I motori tre cilindri a due tempi

I motori tre cilindri a due tempi
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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Questo frazionamento ha avuto a lungo una notevole diffusione, in campo sia motociclistico che automobilistico, per eccellenti ragioni |<i> M. Clarke</i>
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
10 ottobre 2013

Negli anni Trenta i motori a due tempi erano considerati relativamente “umili” e adatti ad equipaggiare moto generalmente di piccola cilindrata e di costo ridotto e automobili utilitarie. Tra i principali sostenitori dei motori di questo tipo spiccava la tedesca DKW, un autentico colosso mondiale che produceva tanto mezzi a due ruote di grande successo quanto automobili, molte delle quali a trazione anteriore, che in Germania erano assai popolari. Altri importanti fabbricanti di moto a due tempi erano la Zundapp e la Victoria in Germania e la Puch in Austria. La DKW ha realizzato anche diverse moto da competizione dalla tecnica sofisticata (avevano il raffreddamento ad acqua ed erano sovralimentate) che per diverso tempo hanno spadroneggiato nelle loro classi di cilindrata. Il primo motore automobilistico a tre cilindri, esso pure a due tempi, lo ha prodotto nel 1939 (i modelli precedenti erano a due e a quattro cilindri); equipaggiava la F9 e con una cilindrata di 900 cm3 erogava 30 cavalli.

Le Auto

Dopo il termine della seconda guerra mondiale la DKW ha ripreso l’attività nella parte occidentale della Germania, nei nuovi stabilimenti di Ingolstadt e Dusseldorf, producendo sia moto che auto a due tempi divenute ben presto molto popolari per le loro eccellenti caratteristiche. La prima vettura con motore a tre cilindri (in linea, e con raffreddamento ad acqua) è stata la 900 Sonderklasse, che disponeva di 34 cavalli. Per le sue autovetture la DKW – Auto Union (denominazione ripresa dal 1957) ha continuato a impiegare motori a due tempi con questa architettura in cilindrate comprese tra 800 e 1175 cm3 e potenze che andavano da 34 a 60 cavalli, fino al 1966.

Diretta discendente della Sonderklasse è stata la 1000 denominata 3=6; questa scritta, ben visibile sulla carrozzeria della vettura, stava a indicare che il motore, essendo a due tempi, si comportava come un quattro tempi a sei cilindri. Ogni giro dell’albero a gomiti infatti si svolgevano tre fasi utili (ovvero, avevano luogo tre “scoppi”, come si dice impropriamente in gergo). Molto interessante è stata anche la Munga, ossia la vettura militare da fuoristrada impiegata per anni dall’esercito tedesco e da altri paesi Nato. Robusta e versatile, è stata prodotta in oltre 45.000 unità e ha lasciato un eccellente ricordo. Non è una cattiva idea ricordare che, come sottolineava uno slogan dell’epoca, nei motori a tre cilindri a due tempi ci sono solo sette parti mobili (tre bielle, tre pistoni e un albero a gomiti)!

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Il motore della DKW 350, dove comparsero per la prima volta gli scarichi a espansione

 

Nel frattempo nella Germania dell’Est era ripresa la produzione della F9, dapprima da parte della IFA e quindi, in versione migliorata e con cilindrata portata a 993 cm3, da parte della VEB Automobilwerke Eisenach, in uno stabilimento della Turingia che negli anni Trenta era stato di proprietà della BMW. Queste vetture venivano vendute con il marchio Wartburg e sono state prodotte fino agli anni Ottanta. Un’altra Casa che ha a lungo legato il suo nome a semplici e robusti motori a due tempi a tre cilindri in linea è stata la svedese Saab. La serie è iniziata con la 92 del 1949, dotata di un tricilindrico di 750 cm3 di netta ispirazione DKW ed è proseguita fino al modello 96 di 850 cm3, rimasto famoso per le sue vittorie nei rally dei primi anni Sessanta. La produzione delle Saab a due tempi è terminata nel 1968.

Le Moto

Pure per quanto riguarda i mezzi a due ruote a mostrare la strada è stata la DKW, negli anni Cinquanta, quando il tecnico Erich Wolf ha deciso di ricavare una 350 da Gran Premio raffreddata ad aria semplicemente aggiungendo un cilindro centrale alla 250 bicilindrica e cambiando leggermente le misure di alesaggio e corsa. Mentre però i due cilindri laterali erano solo leggermente inclinati in avanti rispetto alla verticale, quello centrale, dotato di alettatura radiale, era praticamente orizzontale, in quanto formava un angolo di 75° rispetto ad essi. La moto ha fatto il suo esordio nel 1952 con una potenza di circa 35 cavalli e in seguito ha continuato ad essere sviluppata, in particolare grazie all’opera di Helmut Gorg. Sulla DKW 350 hanno fatto la prima apparizione, sia pure in forma rudimentale, gli scarichi a espansione. Al termine della stagione 1956, quando la casa tedesca si è ritirata dalle competizioni, la potenza era salita a circa 46 cavalli a un regime dell’ordine di 10.000 giri/min.

