nel dopoguerra è iniziata la storia della mitica Citroen 2 CV e delle Panhard dalla meccanica raffinata. Ed è entrata in scena la Porsche… | <i>M. Clarke</i>
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
7 maggio 2014

La semplicità, l’affidabilità e il costo ridotto tipici del raffreddamento ad aria non sono stati ignorati dai tecnici che lavoravano alla realizzazione di vetture di piccola cilindrata destinate alla motorizzazione di massa. Per un tipo di auto del quale si iniziava a sentire una grande necessità, le utilitarie, si trattava di una soluzione senz’altro attraente. E anche l’idea di impiegare due soli cilindri non era affatto male. Il problema, disponendoli in linea, era costituito dalle vibrazioni. Poteva però essere facilmente risolto adottando una architettura a cilindri contrapposti, disposizione nota anche come “boxer”.

Il bicilindrico Citroen: un precursore dei tempi

Attorno alla metà degli anni Trenta la direzione della Citroen decise di realizzare una vettura essenziale ed economicissima, ma al tempo stesso robusta e con sospensioni in grado di affrontare senza problemi anche fondi sconnessi come quelli che ancora erano comuni nelle zone rurali. Doveva essere di piccola cilindrata ma al tempo stesso avere una abitabilità più che buona. Il progetto era contraddistinto con la sigla TVP (tres petite voiture). Il responsabile del motore, Maurice Sainturat, optò per un bicilindrico boxer raffreddato ad acqua di 375 cm3. Il cambio era a tre marce e l’avviamento manuale.

Dopo la realizzazione di una serie di prototipi e un lungo lavoro di messa a punto, la versione definitiva fu allestita nella primavera del 1939. In estate vennero realizzati numerosi esemplari di preserie. Tutto era pronto per il lancio di questa vettura spartana ed essenziale, con un solo faro (!), e carrozzeria quasi tutta in alluminio, con parte anteriore in lamiera ondulata, quando ebbe inizio la seconda guerra mondiale. Negli anni del conflitto l’estetica venne riveduta completamente da Flaminio Bertoni. Fu anche deciso di riprogettare il motore e, proprio sul finire delle ostilità, questo importante compito venne affidato all’italiano Walter Becchia, tecnico di grande esperienza e di provata capacità. Il nuovo bicilindrico venne dotato di raffreddamento ad aria e fu abbinato a un cambio a quattro rapporti. La versione definitiva della 2 CV, con due fari e avviamento elettrico, venne presentata al Salone di Parigi del 1948.

1 citroen 2 cv
La sezione trasversale del bicilindrico boxer Citroen mette in evidenza la grande semplicità strutturale. Si notino le camere di combustione emisferiche

Semplicità strutturale e razionalità tecnica

Il motore era stato progettato all’insegna di una grande semplicità strutturale e della massima razionalità nelle scelte tecniche, effettuate con l’obiettivo di contenere i costi di fabbricazione ma al tempo stesso di ottenere una ottima robustezza e una grande durata.

I cilindri erano in ghisa mentre il basamento e le teste erano in lega di alluminio; in ciascuna di queste ultime erano alloggiate due valvole inclinate tra loro di 70°. Le camere di combustione erano quindi di forma emisferica. L’albero a gomiti, che poggiava su due supporti di banco, era di tipo composito. Lo costituivano cinque parti unite tra loro per forzamento. Questa soluzione, di scuola motociclistica, consentiva di adottare bielle senza cappello, ossia con testa in un sol pezzo. Sia i cuscinetti di banco che quelli di biella erano a strisciamento; si trattava cioè di bronzine.

Misure quadre

Il basamento era formato da due semicarter simmetrici che si univano secondo un piano verticale longitudinale. In questo motore vi erano due soli ingranaggi, utilizzati per comandare l’albero a camme, collocato nella parte inferiore del basamento. La distribuzione era ad aste e bilancieri. Sulla estremità anteriore dell’albero a gomiti erano montati il rotore della dinamo e la ventola di raffreddamento, a flusso assiale. L’estremità posteriore dell’albero a camme azionava la pompa dell’olio e quella anteriore il complesso del ruttore di accensione con anticipo centrifugo. Il motore aveva misure caratteristiche perfettamente “quadre” (alesaggio e corsa = 62 x 62 mm); la cilindrata era di 375 cm3 e la potenza di 9 CV a 3800 giri/min.

