Idrogeno all’Italiana: a Venezia parte il car sharing, a Carugate (Milano) si apre una nuova stazione…Flop in arrivo?

Idrogeno all’Italiana: a Venezia parte il car sharing, a Carugate (Milano) si apre una nuova stazione…Flop in arrivo?
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Mentre a Venezia debutta un improbabile servizio di car sharing a idrogeno con appena tre veicoli disponibili e zero infrastruttura utile, a Carugate si prepara l’ennesima inaugurazione in grande stile: una nuova stazione di rifornimento sull’A51. Ma chi la userà?
1 luglio 2025

Il Comune di Venezia, in collaborazione con Toyota e il brand di mobilità KINTO, ha inaugurato qualche giorno fa il primo car sharing pubblico a idrogeno in Italia. Inoltre, durante la giornata di ieri, a Carugate è stata inaugurata un nuovo distributore per gli autotrasporti a idrogeno. 

Tre Toyota Mirai sono state introdotte nella flotta KINTO Share, disponibili presso Piazzale Roma e l’aeroporto Marco Polo, rifornibili in soli 5 minuti presso l’unico distributore attivo in zona, a San Giuliano (Mestre). Una novità sicuramente affascinante sul piano simbolico e tecnologico. Ma sul piano pratico, vale davvero la pena investire risorse e attenzione sull’idrogeno per la mobilità privata?

Per capirlo, serve guardare oltre la superficie del comunicato stampa e fare un’analisi più ampia. L’idrogeno nel settore automotive, soprattutto per le autovetture, è una tecnologia che ha già mostrato nel tempo i suoi limiti. Basti guardare a due mercati chiave dove questa tecnologia aveva inizialmente trovato terreno fertile: Germania e Stati Uniti. In entrambi i casi, negli ultimi due anni si è registrata una progressiva chiusura dei distributori di idrogeno, in alcuni casi anche da parte di operatori importanti come Shell. La causa? Costi di gestione elevati, problemi di affidabilità, scarsa domanda e difficoltà logistiche.

Clienti delusi e costi fuori scala

Alcuni clienti privati che avevano acquistato la Toyota Mirai in Germania o California, ad esempio, si sono detti profondamente insoddisfatti: tra i motivi, la scarsità di stazioni di rifornimento, le frequenti interruzioni del servizio, il costo al kg dell’idrogeno (oltre i 15 euro/kg, traducibile in circa 15-20 € per 100 km), e persino problemi di affidabilità o manutenzione.

Un problema noto è anche la complessità del sistema a celle a combustibile, che rende i costi di produzione e manutenzione decisamente più elevati rispetto a un'auto elettrica a batteria. E non è un caso se oggi, a oltre dieci anni dai primi annunci trionfalistici, le vendite globali di auto a idrogeno sono irrisorie rispetto a quelle BEV (Battery Electric Vehicle).

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Venezia, laboratorio isolato...Carugate: segue a ruota?

Venezia vuole proporsi come capitale della sostenibilità, e l’intento è encomiabile. Ma questo progetto solleva più di un dubbio. La stazione di rifornimento di Mestre è l’unica operativa in tutto il Nordest, e al momento serve solo tre vetture in car sharing. Anche volendo credere che l’idrogeno venga prodotto con fonti rinnovabili (come vorrebbe l’ambizioso piano delle Hydrogen Valley finanziate dal PNRR), il rendimento dell’intero processo è drammaticamente basso: tra produzione, compressione, trasporto e conversione in elettricità a bordo, si perde circa il 70% dell’energia iniziale. Un’auto elettrica a batteria, in confronto, arriva a un'efficienza del 70-80%.

Secondo i dati diffusi da KINTO, il servizio di car sharing a Venezia ha oggi oltre 6.000 utenti registrati e ha già fatto risparmiare 72 tonnellate di CO₂. Tuttavia, introdurre tre Toyota Mirai in questa flotta ha un impatto simbolico, ma non realmente operativo. A fronte della complessità logistica (la necessità di un operatore per il rifornimento, la presenza di un solo distributore, la formazione necessaria per l’utente), quanti sceglieranno volontariamente la Mirai, quando potranno semplicemente noleggiare una ibrida o una tradizionale termica più semplice, economica e pratica?

