WRC19. Hyundai. Andrea Adamo: “Il mio stile di comando? Guardare negli occhi!”

Pubblicità
Piero Batini
  • di Piero Batini
I piani possibili di Hyundai per conquistare il Mondiale WRC nella lucida e sincera analisi di Andrea Adamo, chiamato a fine anno ad imporre lo stile vincente già dimostrato con il Titolo WTCR di Tarquini. Obiettivo non semplice per limiti regolamentari e tempistica
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
30 marzo 2019

Bastia, Corsica, 29 Marzo 2019. Inverno 2018. Hyundai ha impacchettato cinque anni di tentativi, finiti in un bilancio evidentemente non soddisfacente, e affidato la riscossa della i20 Coupé a Andrea Adamo, fresco conquistatore della “cintura” del WTCR con il “massimo” Gabriele Tarquini. Il WRC di Hyundai, nonostante la serenità dell’apparenza, è andato sotto pressione, manometro a fondo scala e urgenze inderogabili. Quanti di noi, chiamati a un compito del genere, enorme, non se la sarebbero data a gambe? Invece Andrea Adamo ci ha riflettuto un attimo, in quel modo che noi usiamo per riordinare la confusione sulla scrivania, ed ha accettato. Il raggio d’azione di Adamo è limitato dai regolamenti, dalla situazione generale ereditata e da un mondo che la pretende ma che non ha pazienza. Andrea Adamo opera in un’atmosfera di pressione, soprattutto della tempistica in un rapporto sfavorevole tra urgenza e possibilità. Critica e analisi accurate, e impegno totale, sono tuttavia la forza essenziale del piano per portare al successo una missione che potrebbe non essere più così impossibile

Avventura nuova e impegnativa. Andrea Adamo diventa il “Capo” della struttura WRC di Hyundai in un momento per lo meno particolare. Proposta difficile e inaspettata? È così?

Andrea Adamo. “Inaspettata, sì. In realtà la situazione generale è in po’ diversa da quella che mi sembra sia stata la percezione. Non è che sono diventato il “capo” del WRC di Hyundai. Il WRC è parte di un programma di Hyundai nel Motorsport, io sono responsabile di Hyundai Motorsport, Team Director, e quindi mi occupo del WRC ma anche di altri sette programmi, di cui uno è il Customer Racing con gli impegni TCR e R5. Forse il WRC ha una visibilità maggiore, ma è solo uno dei sette impegni che ho già. Quindi, se posso permettermi, l’impegno a cui sono chiamato è forse solo… “peggio”!

Andrea Adamo lanciato in un mondo che esige molto e in un momento, credo, delicato. Un impegno che si aggiunge agli altri, per esempio la difesa del Titolo WTCR… Tutto ciò crea forse una problematica di “risparmio energetico”?

AA. “Ma sì, è una questione di gestione. Chiaramente da gennaio ho dovuto riorganizzare il mio piano generale. Diciamo che, nei tre anni in cui è nata e cresciuta l’attività Customer Racing, mi ero dato come target di avere un 2019 un po’ più rilassato. Per la verità ci ero riuscito, anche delegando compiti e ruoli, ed ero arrivato al 20 dicembre 2018 con la visione di un 2019 non propriamente rilassato ma ragionevolmente organizzato. Probabilmente i miei responsabili hanno ritenuto che non dovessi rilassarmi troppo…”

Oppure hanno visto in te il “salvatore della patria”?

AA. “I salvatori della Patria non sono necessari al mondo. Povera la Patria che ha bisogno di eroi. Più semplicemente, è probabile che ci fosse bisogno di riorganizzare le cose in maniera diversa, anche di un cambio generazionale della struttura generando nuove energie, nuove motivazioni. Questo deve essere quello che hanno pensato quando hanno agito e si sono rivolti a me. Mi permetto di dire che il cambiamento più importante è interno, forse meno visibile. È quello che porta ad avere un leader unico, una scelta che permette una gestione ottimizzata di tutte le risorse interne. Prima eravamo abbastanza frazionati, separati, oggi, con il riferimento a un’unica persona, è chiaro che da parte mia viene più evidente una maggiore unione d’intenti. È una scelta che ha dato una certa aurea, se possiamo usare questo termine, al Customer Service, e che offre la possibilità di unire le forze in un unico Team. È chiaro che per Hyundai il WRC è molto importante, ma lo è altrettanto anche il WTCR.”

