Disastro di Avellino, imputata anche la Società Autostrade

Disastro di Avellino, imputata anche la Società Autostrade
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Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
Quaranta morti attendono giustizia: si apre il processo per la strage del bus precipitato dal viadotto di Acqualonga, ed i pm puntano il dito anche sulla ridotta sicurezza di quel tratto di autostrada
  • Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
27 settembre 2016

A tre anni dal tragico evento, iniziano le udienze del Tribunale di Avellino chiamato a giudicare le azioni di quanti, ciascuno per proprio conto, contribuirono al verificarsi di uno dei più gravi incidenti stradali della nostra storia.

Era il 28 luglio 2013 quando un bus turistico, che riportava a casa da una visita al santuario di Padre Pio a Pietrelcina diversi fedeli di Pozzuoli e di altri comuni della zona flegrea, per un guasto ai freni prima piombò su una coda di automobili e poi terminò la folle corsa contro il guard rail che non riuscì a reggerne il peso.

Così il veicolo precipitò dal viadotto di Acqualonga, sfracellandosi contro le rocce dopo un volo di decine di metri: dei 48 passeggeri a bordo, 40 non sopravvissero all’impatto, autista compreso.

Dalle indagini risultò subito che il pullman Volvo, con all’attivo oltre 800.000 km, era in condizioni pessime e circolava grazie a documenti tarocchi ottenuti con la complicità di due funzionari della Motorizzazione di Napoli, ora imputati per omicidio colposo plurimo insieme al titolare della ditta di autotrasporto proprietaria del veicolo.

Ma questa storia non riguarda solo l’aspetto tecnico del mezzo al centro del disastro: come sospettano i pm dopo aver letto le perizie dei tecnici, ad amplificare gli effetti dell’incidente potrebbero state anche altre cause.

Per esempio, lo stato delle protezioni new jersey che avrebbero dovuto contenere il pullman piuttosto che cedere sotto la sua spinta.

Così l’accusa di omicidio colpisce anche l’amministratore delegato della società Autostrade per l’Italia, Castellucci, il direttore generale, Mollo, insieme ad altri dirigenti e funzionari della società concessionaria del tratto teatro del devastante incidente.

Le relazioni dei periti parlano chiaro: i cavi d’acciaio che fissavano i new jersey a terra erano corrosi, segno di scarsa manutenzione ed interventi insufficienti.

Eppure nel 2009, secondo quanto ricostruisce “Il Fatto Quotidiano“ in una puntuale inchiesta, una parte delle barriere era stata rimossa, durante un’operazione per la sostituzione di alcune travi: fu allora riscontrato il danneggiamento di alcuni cavi che assicuravano i new jersey alla strada, sostituiti al momento del rimontaggio.

Ma solo quelli: mancò ogni altra verifica sul resto delle barriere che delimitano il viadotto.

Per la società Autostrade, infatti, quei new jersey non avrebbero dovuto essere cambiati perché non di “primo impianto”, non risalendo, cioè, all’epoca della costruzione del ponte. Per questa ragione quel tratto autostradale rimase escluso dal piano nazionale di riqualificazione delle barriere di sicurezza lanciato nel 2008 dall’ad Castellucci.

Secondo la Procura della Repubblica di Avellino, anche il viadotto Acqualonga sarebbe dovuto rientrare in quel piano; di tutt’altro avviso, ovviamente, il collegio di difesa del manager, secondo il quale Castellucci, nell’assolvimento delle proprie funzioni di amministratore delegato, non può occuparsi di persona degli oltre 600 viadotti presenti sulla rete autostradale nazionale e che ricadono, piuttosto, sotto la diretta responsabilità di altri.

Resta un fatto: l’intervento di riqualificazione, terminato pochi giorni prima dell’incidente, si fermò a poco più di un chilometro dal viadotto. Mille metri o poco più che avrebbero potuto fare, forse, la differenza tra una tragedia ed un incidente.

Compito dei giudici è ora stabilire le responsabilità, le omissioni, le colpe dirette e considerare quanta parte ciascuna di esse abbia avuto nel determinare il gravissimo esito finale.

Non può però sfuggire, a noi che ne scriviamo, il parallelo con la strage ferroviaria di Viareggio del 2009: per l’ad di Ferrovie del tempo, Mauro Moretti, il pubblico ministero ha chiesto una condanna a 16 anni.

Ma qualcuno ha già fatto i conti: tra non molto inizieranno a scattare i tempi della prescrizione…

Speriamo che ad Avellino siano più rapidi.

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