Visita a Sant'Agata, dov'è nato il mito Lamborghini Miura

Visita a Sant'Agata, dov'è nato il mito Lamborghini Miura
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Si inaugura il Museo Lamborghini. Da qui parte una tre giorni di Miura tra Emilia, Liguria e Toscana per festeggiare il 50esimo anniversario del capolavoro della Casa del Toro
13 giugno 2016

Siamo in viaggio verso Sant'Agata Bolognese, uno di quei paesi che dovrebbero avere un uscita dedicata in autostrada ma che invece si raggiunge solo grazie al satellitare, altrimenti per la toponomastica non esiste. Andiamo a visitare l'opera unica figlia di questi umili uomini che per fortuna oggi c'è il computer: Ferruccio Lamborghini, Giotto Bizzarrini, Paolo Stanzani, Giampaolo Dallara e Marcello Gandini per Nuccio Bertone. Niente cartelli “Sant'Agata”? Povera Italia.

La protagonista di oggi è lei, splendida cinquantenne: la Lamborghini Miura. Siamo probabilmente di fronte all'unica auto il cui fascino esula dal contesto motoristico. La sua bellezza stravince su tutte le altre sportive e la porta in un mondo ormai fine a sé stesso. E' meravigliosa, secondariamente è anche un automobile ed in ultimo fu rivoluzionaria. Non è nemmeno una scultura con le ruote, sarebbe una definizione fuorviante. E' un prodotto artigianal-industriale dal risultato incontrollabile, travolgente.

La sorpresa è l'altra grande anima di questa giornata: Stefano Domenicali. Arriva e sembra che col cuore abbia salutato uno per uno dei presenti con il suo miglior sorriso. Un'accoglienza del padron di casa immediatamente coinvolgente e calorosa. Domenicali è uno sportivo abituato a lavorare in squadra. La sua lealtà è immediatamente percepibile e il suo breve discorso di presentazione è un succinto elenco di parole chiave concise, densissime di significato e chiare. 

Il museo è di dimensioni piuttosto contenute ma generoso e ci attrae un piccolo particolare: in una mappa nella numerazione dei diversi stabili che compongono l'azienda il museo è quello contraddistinto dal n°1. E' il fulcro dell'azienda, luogo dove il progettista viene a confrontarsi tra passato e futuro per trarre la sua ispirazione. Questo esempio così concreto ed edificante dovrebbe essere prassi Italiana, ma temiamo che qui sì ci sia lo zampino Audi...

Quattro sono i grandi ambiti del museo: auto storiche, concept, tecnica e competizioni. Le storiche annoverano la 3500, ma non è quella di Scaglione, la LM 002 (figlia della Cheetah e nonna della HMMWV Hummer), la Urraco, la Espada ,ma due sono le pietre miliari: la Miura e la Countach. E' raro che si susseguano l'un l'altro due modelli così rivoluzionari. Bertoni non concepiva che dopo un successo fosse difficile emularlo con un secondo: eccone l'esempio!

La Countach ha un significato importantissimo: se è vero che la sua proporzione non fu rivoluzionaria rispetto alle concept Ferrari Modulo e Lancia Stratos Zero, è innegabile che solo quest'auto, una concept, sia stata prodotta. Un caso rarissimo che fa riflettere con rigore. Siamo in un momento in cui le concept rasentano uno stadio di preserie col risultato di essere banalissime, mentre il prodotto di serie è più vicino di conseguenza al suo concept senza per questo entusiasmare. Countach è un prodotto perfetto: è l'emozione e la spregiudicatezza esclusiva del concept, realizzato per il cliente. Il suo cliente più rappresentativo e famoso? Ovviamente Automan. Questa vettura dovrebbe essere per questo presa di riferimento oggi più che mai.

Ma è la Miura la progenitrice che incita a rompere gli schemi del design, in un modo raffinatissimo. 

la Miura è una sintesi tardiva della migliore esperienza italiana nell'ambito delle GT. Non è la P4, non è la 33 Stradale di Scaglione. E' un'auto dalla sagoma nota per l'epoca a cui succede però uno stravolgimento dirompente e senza precedenti.