Si è detto che non intendi occuparti della parte puramente tecnica e di sviluppo delle Hyundai i20 Coupé. Da ingegnere, non è una forte tentazione? In che modo intendi organizzare la filiera di sviluppo delle WRC?”

AA. “No, non mi occuperò direttamente dello sviluppo tecnico delle Macchine. Semplicemente perché non è il mio lavoro. Dall’inizio dell’anno ho deciso di non fare nomi per lasciare che la struttura lavori tranquillamente, ma c’è uno staff tecnico che si occupa di questa importante “filiera”. Inutile negare che da Giugno dello scorso anno Hyundai non vince più nel WRC e che la sua competitività è andata scemando. Le pressioni interne sono molto forti, e quindi una parte importante del mio lavoro è far sì che tutti possano lavorare nella forma più serena possibile. In questo momento posso contare su una triade di specialisti che gestiscono la parte tecnica legata allo sviluppo della Macchie del WRC, telaio, power train e test di sviluppo, che riferiscono direttamente a me. È chiaro che, in funzione di programmi, tempistiche e budget posso o devo dettare delle condizioni. È, in fondo, quello che succede nel Customer Service. No, non c’è la tentazione di imporre la mia educazione professionale e le mie conoscenze. Non sono uno di quei “faso tuto me’” e cerco di fare bene il mio mestiere, che in questo momento è un gradino più sopra. Diciamo che se gli ingegneri volessero impormi delle stupidaggini dovrebbero, visto il mio background, impegnarsi un po’ di più. La mia formazione mi permette di vedere meglio le criticità e di aiutare le persone preposte a far bene il loro lavoro. Quando fai il tecnico hai una visione molto più approfondita della questione, l’ho fatto per tanti anni e so cosa c’è dietro. Ho sempre odiato i fenomeni da circo che arrivano e si ritengono capaci di capire dove è il problema solo vedendo passare la Macchina. Il mio ruolo è quello di organizzare e far funzionare la macchina del Team. Non vorrei mai cadere nell’errore di quei “tecnici da televisione”, che poi mi fanno ridere e anche un po’ paura. Nella Bibbia, anche fuori dal contesto religioso, ci sono molte verità. Una di queste cita: “Non fare agli altri quello che non vorresti facessero a te”. Ecco….

Per inciso, l’organico tecnico è rimasto lo stesso?

AA. “No, ci sono stati dei cambiamenti.”

Quando è stato introdotto il regolamento WRC Plus, nuovo per tutti, a Hyundai veniva attribuito un certo vantaggio dovuto a una maggiore flessibilità operativa e al fatto di aver sviluppato più vetture nello stesso tempo. Questo vantaggio è andato scemando. In che modo si torna in vantaggio? Con dei cambiamenti, degli aggiornamenti tecnici, o cercando di tirar fuori dai piloti qualcosa che possa aiutare a colmare il gap?

AA: “Innanzitutto un chiarimento che ritengo fondamentale. La mia esperienza diretta mi dice che in ambito Motorsport la componente Pilota è importante in ogni categoria. Nei Rally non la vedo più importante che in altre categorie. Altrimenti Neuville potrebbe continuare a vincere. Cerco di essere chiaro. A Hyundai sono mancati due fattori: l’affidabilità e un rate di sviluppo al livello degli altri. L’affidabilità sto cercando di recuperarla anche a livello di organizzazione interna, con controlli di qualità e procedure più strette. Lo sviluppo nei Rally, pur essendo una categoria a livello mondiale, è regolato da due fattori che in questo momento ci stanno legando mani e piedi: il numero dei giorni di test, nel quel si devono inserire anche i pre event, e le sessioni di omologazione, praticamente tre all’anno, gennaio, marzo, luglio. Poi ci sono gli Errata, possibilità di applicare delle modifiche. Sono arrivato in un momento in cui la Vettura, è inutile negarlo, è inferiore alle altre, ho un numero limitato di test per provare nuove soluzioni e due delle tre sessioni di omologazione sono già passate. Inoltre sono limitato dal numero di modifiche che possiamo apportare alla Macchina. Diciamo, se mi è concessa una battuta, che la mia posizione è un po’ quella di… Houdini, dover uscire da una situazione veramente critica. Diciamo anche che tutto questo la gente non lo capisce, che gli appassionati si aspettano miracoli e dunque pensano che uno arriva, tocca e risolve. Le soluzioni si trovano lavorando duro, pianificando correttamente molti aspetti del programma, avviando una serie di attività anche molto pesanti. Con i limiti dei regolamenti, è l’unico modo che ho per incrementare l’affidabilità e la velocità della nostra Macchina. Ho due possibilità di Errata e l’omologazione di luglio, devo chiedere ai tecnici dove vorrebbero applicare le poche opportunità e, in base all’esperienza che ho, ai budget e a una serie di elementi legati al buon senso, decidere. Nel 2020 avremo, poi, altre cinque possibilità ma, come si dice, a gennaio bisogna arrivarci vivi!”

