Petrolio: cresce la domanda in tutto il mondo

Petrolio: cresce la domanda in tutto il mondo
Pubblicità
Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
Malgrado la spinta delle energie alternative, la “sete“ di petrolio e dei suoi derivati resta altissima: lo confermano i dati per il 2018 presentati dall’Unione Petrolifera
  • Alfonso Rago
  • di Alfonso Rago
13 dicembre 2018

C’è sempre molta “sete“ di olio nero e dei suoi derivati: anzi, la domanda mondiale di petrolio nel terzo trimestre dell’anno ha superato per la prima volta la soglia psicologica dei 100 milioni di barili al giorno e la media per il 2018 viene stimata intorno ai 99,2 milioni b/g, in aumento di 1,3 milioni rispetto al 2017, di poco inferiore alla crescita registrata nel 2017 (+1,5 milioni) e alle previsioni di inizio 2018 (+1,4 milioni).

Tra le fonti energetiche disponibili, inoltre, il petrolio (nelle sue varie emanazioni, impiegato soprattutto per riscaldamento, produzione di energia elettrica e mobilità, terrestre, aerea e marina) resta quella più utilizzata a livello globale, con il 33,6% del totale; il gas naturale è utilizzato per il 23,5% del totale, il carbone per il 28,2%, il nucleare è al 4,5%, l’ideo-geo al 7% e le altre rinnovabili al 3,2%; nel settore dei trasporti (merci e persone) il peso dei prodotti petroliferi è attualmente intorno al 92%.

Determinante, in tale contesto, la richiesta di petrolio che arriva da Cina ed altri Paesi asiatici: insieme, con circa 27 milioni b/g (+3,5% sul 2017), rappresentano oltre il 52% del totale non-Ocse.

Deciso progresso della domanda anche per Stati Uniti e Canada (+1,8% sul 2017) che hanno coperto quasi per intero l’incremento registrato nei Paesi Ocse, mentre appare stabile la richiesta in Europa, che conferma i 14,3 milioni b/g dello scorso anno (intorno il 30% del totale Ocse), interrompendo così la fase di crescita iniziata nel 2014.

Nel 2018 la produzione mondiale di petrolio dovrebbe chiudere con una media di 99,8 milioni b/g, pari ad un progresso di 2,3 milioni b/g (+2,4%) sul 2017, dopo aver superato i 101 milioni ad agosto.

Con un volume totale di 15,4 milioni b/g, quasi l’equivalente della produzione di Arabia Saudita, Iraq ed Ecuador messi assieme, gli Stati Uniti hanno registrato un vero record storico, coprendo quasi per intero l’incremento della produzione totale: in soli otto anni, con lo sviluppo dello shale oil, gli USA hanno di fatto raddoppiato i loro volumi (+97%), a fronte del +11,5% della Russia e del +11,3% dei Paesi Opec.

Nel 2018, la produzione Opec è invece sostanzialmente invariata, in diminuzione di 30.000 b/g rispetto al 2017: nel loro complesso, i Paesi Opec, hanno confermato gli impegni del 2017, compensando dal 1° luglio il crollo della produzione venezuelana con maggiori estrazioni da parte degli altri Paesi membri, per circa 1 milione b/g. 

Questi fattori, insieme al boom produttivo degli Stati Uniti e al contestuale rallentamento della crescita della domanda rispetto alle previsioni di inizio anno, ha posto le condizioni per un inatteso aumento delle scorte che nel terzo trimestre dell’anno hanno toccato i 900.000 barili/giorno, riportando il mercato mondiale di petrolio in una situazione di grande surplus.

Lo scorso 7 dicembre, i Paesi aderenti all’Opec Plus hanno raggiunto a Vienna un accordo per un taglio della produzione di 1,2 milioni b/g dal 1° gennaio, per sei mesi; dall’accordo sono escluse Libia, Venezuela e Iran. 

I prezzi del petrolio (Brent) nel 2018 sono stati in media di circa 72 dollari/barile, in progresso del 33% rispetto allo scorso anno, spinti dalle aspettative dei mercati, alimentate dalle tensioni geopolitiche: in particolare, nel terzo trimestre dell’anno il Brent ha raggiunto gli 86 dollari/barile, sulla scia dell’annuncio dell’Amministrazione americana di nuove sanzioni all’Iran e del “caso Khashoggi”.

I prezzi si sono poi notevolmente ridimensionati all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni, date le esenzioni concesse a otto Paesi, tra cui l’Italia, che insieme raccolgono circa l’80% delle esportazioni iraniane.

Per il 2019, stando alle stime, non ci si dovrebbe allontanare troppo da quella 2018 e comunque all’interno della forchetta 65-75 dollari/barile.

A livello mondiale la capacità di raffinazione, a fine 2017, è stata di 98,6 milioni b/g, di cui il 35% concentrato nell’area Asia-Pacifico, seguita dal Nord America con il 23% e dall’Europa con poco più del 16%.

Le due più grandi società petrolifere raffinatrici al mondo sono cinesi: Sinopec, con capacità di circa 5,9 milioni b/g e PetroChina (CNCP) con 4,9 milioni b/g.

I margini di raffinazione nel 2018 hanno mostrato in media una riduzione rispetto all’anno precedente, tornando sui livelli del 2016: in Europa le lavorazioni meno complesse si sono riposizionate intorno allo zero, mentre quelle più complesse si sono attestate in media sui 4-6 dollari/barile.

Sebbene in contrazione, i margini delle raffinerie della US Gulf Coast hanno confermato valori ben superiori a quelli europei. 


 

Pubblicità