Pedemontana Veneta: allarme rosso!

Pedemontana Veneta: allarme rosso!
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Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
L’inchiesta sulla galleria tra Castelgomberto e Malo rivela uno scenario sconcertante e preoccupante sui sette km e mezzo di tunnel, ad iniziare dall’impiego di materiali scadenti
  • Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
11 luglio 2019

Le rivelazioni de “Il Fatto Quotidiano“ lasciano senza fiato: le conversazioni intercettate tra gli indagati nell'inchiesta sulla galleria sequestrata parlano di acciaio poco resistente, calcestruzzo di serie B, lavori approssimativi e mancanza quasi assoluta di controlli

Uno scenario da incubo, con protagonisti assoluti materiali non certificati, acciai meno resistenti di quelli a capitolato, copertura in cemento della galleria che si stacca a blocchi, rischiando di uccidere - come già successo due anni fa - gli operai che ci lavorano; ma c’è anche molta responsabilità umana, ad iniziare dalle rassicurazioni dei tecnici agli operai, giustamente spaventati di lavorare in un ambiente pericoloso.

«Qui si stacca il fronte, non tiene… praticamente continua a staccarsi: la volta sta cedendo»: le drammatiche intercettazioni agli atti dell’inchiesta della magistratura di Vicenza sulla galleria della Pedemontana Veneta tra Castelgomberto e Malo, rivelano uno scenario sconcertante sui sette km e mezzo di tunnel dell’opera cantierata più grande d’Italia, che dai 2,3 miliardi di spesa previsti nel 2006 è schizzata ai 12 di ora: un bagno di sangue, un pozzo senza fine per la Regione Veneto guidata dal leghista Luca Zaia, che la finanzia; attesa per il 2020, ad oggi sono stati inaugurati solo 7 (sette!) dei 94,9 km complessivi. 

Le intercettazioni telefoniche coinvolgono i quattro indagati – Luigi Cordaro, Fabrizio Saretta, Giovanni d’Agostino e Adriano Turso – hanno portato al sequestro del cantiere ed acceso i riflettori sulla tenuta a rischio della galleria.

Materiali non adatti e incuria umana

Come sottolinea il quotidiano che riporta la notizia, i primi aspetti problematici riguardano l’escavazione e il consolidamento, “ovvero infiltraggi nella calotta con tubi di acciaio iniettati con miscela di cemento, in numero e di lunghezza inferiore rispetto a quanto indicato nel progetto”.

La direzione non aveva effettuato controlli sui materiali, profili di acciaio e bulloni erano privi di marcatura CE: “La prassi seguita prevedeva solo la pesatura, senza verificarne la tracciabilità” è l’accusa.

Scrive il gip: “La vastità di questa prassi è risultata essere di amplissima diffusione, come emerge dalle intercettazioni”, per acciaio, tubi in pvc e cemento.

Un esempio? Un tecnico dice: «Le barre che abbiamo sempre utilizzato… quelle Arco, non sono certificate. La documentazione che abbiano a corredo non funziona neanche bene perché per la testina ci mancherebbe quel famoso certificato che abbiamo scoperto non andare bene… in quanto è fasullo fondamentalmente».

Saretta e un tecnico “discorrono in ordine alla qualità del materiale e al fatto che esso non sia certificato, essendo stato messo in opera in opera nonostante non rispondesse alla particolare qualità richiesta”.

Tecnico: «Il problema più grosso è un altro… l’acciaio doveva essere diverso da quello utilizzato, acciaio 355, invece di quello indicato che doveva essere l’S450». Saretta: «Nel certificato che c’è scritto?». Stoppa: «S355, c’è scritto...» Saretta: «Minchia!».

In pratica, ordinavano un tipo di acciaio, ne arrivava uno diverso e non controllavano.

Scrive il gip: “Ciò nonostante la produzione continua con l’acciaio di minore resistenza”; e cita un'intercettazione in cui la ditta fornitrice spiega che loro «l’acciaio S450 non lo hanno mai comprato».

Per ridurre i danni, qualcuno propone di lasciare due tipi di acciaio, uno più resistente per le barre, uno meno resistente per le testine: ma così quest’ultimo si romperà prima, scrivono i consulenti del pm.

E “Il Fatto Quotidiano“ prosegue analizzando il problema dei pozzetti in cemento, che non sarebbero certificati CE, la mancata conformità dei tubi (da 2,5 mm invece dei 3,2 previsti dal capitolato), la mancata “spritzatura“ (la gettata di consolidamento) per la copertura della volta, che infatti denota fenomeni di “splaccaggio“ (distacco) di vaste proporzioni, al punto da far temere per la tenuta dell’intera struttura.

Il gip scrive che i vertici tecnici delle imprese interessate ai lavori sono a conoscenza delle carenze dei materiali (acciaio e cemento) e dei problemi della galleria: eppure non hanno fermato le attività.

Per questo è lui a imporrre lo stop: prima che accadano altri incidenti mortali.
 

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