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Costruita originariamente negli anni Settanta per collegare la valle con il ghiacciaio e consentire lo sci estivo, oggi è stata rinnovata con una tecnologia d’avanguardia firmata Doppelmayr e si impone come caso di studio per le soluzioni adottate in un ambiente ad alta quota e fortemente ostile.
In poco più di cinque minuti supera un dislivello di oltre 1.200 metri, raggiungendo i 3.212 metri sul livello del mare con una linea lunga 2,1 chilometri e pendenze che toccano quasi il 98%. La portata è di 800 persone l’ora grazie a due cabine da 80 posti ciascuna, che viaggiano fino a 36 km/h, offrendo un’esperienza tanto spettacolare per i passeggeri quanto impegnativa dal punto di vista tecnico.
La linea è sostenuta da un unico, imponente pilone intermedio, un traliccio di 54 metri piantato nel permafrost e ancorato a profondità elevate con carotaggi e cavi cementati nella roccia. La sua stabilità è vitale per resistere a forze costanti e variabili dovute non solo al peso delle cabine ma anche a condizioni meteorologiche estreme e ai movimenti del terreno glaciale.
Il sistema delle funi è altrettanto impressionante: le portanti, del diametro di 54 millimetri, fungono da binari per i carrelli delle cabine, mentre la fune traente, di 40 millimetri e oltre 26 tonnellate di peso, le trascina in continuo movimento. La tensione è mantenuta da enormi contrappesi: 163 tonnellate per ogni coppia di funi portanti e 92 tonnellate per la traente, blocchi sospesi in pozzi profondi fino a trenta metri che garantiscono costanza e compensano ogni variazione di carico o posizione delle cabine.
La trazione è affidata a due motori elettrici da 350 kW ciascuno, per una potenza complessiva di 700 kW, collegati a riduttori a tre stadi a bagno d’olio e stabilizzati da grandi volani. Il dimensionamento dell’impianto tiene conto di carichi superiori di 4,5 volte rispetto al massimo previsto, con cabine che a pieno riempimento arrivano a 14 tonnellate.
Il bilanciamento tra le cabine e i contrappesi consente inoltre di sfruttare la frenata rigenerativa: nelle fasi di discesa a pieno carico i motori diventano generatori e reimmettono energia nella rete, trasformando il consumo in produzione elettrica. La sicurezza è garantita da una ridondanza capillare. Otto freni pneumatici negativi intervengono automaticamente in caso di perdita di pressione o anomalia, mentre quattro motori idraulici di emergenza sono collegati a una corona dentata sugli argani per muovere le cabine anche in assenza di energia elettrica.
A supporto, due gruppi elettrogeni diesel FPT da 660 kVA ciascuno sono pronti ad alimentare l’intero impianto in caso di blackout, e in ultima istanza un sistema di soccorso dedicato, una sorta di “funivia parallela in miniatura” con carrelli e cestello, garantisce l’evacuazione dei passeggeri.
Le nuove cabine panoramiche, più spaziose e confortevoli pur mantenendo la stessa capacità, introducono soluzioni di comfort inusuali a queste quote: il pavimento si riscalda automaticamente quando la cabina si ferma in stazione, le superfici vetrate ampliano la visibilità e il tetto può aprirsi in modalità cabriolet.
Nella sala macchine si trovano i motori, i riduttori e i sistemi idraulici, mentre il cervello dell’impianto è nella sala di comando, dove pulpiti manuali e digitali consentono di avviare o arrestare l’impianto, controllare velocità e posizionamento, monitorare vento, contrappesi e fulminazioni atmosferiche in tempo reale.
La gestione elettronica è affidata a sistemi sviluppati in Italia, con inverter e componentistica della vicentina Funitec e gruppi elettrogeni realizzati da Visa, a conferma di come questo impianto coniughi tecnologia globale e know-how nazionale.
La funivia di Kurzras–Grawand non è solo un’infrastruttura turistica, ma un vero laboratorio di ingegneria applicata alle condizioni più difficili: un’opera capace di unire meccanica, elettronica ed energia in un sistema ridondante e sicuro, concepito per funzionare con continuità in un ambiente che non perdona errori.
Un simbolo di come la tecnologia a fune possa affrontare le sfide dell’alta montagna e indicare nuove strade per la mobilità anche oltre i confini delle Alpi.