Insisto: ma dai Piloti non si potrebbe tirar fuori qualcosa di più? Chiarisco meglio. Penso che Neuville abbia delle potenzialità enormi, ma anche delle fragilità. Non si potrebbe lavorare su quelle?

AA. “Guarda, mi chiedono in tanti quale dovrebbe essere il percorso ideale di studi per fare questo mestiere. Rispondo che ho fatto un grosso errore: non ho fatto Psicologia. Ho letto molto, sì, mi piace leggere, ma non ho fatto studi specifici. Credo che quando ti trovi a gestire Piloti e persone con un ruolo così importante la psicologia sia un fattore fondamentale. Io sono uno che si mette sempre in discussione, e che cerca sempre di mettersi anche nei panni degli altri. Io oggi ho difficoltà a chiedere ai miei Piloti qualcosa di più rispetto a quello che stanno dando. Oggi la prima cosa da fare è dimostrare loro, con i fatti, che stiamo progredendo. Il primo lavoro da fare non è psicologico ma tecnico. Dopo potremo iniziare a chiedere qualcosa di più anche ai Piloti. Cosa posso chiedere oggi a delle persone che viaggiamo a 180 km/h sul ghiaccio o in mezzo alle piante? Oggi a loro posso solo dire grazie. Di essere qui. Di tirare fuori tutto quello che possono dalla Macchina. Posso dire loro di stare tranquilli, che stiamo facendo di tutto e lavorando duro per continuare a spingere verso l’obiettivo. Ripeto, quando saremo noi ad aver portato dei fatti concreti, allora potremo chiedere loro qualcosa di più. Se parliamo di Piloti, non solo di Neuville, credo in un approccio molto diretto, nel loro bisogno di sentire che hanno tutto il nostro supporto. Sono esseri umani che subiscono delle pressioni forse più elevate delle mie. Credo che abbiano bisogno di sapere che io sono lì. Non davanti alle telecamere o per farmi vedere, io sono lì per esserci quando loro mi cercheranno. Talvolta è una condizione di presenza molto importante. Il Rally perfetto è quello nel quale io non devo fare niente, ma tutti sanno che sono lì con loro. Con una telefonata, una risposta, un messaggio. Non sono il compagno di giochi, non sono il papà, l’educatore, sono la persona con la quale hanno firmato un contratto che è prima di tutto un impegno di fiducia.”

Secondo te è corretto avere quattro Piloti, Equipaggi, per tre Auto? Conta più positivamente la voglia di mettersi in Macchina o incide più negativamente l’intermittenza di impiego?

AA. “Prima di tutto bisogna capire quali sono le condizioni di contorno che ti portano verso certe scelte. Da fuori, e dopo, è sin troppo facile dire questo è giusto e questo è sbagliato. Prima di tutto, come dicevano i Depeche Mode bisogna sempre imparare a camminar nelle scarpe degli altri. Ti trovi in situazioni nelle quali devi prendere una decisione fondamentale in trenta secondi. Devi avere lucidità, capacità e conoscenza di tutte le condizioni e variabili che stanno dietro alle opzioni. Per tornare al discorso, secondo me sì, è corretto avere 4 Piloti e 3 Macchine. Potermi avvalere di un Loeb per un numero limitato di Gare all’anno, di un Sordo che può fare benissimo altre Gare, penso che sia un giusto compromesso, mai una condizione di difficoltà in quanto a gestione. Per quanto riguarda l’impiego a “intermittenza”, nel 1983 Walter Rohrl fece sei gare con la 037 e ne vinse una buona parte. Non c’è un problema di intermittenza.”

A proposito di gestione, aver a che fare con un mito come Loeb può creare qualche difficoltà, qualche scompenso all’interno del Team?

AA. “No, assolutamente. È più difficile dover gestire dei Piloti che vanno piano. Se un Pilota ha fatto quello che ha fatto Loeb, vuol dire che l’Equipaggio, attenzione, parliamo di Rally e quindi di Equipaggio, è formato prima di tutto da persone intelligenti, e le persone intelligenti sono sempre quelle più semplici con cui parlare, confrontarsi, decidere. Il problema è gestire degli stupidi che magari vanno anche piano!”

