Tecnica e creatività: valvole radiali e distribuzioni con camme troncoconiche

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Le valvole radiali e le distribuzioni con camme troncoconiche
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 settembre 2020

Un tecnico di chiara fama sosteneva che la distribuzione è il vero biglietto da visita dei motori a quattro tempi. Non aveva torto perché per lungo tempo i progettisti hanno dedicato la loro abilità e la loro fantasia allo sviluppo di sistemi di comando delle valvole diversi da quelli usuali, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni dei motori, di migliorare la razionalità dei progetti o di contenere i costi di produzione. E c’è stato anche chi ha pensato a nuovi sistemi per controllare il passaggio dei gas in entrata e in uscita dai cilindri, eliminando le valvole a fungo. 

Le camme troncoconiche sono tra noi da diverso tempo, ma forse non tutti sanno che il primo brevetto che le riguarda risale addirittura alla metà degli anni Venti. Venne rilasciato alla Napier, una casa inglese di grandi tradizioni e di grande audacia tecnica, rimasta famosa per alcuni suoi motori costruiti con schemi molto diversi da quelli classici. Basta ricordare alcune realizzazioni destinate ad aerei, imbarcazioni e treni (come il Sabre, ad H e con distribuzione a foderi, il Deltic a pistoni opposti con tre alberi a gomiti e l’ancor più complesso Nomad).

Un altro brevetto relativo a una soluzione dello stesso genere è stato rilasciato molti anni dopo (1952) alla Mercedes-Benz. Pure in questo caso non ci sono state applicazioni pratiche.

Sembrava che gli eccentrici troncoconici non interessassero a nessuno, e per diverso tempo non se ne è più parlato. A riportare alla ribalta le camme di questo tipo ha provveduto la Porsche nei primi anni Ottanta, quando ha realizzato il suo V6 TAG di 1500 cm3 che ha consentito alla Mc Laren di F1 la conquista di tre titoli mondiali consecutivi nell’era turbo.

Nei motori a ciclo Otto con teste a quattro valvole, queste giacciono su due piani inclinati tra loro di un certo angolo. Quella di aspirazione sono da un lato della testa e sono parallele tra loro; lo stesso vale per quelle di scarico, che si trovano dall’altro lato. La casa di Stoccarda decise che nel suo V6 sovralimentato di F1 le valvole omologhe non sarebbero state parallele ma leggermente inclinate, divergendo in direzione dell’albero a camme. Agli eccentrici è stata perciò impartita una geometria leggermente troncoconica (la “radialità” era di 4° + 4°). Questa soluzione è stata in seguito largamente adottata sulla maggior parte dei motori di Formula Uno. Ha utilizzato di serie camme di questo tipo la Rotax sul suo monocilindrico a cinque valvole che è stato utilizzato dalla Aprilia sulla Pegaso 650. Oggi spicca il loro impiego in alcuni motori BMW bicilindrici e MV Agusta.

Nel 1973 il prof. Titolo ha pubblicato una memoria nella quale proponeva un interessante sistema di fasatura e alzata variabile che prevedeva l’utilizzo di alberi a camme scorrevoli assialmente e dotati di eccentrici troncoconici i quali agivano su punterie a bicchiere dotate di pattini basculanti. L’idea era di grande interesse e una distribuzione di questo tipo è stata anche provata dalla Ferrari. Non si è usciti comunque dallo stadio di prototipo.     

Con l’obiettivo di ottenere una camera di combustione davvero emisferica, il progettista austriaco Ludwig Apfelbeck aveva pensato già sul finire degli anni Trenta di disporre le valvole radialmente e dopo il termine del conflitto ha continuato a lungo il suo impegno in questa direzione. La soluzione appariva vantaggiosa per quanto riguarda il rendimento termico e inoltre, grazie all’ottimo sfruttamento dello spazio disponibile, consentiva di avere ampie sezioni di passaggio per i gas. Per ogni valvola c’era un condotto, che poteva essere disposto orizzontalmente o verticalmente.

Per avere non solo una camera realmente emisferica ma anche valvole di grande diametro, queste ultime dovevano essere notevolmente inclinate rispetto all’asse del cilindro. Lo schema proposto da Apfelbeck prevedeva che quelle omologhe (cioè entrambe di aspirazione o entrambe di scarico) fossero opposte e non adiacenti.

