Formula 1: Roland Ratzenberger e quell'ultima intervista mai fatta

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Paolo Ciccarone
Ecco la storia di Roland Ratzenberger, il giovane pilota che perse la vita nelle qualifiche di quel maledetto weekend a Imola, il giorno prima di Senna | <i>P. Ciccarone</i>
30 aprile 2014

Già a pronunciare il nome era un problema. Poi, visto che era sul fondo della griglia, se andava bene, e con quello che capitava davanti, vedi le difficoltà di Senna, i dubbi sulla Benetton di Schumacher e i soliti casini della Ferrari, di Roland Ratzenberger di tempo per seguirlo ce ne era davvero poco. Lavorare per un settimanale specializzato, però, ti porta in giro per i box a raccogliere informazioni su tutti, perché un servizio, una curiosità, ci scappa sempre.

Simtek: un piccolo-grande team all'ombra di Mosley?

In quell’inizio di 1994 c’era molta curiosità attorno alla Simtek, piccolo team curato e gestito da Nick Wirth. La curiosità nasceva dal fatto che si vociferava che Nick fosse il nipote di Max Mosley, potente nuovo presidente della FIA, e che la nascita della Simtek non fosse casuale ma seguisse un filone ben preciso.

 

La cosa che stupiva era il fatto che la vettura fosse interessante, curata e con particolari aerodinamici di rilievo. Troppo per un piccolo team. E il sospetto era che dietro a Wirth e a questa piccola squadra, ci fosse qualcosa di grosso. Infatti, le consulenze per conto della FIA, la galleria del vento costruita per la Ligier, i progetti di monoposto anche per Case come BMW, facevano capire che dietro ci fosse qualcosa di grosso.

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Roland Ratzenberger è uscito di pista a oltre 300 km/h

 

Anche se Mosley aveva lasciato la squadra nel 1992 dopo averla fondata proprio con Wirth nel 1989 quando uscì dalla March che divenne Leyton House, gli appoggi politici erano molto forti. Mancavano i soldi, ce li mise Jack Brabham che coinvolse il nascente gruppo TV MTV, al volante il figlio David e il debuttante Roland Ratzenberger. La curiosità, appunto, nasceva più da chi stava dietro al team che da quello che si vedeva. Roland era un nome quasi sconosciuto, aveva fatto qualcosa nelle formule minori, trovarselo in F.1 era una sorpresa. Per questo, più che parlare di David Brabham, che qualche apparizione l’aveva fatta, era proprio su Roland che si voleva fare qualcosa. Si sapeva che Berger aveva dato una mano al connazionale, di cui era amico e compagno di baldorie. Nel consueto giro del venerdì mattina nel paddock, a curiosare fra i box delle scuderie, ci imbattemmo nella Simtek.

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L'incidente fatale di Ratzenberger è avvenuto il giorno prima di quello di Senna

Roland quasi incredulo per la richiesta di un'intervista

Ultimo box di Imola, il primo appena si entra nella corsia, proprio vicino al cancello che portava al paddock e all’infermeria. Un posto scomodo, fra le auto che entravano, i commissari che ti spingevano via e manovre da fare per districarsi in quel budello. Ma erano gli ultimi arrivati, ci poteva stare. Uno sguardo con Roland, quattro chiacchiere: “Ciao, sono di Rombo, settimanale italiano, mi dici quando hai tempo per fare una intervista?” Sorriso a 32 denti, orgoglioso che un giornalista gli rivolgesse la parola. “Passa domattina, ti dico meglio, magari dopo le qualifiche è il momento migliore, metti che non riesco a partire nemmeno stavolta…”. Ok, prendiamo appuntamento per il giorno dopo. Sabato mattina, corsia dei box, solito rituale della passeggiata box per box a curiosare dentro i garage. Roland sta per partire per le prove.

Ok, ci vediamo dopo le qualifiche e mi raccomando, se puoi mettere delle foto da questo lato che si vedono gli sponsor

 

Si guarda intorno. Cerca un suo biglietto da visita nel borsone. Me lo consegna: «Sai, se dovessimo perderci di vista, puoi cercarmi a questo numero. Ho trovato soldi solo per tre o quattro gare, se va bene ne faccio cinque. Una intervista potrebbe servirmi davvero». «Figurati, son qua apposta» gli dico e intanto vedo che cura con attenzione il casco, Arai, nuovo di pacca: «Finora mi sono dovuto comprare tutto, appena arrivato in F.1 mi hanno dato il casco nuovo, la tuta nuova, le scarpe, tutto gratis. Si vede che è un’altra categoria». Orgoglioso di far parte del circus iridato, felice col suo casco nuovo pulitissimo e la tuta linda, senza un filo di sporco. Al confronto con il compagno di squadra David Brabham, Roland sembrava un modello pronto per la sfilata. L’australiano era più disordinato, quasi vestisse alla rinfusa.