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La Kawasaki 500 H1, denominata anche Mach III, fu la prima moto a tre cilindri a due tempi a entrare nella produzione di serie

 

La prima moto tricilindrica a due tempi a entrare in produzione di gran serie, verso la fine del 1968, è stata la Kawasaki 500 H1 (denominata anche Mach III su molti mercati). In questo caso i cilindri erano in linea e, per evitare che la larghezza del motore risultasse eccessiva, l’interasse tra le canne era piuttosto contenuto. Questo impediva ai condotti di travaso (per la prima volta ne venivano impiegati quattro per ogni cilindro) di avere una conformazione ottimale, cioè arcuata e con ampie sezioni. Pure l’alettatura del cilindro centrale era ben poco sviluppata lateralmente. La potenza era elevatissima, in relazione alla cilindrata, per un modello di serie: ben 60 CV a 7500 giri/min. Quello che impressionava maggiormente però era il carattere della erogazione, talmente brusca da risultare addirittura rabbiosa. Di questa moto, rimasta in produzione per buona parte degli anni Settanta, è stata realizzata anche una valida versione da competizione (H1 R).

Una moto piena di carattere

Con una architettura analoga alla 500 la Kawasaki ha prodotto a partire dal 1972 una “brutale” 750 da 74 cavalli e una 350, seguite da una 400 e perfino da una 250 (non importata da noi).Tutte queste tricilindriche avevano quattro travasi e i cilindri in lega leggera con canna riportata in ghisa. Della 750 è stata realizzata anche una versione da corsa, la H2 R, che nel 1975 ha subito una accurata rivisitazione, con adozione del raffreddamento ad acqua (KR 750).

Pure la Suzuki ha fatto ricorso alla architettura a tre cilindri in linea, mettendo in produzione nel 1971 la 750 GT raffreddata ad acqua e destinata ad essere una confortevole e infaticabile divoratrice di chilometri. La potenza era di 67 CV a 6500 giri/min. I cilindri erano leggermente ruotati sul loro asse rispetto alla disposizione tradizionale in modo da poter avere condotti di travaso ampi e dotati di un andamento  favorevole. In questo modo, anche se i travasi erano due soltanto, era possibile ottenere prestazioni molto elevate, come dimostrato dalla versione da competizione (la TR 750, che disponeva di oltre 100 cavalli e che ha vinto il trofeo FIM Formula 750 nel 1973) e dalla Vallelunga, allestita dall’importatore italiano SAIAD per le gare delle “derivate di serie” (81 CV).

Anche la Suzuki ha fatto ricorso all'architettura a tre cilindri in linea, mettendo in produzione nel 1971 la 750 GT raffreddata ad acqua e destinata ad essere una confortevole e infaticabile divoratrice di chilometri. La potenza era di 67 CV a 6500 giri/min


Questa vigorosa granturismo è stata affiancata nel 1972 dalle tricilindriche raffreddate ad aria GT 380 e GT 550, che disponevano rispettivamente di 40 CV a 7500 giri/min e di 50 CV a 6500. Si trattava di modelli destinati all’impiego di tutti i giorni e ai viaggi anche in due persone, con una erogazione pastosa e ben gestibile. Questo ha consentito alla GT 380 di essere grande protagonista delle gare in salita per diversi anni.

Ma la Honda non rimase a guardare

Quando la Honda, dopo anni di assenza dai Gran Premi, ha deciso di tornare alla attività agonistica ai massimi livelli, visto che neppure con la NR 500 a pistoni ovali riusciva ad essere competitiva utilizzando un motore a quattro tempi, ha scelto di realizzare una 500 a due tempi a tre cilindri, leggera, compatta e con ammissione lamellare. Il progetto è stato affidato alla equipe di S. Miyakoshi che si è ispirata abbondantemente alle esperienze (vincenti) compiute in campo crossistico negli anni precedenti. La nuova NS 500 ha debuttato nel 1982 e la stagione successiva ha conquistato il mondiale con in sella il velocissimo Freddie Spencer.

Il motore aveva due cilindri quasi verticali e uno (quello centrale) quasi orizzontale. La soluzione, come era accaduto per la DKW, consentiva di limitare l’ingombro trasversale del motore, pur offrendo la massima libertà per quanto riguarda la conformazione e le dimensioni dei travasi, che in questo caso erano cinque per ogni cilindro. I tre perni di manovella erano disposti in modo da avere una perfetta equidistanza tra le fasi utili, proprio come accaduto per la 350 tedesca. Dalla moto ufficiale, che erogava poco più di 125 cavalli, è stata ricavata una versione per i piloti privati, denominata RS 500, che è stata commercializzata a partire dal 1983, e che disponeva di circa 120 CV a 11500 giri/min.

Un paio di anni dopo la Honda ha realizzato una stradale sportiva a tre cilindri dalla ottima guidabilità e in grado di fornire eccellenti prestazioni, la NS 400 R. In questo caso il cilindro centrale era quasi verticale mentre i due laterali erano pressoché orizzontali. La potenza era di 72 cavalli a 9000 giri/min. Di questo motore esisteva anche una versione di 250 cm3, che non è stata importata in Italia.             

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