Dakar ’18 Il Viaggio. Decimo Cielo (Piste Parallele) - 13^ puntata

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Piero Batini
  • di Piero Batini
Mr. Franco, una Peugeot 3008 “Campione in carica”, tre Paesi da scoprire sulle tracce (e fuori pista) della Dakar. È l’Avventura “parallela”, viaggio sensazionale accanto a una Dakar Perù-Bolivia-Argentina eccellente. L’ultima di Marc Coma Organizzatore
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
21 giugno 2018

13- Salta-Belen-Fiambala, 17 Gennaio.

Da Salta, prima tappa argentina del Viaggio, e più precisamente dalla House of Jasmines, ripartiamo in forma smagliante con le batterie completamente ricaricate. 100%. Rasati, freschi e profumati, rinfrancati nello spirito. Perfetta colazione nello stomaco, polmoni carichi di aria fresca e frizzante, mente e memoria occupate solo dalle fragranze leggere del mattino. Una partenza così tutti i giorni e campi 200 anni, i primi 190 felice come un bambino, i restanti dieci a… ricordare. L’unico problema che ci si pone, a voler essere pignoli, è che la partenza all’alba che avevamo provato a immaginare, ingiusta, è slittata progressivamente fino a una ben più umana “nove e mezzo, undici, undici e mezza… puntuali!”, e che quindi la nostra tappa parte in nettissimo ritardo. Poco male, anzi ci fermiamo per un caffè che non siamo ancora all’ora di viaggio. In programma altri 500 chilometri di Ruta 40 fino al teatro della trilogia di Catamarca, Belen, Chilecito, Fiambala. Il Rally funziona così: riprese le ostilità dopo la giornata extra a Salta, tutti a Belen. Poi le Moto a Fiambala per la mezza Marathon e le Auto a Chilecito, quindi, il giorno successivo, tutti di nuovo riuniti a San Juan, penultima tappa prima di Cordoba.

Dopo aver fissato la corsa delle Auto a Uyuni, con l’avvicendamento delle Peugeot in testa causato dalla resa di Peterhansel e l’ascensione di Sainz, la Dakar si appresta a chiudere anche il discorso delle Moto a Belen, al termine di una Tappa incubo che lascia sul campo di battaglia numerosi sconfitti. A Salta, intanto, l’olandese Kees Kolen ha fatto penalizzare Sainz di dieci minuti perché, così dice il Boss di Booking.com, il suo Quad è stato investito dalla Peugeot 3008 DKR Maxi leader del Rally. Niente di grave, solo pubblicità in un giorno di stanca del Rally. Il thriller è troppo leggero per scalfire la corazza di gentiluomo del “Matador” e minacciare la sua leadership, ormai blindata. “Se l’avessi colpito mi sarei fermato! Mi spiace che si metta in dubbio un fatto così naturale.” A Belen, invece, alla conclusione della decima tappa, 800 chilometri di cui oltre la metà di Prova Speciale, si decide la corsa delle Moto. Escono di scena, definitivamente o tagliati fuori dalla corsa per la vittoria finale, Adrien Van Beveren che infrange i sogni di gloria in una rovinosa caduta alle porte della Città, Kevin Benavides, che insieme ad altri accumula un ritardo incolmabile alla ricerca di un discusso Waypoint, e il nostro Alessandro Botturi, autore di una prova eccellente ma, alla stessa maniera di Van Beveren, davvero sfortunata. Vince per la prima vola in questa edizione Matthias Walkner e le KTM, sinora in ombra, salgono al comando. Al secondo e terzo posto, ma a 40 minuti, le Honda di Barreda, che cerca stoicamente di resistere, e Benavides.

Belen non è esattamente il luogo dove i turisti fanno la fila. Non è Venezia o Firenze, per intenderci. Se ti capita di attraversarla perché sei arrivato lungo, difficilmente ti accorgi di aver passato una Citta, e men che meno ti vien voglia di fare marcia indietro. La Dakar ci capita tutti gli anni. Così, per un giorno isolati nella polvere, senza connessione, poco telefono e pochi hotel e ristoranti, nessuna attrattiva particolare. Dopo Salta, è il castigo di dio. Facciamo fatica a raccogliere le informazioni di gara, parliamo con la Civiltà e trasmettiamo i nostri pezzi solo grazie al telefono e alla stazione satellitari, che abbiamo con noi proprio per questo scopo. Per lavorare ci rifugiamo in una pizzeria tremendamente chiassosa, la pizza è cattiva e, una volta spedito tutto dal… tetto della Peugeot con l’iSatHub, ritroviamo finalmente una pace deliziosa quando siamo di nuovo sulla Ruta 40. In fuga nel silenzio della notte. Sapevamo che Belen non ci sarebbe, all’improvviso e per qualche misterioso motivo, piaciuta, e avevamo già pensato di proseguire fino a Tinogasta, altri 150 chilometri via Cerro Negro, per essere più vicini a Fiambalá. Non avevamo previsto il blackout telefonico e non avevamo potuto cercare una stanza di hotel, e per questo eravamo pronti a trasformare la nostra 3008 in motorhome, cosa che avevamo già sperimentato con successo l’anno prima.