Anche il prezzo (4€/h con 50 km inclusi) sembra voler stimolare l’interesse, ma rischia di rimanere un incentivo vuoto se il servizio viene percepito come scomodo, incerto e... anacronistico.

Come se non bastasse, durante la giornata di ieri c'è stata l’inaugurazione della nuova stazione di rifornimento a idrogeno a Carugate Est, sulla tangenziale di Milano. Il progetto, finanziato con 55,4 milioni di euro provenienti da fondi PNRR e dal programma europeo CEF Transport – AFIF, rappresenta una delle azioni più concrete per la creazione di una rete H2 italiana strutturata.Tuttavia, l’apertura al pubblico è prevista solo a partire dal 1° gennaio 2026, quando sarà completata l’intera rete di cinque stazioni, dislocate anche a Rho (tangenziale ovest) e a Tortona (autostrada A7 Milano–Genova, entrambe le direzioni), oltre a una seconda stazione sul lato opposto della stessa tangenziale a Carugate.

Dal punto di vista tecnico, il Direttore Tecnico di Milano Serravalle, Giuseppe Colombo, ha spiegato che l’impianto sarà rifornito tramite carri bombolai, che scaricheranno l’idrogeno a 200 bar in un impianto di compressione. L’H2 verrà poi portato fino a 500 o 1000 bar per lo stoccaggio, per poi essere distribuito a 350 bar per i camion e 700 per le auto, previa raffreddamento a -40 °C per evitare surriscaldamenti nei serbatoi. L’idrogeno per il collaudo è stato fornito da Sapio, ma per l’apertura commerciale FNM lancerà una gara pubblica per l’approvvigionamento di idrogeno rinnovabile, come richiesto dal PNRR.

Il problema? È sempre lo stesso. Si inaugura una stazione senza sapere chi ci andrà a fare rifornimento. Perché i veicoli a idrogeno in Italia non ci sono, o se ci sono costano 70 mila euro, o servono per progetti-pilota che dopo pochi mesi finiscono in un angolo, come il caso veneziano dimostra. La sensazione è che anche Carugate si preannunci come un’altra cattedrale nel deserto, costruita prima del bisogno, senza un ecosistema vero che possa sostenerla. Un altro tassello nel grande puzzle italiano fatto di buone intenzioni, zero strategia e tanto spreco.

L’idrogeno è il futuro? Il problema è sempre il solito…

Come vi abbiamo raccontato nei mesi scorsi, sono diverse le stazioni di rifornimento a idrogeno che sono state chiuse sia in Europa (principalmente in Germania, dove sono presenti il maggior numero di stazioni di rifornimento) che negli Stati Uniti. Infatti, all'inizio dello scorso anno, Shell ha annunciato la chiusura di sette delle 55 stazioni di idrogeno in California a causa di problemi di approvvigionamento, complicando ulteriormente la vita dei possessori di FCEV.

Toyota e Hyundai sono le principali promotrici della tecnologia a idrogeno, molto probabilmente con l'intento di poter fornire una vettura a basse emissioni che abbia medesime caratteristiche di una classica vettura termica (quando finisce il serbatoio di benzina, vai semplicemente a far rifornimento in tre minuti). Tuttavia, il principale problema dell'idrogeno è la sua produzione, che può essere prodotto in tre diversi modi:

  • Il primo metodo sfrutta fonti energetiche come carbone o petrolio, motivo per cui l'idrogeno prodotto viene denominato "idrogeno nero". Questo metodo è il più inquinante tra tutti.
  • Il secondo metodo utilizza lo steam reforming, un processo che coinvolge il metano e il vapore acqueo per produrre l'idrogeno, che viene chiamato "idrogeno grigio".
  • Il terzo metodo, noto come "idrogeno verde", è il più efficiente e sostenibile, a condizione che l'energia elettrica utilizzata provenga da fonti rinnovabili.

Inoltre, l'intera catena di produzione dell'idrogeno richiede una quantità considerevole di energia elettrica. Per produrre un chilogrammo di idrogeno tramite elettrolisi, basti pensare che sono necessari mediamente tra 50 e 65 kWh di energia. Nonostante ciò, l'idrogeno può essere utile per la transizione energetica, specialmente nel settore del trasporto pesante, come aerei,navi e, in alcuni casi, anche per il trasporto pesante, per migliorare l'efficienza e l'uso delle risorse energetiche.

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