Guardiamola bene non per spiegare ma per esplorarla: la Miura è una sintesi tardiva della migliore esperienza italiana nell'ambito delle GT. Non è la P4, non è la 33 Stradale di Scaglione. E' un'auto dalla sagoma nota per l'epoca a cui succede però uno stravolgimento dirompente e senza precedenti.

L'autotelaio di Dallara è una rivoluzione con le sue lamiere scatolate ed il motore posto di traverso al posteriore. Semplicissimo, come l'uovo di Colombo. La carrozzeria deforma la sua proporzione di impronta classica in una proporzione mai vista prima, calzata sull'innovativo telaio appunto. L'auto risulta sì una GT classica ma è quasi accasciata al suolo con un altezza rasoterra.

Se la vista laterale può ricordare il canone della Ferrari GTO o la Bizzarrini 5300 GT, qui il corpo della cabina sembra eseguire una leggera rotazione all'indietro e le linee dei finestrini risalgono verso i parafanghi anteriori con una sinuosità da brivido. Il canone classico acquista così una grazia unica. Frontalmente ci si accorge che il segreto della Miura è forse racchiuso in quelle quattro dita di larghezza in più che il telaio le ha regalato rispetto alla proporzione delle GT classiche. Il concetto è ancor più lampante facendo il paragone con l'Alfa Romeo Montreal: stessa tipologia, effetto diametralmente opposto. La Montreal - quanto di più simile in teoria alla Miura - è troppo stretta: il risultato è una vettura sgraziata troppo alta da terra rispetto al suo ruolo di GT. Risultò una Miura dei poveri, con uno scarso appeal. 

Se Beethoven emoziona, Mozart trascende, come la Miura. I celebri fanali, uno dei tratti più salienti della Miura, sono dei banalissimi fari tondi. Ma retrattili che fissano il cielo dando un espressione alla Miura che va da quella del predatore spietato, uno squalo che ruota gli occhi prima di catturare la preda, a quella degli occhi “a cui hai tolto l'età” – come definisce Vinicio Capossela gli occhi delle donne di Modigliani (altri brividi italiani).

Le feritoie laterali e le prese d'aria verticali subito dietro ai finestrini iniziano a decostruire ampliandolo il padiglione posteriore che assume un significato nuovo, leggero e quasi effimero: diventa due grosse prese d'aria che ricompariranno più chiare nella Countach di serie. Il disegno dei parafanghi è perfetto e “gira” intorno all'auto senza possibilità di essere modificato in alcuna sua curva.

A sottolineare quanto il progetto Miura si avvalga in modo fondamentale dei dettagli per capirne la sua riuscita è giusto fare un confronto con una concept gialla qui presente che emula una Miura. La vettura non è in grado di muovere la benché minima emozione. Senza le griglie, le cromature e l'equilibrio di quella di Gandini, risulta un goffo emulo privo di personalità. La coda è assolutamente insignificante, in quanto i fari sono troppo in alto poiché lo spoiler della vecchia è in questa pressoché assente. La fascia sottoporta grigia riprende l'originale ma non rastrema girando sotto il telaio, cadendo invece dritta: il risultato è quello di fare sembrare la concept un giocattolone protagonista di “Cars”. 

Il frontale poi ha i proiettori rivolti in avanti come una qualsiasi altra automobile con alcuni elementi di leziosità. Ho apprezzato molto questa concept: sottolinea tante cose e insegna ad un designer cosa non fare e quale sia il modo errato di rincorrere il passato che non torna. Miura e Concept paiono Gisele Bundchen e Barbie messe a confronto. Ma sia chiaro che poter fare questo raffronto è culturalmente interessantissimo a mio avviso e in un certo senso andava fatto. La saggezza è stata non mandarlo in produzione.

Altro confronto scaturisce tra la bella brutta LM 002 e la brutta bella Urus. La prima è un arnese da caccia fatto per gli sceicchi. Un mostro di potenza che emana sostanza: inguidabile, dai consumi degni di un carro armato, ma velocissimo. La Urus invece prosegue il concetto della prima Cayenne di deformare il frontale della 911 per adattarlo al suv. Non vi è certo alcuna rivoluzione in questo canone e da Lamborghini ci si aspetta sempre lo stupore che forse qui manca.