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Si sapeva pochissimo di Roland Ratzenberger, che era approdato nel Circus in maniera silenziosa 

Quel "Ci vediamo dopo le qualifiche" e le lacrime di Senna

«Ok, ci vediamo dopo le qualifiche e mi raccomando, se puoi mettere delle foto da questo lato che si vedono gli sponsor». «Tranquillo Roland, non so quando pubblico tutto, magari prima di Monaco, ma cerca almeno di qualificarti, sennò che scrivo?» Arriva il pomeriggio, sono in giro nella corsia dei box quando la voce di Costa, lo speaker, lancia un grido: "C’è una uscita di pista prima della Tosa, vediamo le bandiere rosse e i mezzi di soccorso che entrano in azione. La vettura è quella dell’austriaco Roland Razzzzembegge che è ancora dentro l’abitacolo". Corro alla prima postazione TV disponibile. E’ della Williams. Immobile, sguardo pietrificato, Frank Williams osserva il piccolo schermo. Al suo fianco c’è l’addetta stampa Anne Bradshaw che si porta le mani alla bocca e urla “Oh my god, it's terrible”.

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La Simtek era una piccola scuderia finanziata con i capitali di Jack Brabham e sponsorizzata dalla neonata MTV

 

Guardo e vedo che stanno facendo il massaggio cardiaco. Lancio uno sguardo dentro il box e vedo la faccia di Senna che trattiene le lacrime, fa un gesto sconsolato e si allontana scuotendo il capo. Mi avvicino di più, Frank Williams non dice una parola, mi guarda e mi fa capire che ha capito tutto di quanto sta avvenendo: è finita. Anne mi prende il braccio, stringe con forza. Arriva David Brown, il biondino ingegnere di pista di Senna, mostra un dato parziale delle velocità: «Guarda, ha distrutto la fotocellula della velocità andandoci a sbattere sopra: 314,9 km/h. Non sopravvivi a quella velocità». Williams annuisce, fa un gesto con la testa e dal box mi spingono fuori, chiudono le saracinesche e allontanano tutti. Nella corsia dei box i commissari, via radio, sanno già tutto: “Soccia che botta, puvraz, l’è andè”. Cavoli che botta, poveraccio, è morto. Si resta senza fiato, sorpresi e stupiti che sia accaduto qualcosa del genere. Nel frattempo la Simtek torna ai box sul carro attrezzi.

Vado vicino alla macchina, vedo il buco nel fianco, tocco l’interno dell’abitacolo col sedile frantumato. Metto due dita per vedere quanto è rovinato e quando le tolgo me le ritrovo piene di sangue

 

Mi avvicino quando la scaricano davanti al garage e vedo Nick Wirth che trema, piange, non sa trattenersi. Fa uno strano effetto vedere sto spilungone di quasi due metri che sembra un bimbo sorpreso dal tuono di notte e che cerca la mamma. Faccio il duro, il cinico o forse non so come comportarmi e faccio qualcosa tanto per non restare fermo come un fesso. Vado vicino alla macchina, vedo il buco nel fianco, tocco l’interno dell’abitacolo col sedile frantumato. Metto due dita per vedere quanto è rovinato e quando le tolgo me le ritrovo piene di sangue. Resto fermo a guardarle e a chiedermi cosa fosse successo. E ripenso all’intervista che dovevo fare. Le mie ultime parole con Roland sono poche, insufficienti per un servizio, la famosa ultima intervista dove cerchi premonizioni, messaggi postumi, qualcosa da tramandare ai posteri. Qua no, c’è solo uno allegro, felice per essere in F.1, con casco e tuta nuova da mostrare con orgoglio, a una serata allegra da trascorrere col suo amico Berger e a qualche bella ragazza da rimorchiare. Cominciamo a pensare a come raccontare questo dramma.

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La Simtek di Roland, distrutta dopo il terribile impatto, torna ai box sul carro attrezzi

"Più sicure di così si muore"

E mi viene in mente una frase di Max Mosley a inizio stagione, quando vietarono le sospensioni attive e che fino a quel momento avevano causato una serie di incidenti, tutti sottovalutati. Lehto con la Benetton in prova a Silverstone con frattura di due vertebre cervicali. Alesi che nei test al Mugello si è schiantato alla Arrabbiata e che ha saltato il GP a Imola. Barrichello il giorno prima, ora Raztenberger. E non sapevamo ancora di Senna e di tutti gli altri di quella stagione: Lamy nei test a Silverstone. Montermini in Spagna. Wendlinger a Montecarlo. Una gara, un incidente, un ferito grave o quasi: “Queste F.1 sono il massimo della sicurezza presente oggi nelle competizioni motoristiche” disse Mosley, alludendo al fatto che senza sospensioni attive, c’era più sicurezza al volante.

 

E facendo il titolo su Rombo, proprio quel sabato notte prima di stravolgere il giornale e le nostre vite, feci il titolo: "Più sicure di così, si muore…". Ecco la storia di un ultimo della classe, che per qualche ragione è passato alla storia, ma non come avrebbe voluto. E a ricordare quell’ultima intervista, che non feci mai, e a una considerazione che vale per tutte le categorie da corsa: anche l’ultimo merita rispetto come il primo. Perché quando esci di pista contro un muro a 314 km/h invece che a 320, non fa differenza se sei il primo della classe o l’ultimo. E generazioni di tifosi beceri, oggi, non l’hanno ancora capito. Il rispetto vale per tutti coloro che indossano un casco e una tuta e si buttano in pista per sfidare se stessi prima e gli altri dopo.

 

Il fatale incidente di Roland Ratzeberger

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