Dopo l’Australia credo che la situazione sia crollata. Mi sembrava relativamente serena, rinnovi, programmi, Piloti, e invece la pressione deve essere andata alle stelle. Tu hai ereditato tutta o parte di questa pressione?

AA. “Vedi, io faccio questo mestiere dal 1989. Se vuoi fare questo mestiere devi scendere a patti con il fatto di gestire la pressione. Sempre. Bisogna anche essere realisti: un chirurgo che esegue un trapianto di cuore a un bambino ha certamente più pressione di me. Io subisco delle pressioni legate alle performance, alla gestione di milioni di euro, all’immagine di un Marchio molto forte nell’automotive. La pressione è anche garantire il lavoro e la continuità a 254 persone con le scelte che faccio e i risultati che ottengo. Questa è certamente una pressione importante. Poi, nel Motorsport la pressione è onnipresente da sempre. Anche un Team piccolo, che deve far quadrare un bilancio, è sotto pressione già per questo. C’è un’altra cosa poco nota. A novembre dello scorso anno è cambiato il management ai piani alti di Hyundai, e questo ha portato a una serie di altri cambiamenti a cascata. È chiaro che il nuovo management deve dimostrare di essere migliore del precedente, noi facciamo parte di questo cambiamento e anche a noi viene quindi chiesto di cambiare. Ci sono cose nella vita che ti capitano, è inutile che ti lamenti, le accetti oppure no. Quando mi hanno detto che dovevo assumere questo incarico l’ho preso. Non potevo dire di no e con tutta probabilità non avrei detto di no neanche se avessi potuto scegliere. Sapevo benissimo quello che mi aspettava. È la necessità di vincere e di farlo presto pur non avendone, come abbiamo visto, le possibilità di base. Ecco che faremo tutto quello che si può fare e vedremo a fine anno se ci saremo riusciti oppure no. So che io e tutte le persone che lavorano con me avranno fatto tutto quello che è possibile per riuscirci. Poi la gente giudicherà come vuole, ma io sarò certo di poter guardare in faccia la persona che vedo facendomi la barba al mattino, sicuro che avrà fatto tutto quello che era nelle sue possibilità.”

Quale è il tuo stile di comando?

AA. “Non posso negare di non essere autoritario, ma ritengo di avere le idee molto chiare. Non posso neanche dire di essere una persona facile. Sono uno che non si tira indietro e che decide, credo sia un pregio in una posizione come la mia. Sono anche uno che ha poca pazienza. Lo so, sono migliorato negli anni ma ho ancora margine. Sono uno che è nell’ambiente da molti anni e guarda tutti in faccia. Credo sia una cosa positiva. Ho visto tanta gente sorridere e poi fregare. Io dico sempre le cose come sono, in maniera molto chiara. Forse talvolta in modo troppo chiaro, quindi fastidioso. Ma guardo tutti quanti in faccia, una cosa che non tutti in questo ambiente possono dire di aver fatto!”

Sei ambizioso, appassionato, in che misura le due componenti?

AA. “Sono una persona che sta facendo quello che era il suo sogno, e che quindi ha un limite molto grosso legato alla passione con la quale fa il suo lavoro. La passione mi impone… lasciatemi raccontare. A 14 anni ho deciso che avrei fatto l’ingegnere delle macchine da corsa. L’ho fatto, sto vivendo la mia passione. Quando vivi la tua passione hai un altro grosso limite, e cioè che in un certo senso non lavori mai e non sei capace di fermarti. Questo aspetto ha compromesso una parte della mia vita, nel senso che il lavoro è diventato la mia vita pregiudicando… la vita privata. Ho difficoltà molto forti a staccare la spina e a lasciare l’impegno. Certe volte, come mi diceva un amico anni fa, ho difficoltà a capire chi, invece, non è così “committed” come me, non perché lo faccia con scarso impegno ma perché ha anche altri interessi nella vita. Io ci ho messo tutto me stesso, quasi a voler ripagare la fortuna di aver potuto fare questo. Passione. Ambizione zero!”

Ecco, siam qui che si chiacchiera, e intanto Neuville e Sordo hanno sferrato un micidiale attacco al Corsica!

Foto: Manrico Martella

Argomenti

Pubblicità