Ma non è un problema dato che dietro l'angolo c'è la folle Egoista: una monoposto chiusa da una cabina da cacciabombardiere intelaiata in carbonio e plexiglas aranciato: un aereo da combattimento con le ruote. Emana tanta brutalità quanta simpatia e infatti tutti le sono attorno incessantemente. Il desiderio di guidarla è totale. Il frontale si ispira alle auto di Formula 1 ma ha tre lobi che la fanno sembrare qualcosa di diverso e più evoluto. Lo studio dei materiali, dell'aerodinamica e l'aria accattivante ne fanno una vera Lamborghini, bella o brutta che sia. 

Ferruccio pedinava i suoi prototipi e se i passanti non si giravano a guardali ne scartava il progetto. Un metodo da scrivere nella roccia: difficile immaginare che fosse giunta in produzione la Lancia Thesis dopo un test di questo genere!

Al piano sopra una Miura Spyder, e tutto il recente passato di Lamborghini. E' una gioia intensa. Ci sono forse delle Lamborghini più di mercato e va benissimo così, ma le versioni esposte qui sono un tuffo al cuore: la Murcielago Spyder è stupenda, la Sesto Elemento e le scocche in carbonio lì per farsi guardare e confrontare col vecchio telaio della Miura sono cultura dell'automobile. Questo museo è dunque appagante e ben descrittivo. Nelle sue illustrazioni a parete, nel percorso storico e nella sua piacevolezza. Finalmente si può osservare e studiare una scocca in carbonio di altissimo livello: è una nuova frontiera dell'artigianalità questo materiale. 

Quasi mitologico nell'esser considerato dalle prestazioni indicibili è anche estremamente complesso e vivo da lavorare, da orientare nei suoi diversi strati, da pressare e dipingere. Per di più il carbonio dei telai può avere una durata limitata, come per le barche a vela e, nel caso di supercar di questi livelli apre quesiti rilevanti. I telaietti anteriori e posteriori sono in metallo, imbullonati alla scocca. Questo introduce nuove possibilità di aggiornamenti e modularità dall'enorme potenziale. Davanti a noi oltre ad un telaio vi è dunque un assaggio di futuro che rilancia la ricerca nell'ambito automobilistico. E ne libera dunque nuovi stimoli e orizzonti per la creatività.

E' costruttivo sapere che si è a due passi dalla Pagani e altrettanti dalla Ferrari. Tutto ciò che si vede è frutto di duelli spietati con la concorrenza. E ne sono bandiera le auto da gara allineate al primo piano di cui mi racconta anche il Team Principal del team “Lazarus”, proprietario della bella Huracan LP 520 ST con cui si disputa il Campionato Super Trofeo Europe: qui l'estetica del mezzo deriva dall'esasperazione delle performance in pista. Il risultato è un fascino che supera quello delle educate ed impreziosite versioni stradali.

Nel viale interno attorno cui si articola l'azienda c'è la Huracan della Polizia con le moto della Stradale ai fianchi ad aprire le danze. Ai lati su due file decine di Miura di svariati colori pronte a partire. Peccato le poche targhe Italiane, ma si sa come stiamo andando e dove... 

Un signore dall'aria da ragazzone sportivo è qui con la sua Jota, modello preparato da Bob Wallace. Quando la accende chi passa dietro può avvertire istintivo il terrore di incendiarsi per via della fiammata. Ha lo scarico libero ed il suo suono non è il latrato moderno ed insipido dei motori da 10.000 giri. E' un tuono, un'eruzione vulcanica mista a qualcosa di animale. Insomma, paradossalmente qualcosa che appartiene ancora alla Natura per assurdo. 

La fila si incammina come una processione di mistici e al passaggio in strada tutti si fermano. camionisti che fanno foto dalla cabina, passanti... Momento di euforia generale e sacrosanta.

Le Audi chiudono la pista e constatiamo sereni che i Quattro Anelli hanno salvato tutto questo a differenza dei fornitori e delle banche tutte italiane dell'epoca, correi di aver minato pericolosamente l'esistenza di questa realtà eccellente.

Tai Sammartini

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