Coronavirus, l'analisi di un caso all'italiana: "No alla cassa integrazione, applichiamo protocolli già collaudati e salviamo soldi pubblici e privati"

Coronavirus, l'analisi di un caso all'italiana: "No alla cassa integrazione, applichiamo protocolli già collaudati e salviamo soldi pubblici e privati"
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  • di Luciano Lombardi
Partendo da un (micro)caso concreto relativo all'automotive, vediamo quali potrebbero essere le (macro)conseguenze del perdurare di questa emergenza sanitaria su tutto il settore. Ma anche i possibili rimedi per attenuarne gli effetti
  • di Luciano Lombardi
26 febbraio 2020

Prendiamo un'azienda del nostro comparto. Un'azienda come tante, che però ha avuto la sventura di avere il proprio quartier generale e i propri siti produttivi in una Zona Rossa individuata come epicentro del Coronavirus.

Sarà la nostra Paziente Zero Aziendale Virtuale, da prendere come modello per analizzare gli effetti della propagazione del Coronavirus nell'industria dell'auto.

Peraltro facilmente traslabili in qualsiasi altro settore merceologico.

Questa azienda, come da decreto ministeriale n.6 del 23 febbraio 2020 contenente: “misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, fino a tutta la durata della quarantena è - e sarà - costretta a interrompere la produzione. Quattordici giorni, senza se e senza ma.

In questo caso, tutti i suoi dipendenti - diciamo qualche centinaio, e parliamo quindi di un'azienda di dimensioni medio-grandi, stereotipo perfetto del tessuto imprenditoriale italiano - sono lasciati a casa con linee di produzione, ovviamente, ferme.

Sempre per restare in tema di italiche peculiarità, questa azienda è una tipica impresa globalizzata che ha sviluppato l'eccellenza del suo know how in Italia ma è riuscita a non limitare il proprio mercato che, al contrario, è principalmente altrove: in Europa e nel mondo, in tutti quei luoghi laddove cioè il frutto della produzione di componentistica per auto ha i suoi siti produttivi e pertanto la sua ragion d'essere.

Quattordici giorni ok... Ma se fossero di più?

Ma torniamo ai tempi dello stop imposto: quattordici giorni, di per sé, sono un periodo enorme per i tempi di un'impresa moderna.

Potrebbero, certo, anche essere gestiti, ma a patto di pesantissimi sforzi e sacrifici. Ma poi? Quali conseguenze potrebbero derivare da un fermo più prolungato?

Una soluzione, qui, potrebbe essere quella di consentire che almeno una percentuale - anche ridotta, per esempio il 10 per cento - della forza lavoro continui a produrre in deroga al decreto.

In questo caso, la gestione dell'emergenza da parte delle autorità cinesi che sono cioè riuscite a non far fermare mai del tutto la produzione, aumentando e migliorando i controlli sui dipendenti rimasti operativi, potrebbe rappresentare un valido modello a cui ispirarsi. Per l'Italia, ma anche per tutti gli altri governi che non sono ancora stati colpiti con tanta forza e quindi vivono la situazione in maniera ancora superficiale.

Le regole, di per sé, non sarebbero complesse: basterebbe, per dire, tracciare i luoghi ai quali l'accesso è consentito e inibire tutti gli altri, e introdurre il sistema del triplo controllo della temperatura, in ingresso, per più volte durante l'orario lavorativo, e in uscita.

La farfalla di Pechino

La globalizzazione, si era detto. Una delle caratteristiche dei distretti produttivi è quello di avere al loro interno moltitudini di realtà molto specifiche, parti di un sistema che funziona con regolarità soltanto se tutti i suoi ingranaggi sono ben oliati.

Ma che cosa succede quando anche uno solo di questi si inceppa? Il sistema va a monte, assieme a tutte le componenti che ne fanno parte.

Dunque, moltiplicando il tutto su scala globale e senza porre limiti di categoria merceologico-produttiva è facile comprendere come da un micro-problema di gestione tutto sommato non proibitiva, si passerebbe a un macro-problema dalle conseguenze catastrofiche di tipo strutturale. Che, nel caso dell'automotive, andrebbe ad aggiungersi ad altri fattori - gli inestimenti per il passaggio all'elettrico, le tante questioni collegate all'inquinamento, fino ai cambiamenti nel modo di concepire la mobilità privata - che rischiano seriamente di metterlo in ginocchio.

Certo il governo sta promettendo aiuti e sgravi per le aziende dislocate nelle aree dei cosiddetti “focolai”. Ma anche qui - ed è un altro elemento di superficialità nella gestione del tutto su cui riflettere - le zone d'ombra sono tante, e sono cruciali. Soprattutto perché non è ancora chiaro in che modo si intende trattare la questione. Si tratta, cioè, di una causa di forza maggiore? Di una calamità naturale?

Sono risposte fondamentali, queste. Che rientrano in un contesto di scarsa chiarezza generale e di poca lungimiranza. A tutti i livelli temporali.

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