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Il Gran Premio del Belgio 2025 ha acceso un acceso dibattito: era giusto ritardare il via per la pioggia o si poteva correre subito? Dopo le polemiche e i paragoni con le gesta eroiche di Ayrton Senna e Michael Schumacher, Pierre Gasly, Esteban Ocon e Oscar Piastri hanno difeso la scelta prudente della FIA, sottolineando che il problema non è la pioggia in sé, ma la totale assenza di visibilità, un fattore reso ancora più critico dalle attuali vetture di Formula 1.
Pierre Gasly ha evidenziato come sia “sempre più facile spiegare perché si è stati troppo conservativi che giustificare il fatto di aver messo i piloti in pericolo”. Il francese ha ricordato l’incidente a Silverstone che aveva coinvolto Isack Hadjar e Andrea Kimi Antonelli, arrivati al contatto proprio per la scarsa visibilità, e ha spiegato che a Spa “prima del weekend si sapeva che si sarebbe stati più prudenti, anche per la storia del tracciato. Possiamo lavorare con la FIA per migliorare il giudizio e permettere più giri in pista in queste condizioni, ma non credo abbiano fatto un brutto lavoro”.
Anche Esteban Ocon ha condiviso questa linea difensiva, raccontando un episodio personale: “Nel 2012 a Spa, in una gara bagnata, non vedevo assolutamente nulla. Mi sono spostato per cercare visibilità e mi sono trovato davanti un’altra auto all’ultimo istante. In quelle condizioni il rischio è altissimo. Abbiamo già perso abbastanza piloti così”.
Oscar Piastri ha ribadito il concetto, ricordando che “dall’interno della macchina è sempre peggio di come appare in TV” e lodando la FIA per aver ascoltato il feedback dei piloti: “Abbiamo chiesto di stare dalla parte della prudenza, e penso che sia stata la scelta giusta. Preferiamo così piuttosto che il contrario”.
Le critiche di chi sostiene che “in Formula 1 non si corre più sul bagnato” non tengono conto di un aspetto cruciale: la differenza tra pista umida – come a Silverstone qualche settimana prima – e condizioni di totale assenza di visibilità – come a Spa-Francorchamps. Le monoposto di nuova generazione, con gomme più larghe e aerodinamica complessa, nella zona del fondo in particolare, soprattutto per via dell'effetto suolo, sollevano una quantità di spray tale da rendere invisibile la pista già a pochi metri. In caso di incidente, questo significa non vedere un’auto ferma o un ostacolo fino all’impatto, come accaduto in passato con conseguenze drammatiche (Jules Bianchi a Suzuka nel 2014 e Antoine Hubert in Belgio nel 2019).
I paragoni con le “gesta eroiche” di Ayrton Senna o Michael Schumacher, capaci di dominare gare sul bagnato negli anni ’80 e ’90, non tengono conto dell’evoluzione tecnica e delle differenze regolamentari. All’epoca le vetture erano più leggere, con aerodinamica meno estrema e pneumatici che sollevavano meno acqua, e la visibilità – pur difficile – non era compromessa ai livelli attuali. Inoltre, la consapevolezza del rischio e gli standard di sicurezza sono cambiati: oggi ogni decisione della direzione gara è influenzata dalla volontà di evitare incidenti come quelli che, purtroppo, hanno segnato la storia recente del motorsport.
La questione, quindi, non è la “paura” di guidare sul bagnato, ma la necessità di evitare situazioni in cui il rischio diventa ingestibile anche per i piloti più esperti. La FIA sta lavorando su soluzioni tecniche – come copriruota e pneumatici rivisti – ma fino a quando la visibilità resterà così limitata, la priorità sarà preservare l’incolumità dei piloti. Sul fronte tecnico, Gasly ha anche evidenziato il problema dello spray generato dalle attuali monoposto, su cui la FIA sta già lavorando: “Dobbiamo trovare un modo per ridurlo, così da poter correre più spesso sul bagnato. Al momento è una situazione da uovo e gallina”. I piloti sono chiari: correre sul bagnato sì, ma non a scapito della visibilità e della vita.