Nel corso degli anni questo bicilindrico ha subito una serie di aumenti di cilindrata. Alla fine del 1954 è comparsa la versione di 425 cm3 (da 12 cavalli, poi passati a 15 e nel 1963 a 18), con alesaggio portato a 66 mm. In seguito sono apparse due versioni rispettivamente di 435 e di 602 cm3; nel 1970 quest’ultima erogava 33 cavalli a 5750 giri/min. Una variante di 652 cm3 è stata impiegata sulla Visa ma non sulla 2 CV. La straordinaria validità di questo bicilindrico Citroen, adottato anche sulla Dyane e sulla Ami, è dimostrata anche dal fatto che è rimasto in produzione fino al 1990 (nell’ultimo periodo veniva fabbricato in Portogallo). In totale della 2 CV sono stati costruiti oltre otto milioni e mezzo di esemplari. Mica male…

La semplicità, l’affidabilità e il costo ridotto tipici del raffreddamento ad aria non sono stati ignorati dai tecnici che lavoravano alla realizzazione di vetture di piccola cilindrata destinate alla motorizzazione di massa

Il bicilindrico Panhard

A un altro bicilindrico francese raffreddato ad aria spetta un posto di spicco nella storia del motorismo. Si tratta del Panhard, dotato anch’esso di una architettura a cilindri contrapposti. Questo motore è nato alla fine della seconda guerra mondiale per equipaggiare la Dyna X, una interessante vettura dotata di carrozzeria in lega di alluminio, la cui presentazione è avvenuta nell’ottobre del 1946. Anche se i cilindri erano solo due, si trattava di una realizzazione di notevole raffinatezza tecnica, con cuscinetti di banco e di biella a rotolamento e molle di richiamo delle valvole a barra di torsione. L’albero a gomiti composito era in tre parti; i due perni di biella erano infatti integrali con i bracci di manovella anteriore e posteriore dell’albero stesso.

Un’altra interessante caratteristica era costituita dall’impiego di cilindri “ciechi”; ognuno di essi infatti era realizzato in un’unica fusione (in lega di alluminio) con la relativa testa, che quindi non era amovibile. Le canne erano in ghisa e venivano installate con forzamento, inserendole nei cilindri dalla parte opposta alla testa. Il basamento era del tipo a tunnel, ovvero costituito da un’unica fusione. Le camere di combustione erano emisferiche e la distribuzione era ad aste e bilancieri, con albero a camme nella parte inferiore del basamento e punterie munite di rullo. Il sistema di lubrificazione prevedeva una pompa immersa, azionata da un alberello verticale che prendeva il moto dall’albero a camme, e due convogliatori centrifughi che, fissati ai bracci di manovella dell’albero a gomiti, raccoglievano l’olio che fuoriusciva dai cuscinetti di banco e lo facevano pervenire ai cuscinetti di biella.

5 sezione longitudinale panhard
L’albero a gomiti del motore Panhard era costituito da tre parti unite per interferenza e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. Il basamento era a tunnel

 

Nel corso degli anni questo motore è stato oggetto di una evoluzione che ha portato la sua cilindrata a passare dagli originali 610 cm3 a 745 cm3 e infine a 851 cm3; importante è stata anche l’adozione di dispositivi idraulici per la ripresa automatica del gioco delle valvole (una autentica raffinatezza per un motore europeo dell’epoca). La versione iniziale di questo bicilindrico erogava 22 cavalli, subito passati a 24 a 4000 giri/min, e quindi a 28 a 5000 nel 1949. La versione di 745 cm3 è apparsa nel 1950, con una potenza di 35 CV.

Cambio generazionale

Due anni dopo è stata la volta di quella di 851 cm3 (alesaggio e corsa = 85 x 75 mm), che disponeva di 40 cavalli. La produzione della Dyna X è terminata nel 1953, dopo che dagli stabilimenti Panhard ne erano usciti 47.000 esemplari. Il suo posto è stato preso dalla bellissima Dyna Z, dalla estetica moderna e filante. La carrozzeria era ancora in lega di alluminio, ma dalla fine del 1955 si è passati alle lamiere d’acciaio. La potenza del motore è aumentata a 42 CV a 5300 giri/min. Nel 1959 ha fatto la sua comparsa una nuova versione del bicilindrico, dalle prestazioni particolarmente brillanti (la potenza specifica era di 59 CV/litro, un valore davvero elevato per una vettura di serie dell’epoca). Denominato “Tigre”, questo bicilindrico erogava 50 CV a 5750 giri/min.

La Dyna Z, che è stata costruita in oltre 140.000 esemplari, è stata sostituita alla fine del 1959 dalla PL 17. Questa vettura è stata proposta tanto in versione da 42 cavalli quanto in versione dotata del motore Tigre, ed è rimasta in listino fino al 1965. La produzione ha superato le 160.000 unità.

L’ultimo modello equipaggiato con l’ottimo bicilindrico di 851 cm3 è stato costruito dal 1964 al 1967. Contraddistinto semplicemente dalla sigla “24”, è stato fabbricato in circa 29.000 esemplari. Con questa vettura ha fatto la sua comparsa una versione ulteriormente potenziata del motore Tigre, in grado di fornire ben 60 cavalli. Si è trattato di un autentico canto del cigno, perché la 24 è stata anche l’ultima automobile costruita dalla Panhard.

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