Per ottenere un cinematismo di comando corretto occorrevano due bilancieri per ogni valvola. Nella soluzione bialbero studiata dal tecnico austriaco erano entrambi a dito; ogni camma (non troncoconica ma di tipo convenzionale) agiva su uno di essi che a sua volta muoveva l’altro, oscillante su un piano nel quale giaceva l’asse della valvola.

In un quadricilindrico (nel quale si impiegavano 32 bilancieri!) potevano dunque esserci quattro condotti da ogni lato della testa e altri otto del tipo “downdraft”, ossia verticali e passanti nella zona tra i due alberi a camme. Questo schema è stato adottato dalla BMW attorno alla metà degli anni Sessanta per realizzare un motore di Formula Due (M 10) in versioni di 1600 e di 2000 cm3.

I risultati ottenuti sono stato buoni ma non adeguati alle aspettative. È vero che le valvole erano le più grandi che si potevano installare, in rapporto all’alesaggio, e che la forma della camera era ottimale ma la complessità meccanica era considerevole, la testa era alta e pesante e di aree di squish non c’era alcuna traccia.    

In seguito per i suoi motori da competizione la casa di Monaco ha quindi adottato una testa bialbero di struttura convenzionale, con camere a tetto. Le valvole però non avevano la disposizione usuale ma, da ciascun lato della testa, si alternavano: una di aspirazione, una di scarico, una di aspirazione e così via. Veniva cioè adottato uno schema “diametrale”, per cui in ogni camera ciascuna valvola di aspirazione era di fronte a una di scarico e viceversa. Da ogni lato della testa c’erano quattro condotti di aspirazione e quattro di scarico. Non c’erano un albero a camme di aspirazione e uno di scarico, ma su ciascuno di essi si alternavano gli eccentrici dei due tipi.

Una disposizione di questo genere, con camere a tetto e valvole che si alternavano, era stata già impiegata all’inizio degli anni Trenta dalla americana Frontenac nella testa bialbero AF 16, destinata ad essere montata sul blocco della Ford “Model A”. Nel 1969 pure la Ferrari ha realizzato e provato (anche in pista) teste bialbero “radiali” sul suo V6 di 2000 cm3, con risultati non soddisfacenti. In questo motore sperimentale, del quale non si sa quasi nulla, i condotti di aspirazione erano del tipo downdraft (passavano cioè tra gli alberi a camme) e da ciascun lato di ogni testa uscivano tre condotti di scarico. 

La BMW è successivamente passata alla soluzione convenzionale, con le valvole di aspirazione da un lato della testa e quelle di scarico dall’altro e i suoi quadricilindrici da competizione sono rapidamente diventati quelli da battere in Formula Due. La versione turbo ha conquistato il mondiale piloti con Piquet nel 1983.   

Quando si tratta di provare nuove soluzioni o di adottare, su modelli non solo da corsa ma anche di serie, schemi differenti da quelli usuali, per le moto è tutto più facile; assai spesso infatti i loro motori sono monocilindrici. Questo ha consentito alla Rudge-Whitworth e alla Honda di costruire in numeri considerevoli modelli stradali con quattro valvole davvero radiali. E la Rotax ha potuto impiegare camme fortemente troncoconiche nel suo motore di 650 cm3, che di valvole di aspirazione ne aveva tre.

Ad adottare su vasta scala uno schema analogo a quello proposto da Apfelbeck, in versioni sia mono che bialbero, è stata la Honda. Sono stati dotati di una testa a quattro valvole con camera di combustione emisferica moto di grande successo come la XL 600 e la Dominator, entrambe monocilindriche. In questi casi le due valvole di aspirazione erano adiacenti e non una di fronte all’altra come nella soluzione studiata dal tecnico austriaco (lo stesso discorso vale ovviamente per quelle di scarico). Nella parte posteriore della testa vi era un grosso condotto che poi si biforcava per raggiungere le due valvole di aspirazione. Dalla parte opposta vi erano i due condotti di scarico. Ogni eccentrico dell’albero a camme azionava un bilanciere a due bracci che a sua volta ne muoveva uno a dito. La casa giapponese ha sviluppato e impiegato anche una versione bialbero della sua testa con camera emisferica, nella quale i bilancieri sono entrambi a dito.

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