Dakar 2015. Gioco a Perdere

Dakar 2015. Gioco a Perdere
Pubblicità
Piero Batini
  • di Piero Batini
Anche quest’anno la Dakar porta a decimazione il contingente dei Partecipanti. Doveva essere una Dakar più facile di quella dello scorso anno, è stato un massacro. Voluto | <i>P. Batini, T. de Rio Hondo</i>
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
16 gennaio 2015

Termas de Rio Hondo, 16 Gennaio 2015. Tutto come ieri, tutto come prima. Due tappe pantografate, in due settori diversi della Pampa argentina ma con caratteristiche molto simili, due doppiette, Barreda e Al-Attyia, e in mezzo la notte marathon di Cachi, il campo di concentramento inaccessibile e dal quale neanche i Piloti possono uscire, sotto l’incubo della tempesta di pioggia che intanto imperversa per tutta l’area. Come dire, piove sul bagnato. Sono rimaste 79 Moto delle 161 alla partenza, 69 su 137 Auto, solo 18 quad dei 45 partenti.

I Camion per loro natura tecnica sfuggono al “massacro”, 52 su 63. Ormai la Dakar la vince che ha meno guai, e questo fatto inconfutabile, se da una parte esalta le caratteristiche globali dei migliori fuoriclasse, che si contano sulla punta delle dita di una mano, dall’altra avvilisce lo spettacolo dell’agonismo e della tecnica mortificandolo in una sorta di atto di superbia della Dakar. L’imperativo a queste condizioni, diventa “sopravvivere”, “salvare la pelle”. Uno ad uno, buoni e meno buoni, Piloti  e Equipaggi vengono falcidiati dall’implacabile cinismo della Dakar, un “difetto” che diventa una caratteristica sempre più ricercata della corsa. Altro che colpi di scena! Si tratta di veri e propri agguati, preparati con impietosa cura del dettaglio e così efficaci da risultare letali anche giorni dopo l’esecuzione. Dicevamo solo ieri dei Piloti Honda che si sono messi tutti a disposizione di Paulo Gonçalves per aiutare il portoghese nell’impresa praticamente impossibile di sottrarre a Marc Coma la sua quinta vittoria. Ieri ci sembrava difficile che l’unione potesse fare vera forza, o forza in tal senso utile, oggi dobbiamo invece verificare che l’atto di altruismo è servito solo a limitare i danni.

 

Dakar 2015 (4)
I piloti Honda lavorano sulle moto nella tappa Marathon

La Bolivia non perdona

La Marathon in Bolivia e il passaggio scenografico sul Salar di Uyini sono stati devastanti. Per molti non solo inopportuni, devastanti.

Devastanti per chi era arrivato al limite delle risorse fisiche e ha finito per ammalarsi, devastanti per chi la lasciato la Moto nel Salar ed è dovuto salire sul Campion Scopa.

Devastanti anche per chi ha pagato più tardi, per chi non ha lasciato la Moto o l’Auto mummificata nell’impasto di fango e sale ed è riuscito a riportare il mezzo in Cile, ma ha ricevuto la fattura dell’”effetto sale” ore o giorni dopo, anche dopo il cambio di motore o la revisione completa di Iquique. In tutti quei casi, insieme alla moto o all’auto, nel salar è rimasto anche il sogno di un risultato e talvolta, come nel caso di Barreda, molto più che un sogno, una realtà maturata giorno dopo giorno di difficili battaglie agonistiche e psicologiche vinte.

 

 

Peugeot Dakar tappa 11 (1)
Difficile ricordare una edizione dakariana con tanta acqua e fango

 

Tutti per uno, in casa Honda

Ma il risultato è che Paulo Gonçalves è passato da sette a ventuno minuti di ritardo,  ora deve difendersi dall’attacco di Toby Price, e che Jeremias Israel non ha finito la sua Dakar. Bravo, Israel, ha trascinato Rodrigues fuori dall’inferno di Uyuni, e ha dato il proprio motore a Gonçalves tornando via da Cachi in macchina. Uniti, sì. Nella notte di Cachi tutti i Piloti si sono messi a lavorare sulla moto di Gonçalves per travasare i pezzi da quella Israel, e  così il portoghese porterà sul podio di Buenos Aires anche il ringraziamento ai Compagni di Squadra. Intanto Barreda torna a vincere una tappa dietro l’altra, dimostrando che è il più veloce di tutti ma non raccogliendo ancora i frutti della sua maturazione personale, che gli impedisce di gioire delle vittorie parziali.

Rafal Sonik, il Polacco che sogna di andare con il quad forte quanto le moto, è vicinissimo a vincere la Dakar. Non è più insidiato. Alle sue spalle sono spariti tutti, e molti con un diavolo per capello recriminando sull’errore Uyuni. Ignacio Casale, Campione in carica, Segio Lafuente e “Patagon” Gallegos per ultimi.

Anche la gara delle auto ha le sue clamorse code. Tra le ultime gli abbandoni della rivelazione saudita Yazeed Al-Rajhi, che era terzo nella generale e che non è riuscito a ripartire da Salta per un guasto al motore, e di Stephane Henrardt, imprinting genetico dell’epopea Volkswagen.
E non è finita! Non sono sicuro che sia la Dakar “giusta”.

Argomenti

Pubblicità