Arriviamo a Tinogasta tardi, ma troviamo da mangiare, birra gelata e una stanza all’Hotel Turismo per la notte extra, quella successiva, eventualmente dovessimo fermarci, è già riservata all’Hostal Santé. Ci godiamo la fine della serata, finalmente in pace con le dannate vicende della Corsa che ti scarrozzano senza pudore da un posto deludente a un altro, puro cinismo mascherato da avventura, e quando il gestore riesce a farci capire che vorrebbe dormire qualche ora anche lui, ci ritiriamo. Poche ore di sonno, recupero rapido senza sogni, e siamo pronti per Fiambalá.

Fiambalá. Uno stupendo “ovale” naturale, circa cento chilometri per cinquanta, una conca tra due pareti di roccia, a Ovest, e sabbia, a Est. La Città è accostata alla “sponda” Est, ed è un quieto, solare e “messicano” agglomerato urbano senza grandi attrattive ma pacifico, gradevole. Dalla Città si parte per il centro del “catino” di deserto infuocato, verso un punto nel nulla che vale un colpo d’occhio, lasciatevelo suggerire, eccezionale. Il senso dell’esperienza 360°.

L’arrivo della Marathon della Moto è stato fissato in questo teatro stupendo… ma infernale. La sabbia, soprattutto il calore insopportabile della conca, ha un effetto devastante sulle performance e sul morale. Qualche volta ha anche piovuto e la vita a Fiambalá è diventata un’altra cosa, ma questa volta il caldo è feroce. C’è una leggera brezza, tuttavia, che cambia tutto, soprattutto modifica radicalmente le sensazioni, addolcendole. Una cosa è starsene al traguardo trangugiando soda, e un’altra, è starsene in moto per otto ore in quel deserto.

 

In “quel” deserto miracoloso succedono due cose importanti. La prima è la resa di Joan Barreda, finito dal dolore al ginocchio, la seconda la vittoria di Toby Price, il vincitore della Dakar 2016, che significa la chiusura generale dei conti. Nessuno andrà più a toccare Matthias Walkner e l’ennesima, consecutiva vittoria di KTM. A Sainz, per rinforzare la corazza Peugeot, hanno restituito i dieci minuti di penalità per la questione del Quad suppostamente investito. Aspettiamo a lungo l’arrivo di Barreda, invano, e infine decidiamo che la Dakar 2018 è certamente chiusa. Ripartiamo. Vorremmo fermarci a salutare i Piloti al “bivacco”, ma la scuola in centro a Fiambalá è off-limits e ripartiamo ancora, questa volta per fermarci ancora a Tinogasta e da lì raggiungere San Juan, penultima mèta del Rally. Improvvisamente non abbiamo più fretta, non ce n’è. L’atmosfera cambia radicalmente. 650 chilometri, i primi 50 fino a Tinogasta e gli altri lungo la Ruta 40 che diventa Via del Vino. A sera verremo a sapere che anche la tappa successiva delle Moto sarà annullata, e mentre le Auto saranno protagoniste di un’inutile prova  speciale, i Motociclisti raggiungeranno San Juan in trasferimento, esattamente fino al circuito di El Zonda che ospita lo strano, penultimo Bivacco dell’Edizione 2018. Le conclusioni tirate al traguardo di Fiambalá ci hanno già fatto capire che possiamo permetterci di rallentare se mai se ne dovese presentare l’occasione.

E infatti, l’occasione si presenta dopo appena tre chilometri e mezzo, di fatto appena usciti dal centro abitato di Fiambalá. Mr. Franco accosta e si ferma. Alzo gli occhi dal mio lavoro. Stavo scrivendo in Macchina e mi viene fatto di chiedere cosa sta succedendo. “Assolutamente niente” - risponde serafico Mr. Franco – “Mi piace questa costruzione. È adobe purissimo, una casa di fango ed erba, argilla e paglia nei casi più sofisticati, fango e… altro nei meno raffinati. Un metodo di costruzione popolare in Messico, ma antichissimo. La città più antica che si conosca, in Anatolia, aveva case fatte così…”

“Scusami, Mr. Franco, e nell’antica Anatolia usavano l’adobe anche per costruire le cantine?” Casualmente, infatti, ci siamo fermati al Bar Don Diego, che da fuori no si riconosce per tale e che solo a un’analisi più attenta si rivela essere la Cantina Don Diego. Il luogo è di una sobrietà assoluta, assai rilassante, e così, in un clima di grande relax scopriamo che la Finca Don Diego produce tre vini d’altura, quelli mancati in Bolivia, un Malbec, un Cabernet Sauvignon e un Sirah. Mr. Franco degusta e mi consiglia il Sirah. Eccellente, anzi, per dirla tutta, straordinario. Brindiamo ancora una volta con la gentile signorina che ci fa da anfitrione e compagnia, e riprendiamo la strada. Nessun palloncino in vista, procediamo lentamente, “calmamente”. Meglio, in ogni caso, fermarsi per la notte a Tinogasta!

 

Foto: Piero Batini - Nikon

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