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Il dramma che ha scosso il quartiere Gratosoglio a Milano – la morte della 71enne Cecilia De Astis, travolta da un’auto pirata rubata e guidata da un tredicenne – ha aperto un interrogativo che va oltre la cronaca: come è possibile che minorenni così giovani siano in grado di rubare un’auto, metterla in moto e guidarla per le strade cittadine, sfuggendo alle conseguenze penali?
Il caso, che ha visto coinvolti quattro giovanissimi tra gli 11 e i 13 anni, tutti residenti in un campo rom alla periferia sud di Milano, mette in luce un fenomeno che unisce devianza minorile, sicurezza stradale e limiti normativi della legge italiana.
La guida senza patente da parte di minorenni non è un’eccezione isolata e, in alcuni contesti sociali, i ragazzi entrano in contatto con i veicoli fin dalla primissima adolescenza, imparando a condurli in aree private, strade poco controllate o all’interno di insediamenti informali. Secondo esperti di polizia locale e criminologi, le competenze tecniche – dall’uso della frizione alla gestione del cambio – si apprendono velocemente quando la pratica avviene in modo non ufficiale, spesso con il “supporto” di adulti consenzienti.
Un altro fattore è l’esposizione costante: osservare guidatori esperti e poter provare in condizioni prive di controlli riduce il tempo di apprendimento e, nei casi più gravi, i minori ricevono un vero e proprio “addestramento” per condurre veicoli rubati durante fughe o rapine.
La tecnologia antifurto ha alzato il livello di sicurezza delle auto moderne, ma molte vetture in circolazione sono ancora modelli datati, facilmente violabili con metodi rudimentali. Le forze dell’ordine segnalano che:
Veicoli più vecchi possono essere avviati con strumenti improvvisati, anche da chi ha competenze limitate.
In alcuni furti, le chiavi originali vengono sottratte in precedenza da abitazioni, garage o borse lasciate incustodite.
I giovanissimi imparano tecniche base di scasso e avviamento osservando adulti già coinvolti in reati simili.
Il codice penale italiano è chiaro: sotto i 14 anni non si è imputabili. Ciò significa che un minore di quell’età, anche in presenza di prove evidenti, non può essere processato né condannato per un reato. Il caso di Milano rientra in pieno in questo scenario: il fascicolo è stato affidato alla Procura per i minorenni, ma i quattro coinvolti non subiranno un procedimento penale diretto. Questo crea un vuoto di responsabilità che spesso alimenta il senso di impunità, soprattutto in contesti in cui la violazione delle regole è socialmente tollerata.
Gli inquirenti sottolineano che la responsabilità non si esaurisce con i ragazzi al volante, ma il ruolo delle famiglie e della comunità di appartenenza è centrale. Quando l’ambiente non solo non scoraggia, ma in alcuni casi incoraggia la condotta illegale, il rischio di recidiva cresce. Educazione, inclusione e interventi sociali sono considerati dagli esperti le uniche strade per prevenire episodi simili, accanto a un potenziamento delle misure di controllo e tutela.
Il caso ha immediatamente acceso il confronto politico: da un lato, richieste di sgombero e misure drastiche verso gli insediamenti irregolari; dall’altro, accuse di strumentalizzazione e appelli a interventi strutturali. Nel frattempo, i residenti di Milano chiedono risposte concrete: come evitare che un minore possa impossessarsi di un’auto e mettersi alla guida, mettendo a rischio vite umane?