Spazi pubblicitari a Milano: il comune considera le auto come droga, porno, tabacco e offese

Spazi pubblicitari a Milano: il comune considera le auto come droga, porno, tabacco e offese
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Valerio Nebuloni
Le nuove regole pongono i costruttori automobilistici, pari ad droghe, armi, alcol, offese, porno e lesione della dignità umana
1 giugno 2020

Il Comune di Milano non smette di far parlare di sè. In data 30 Maggio infatti sono state approvate e pubblicate dalla giunta le nuove linee di indirizzo (regole) per le sponsorizzazioni degli spazi pubblici. A far discutere è il trattamento di divieto riservato ai costruttori automobilistici, pari ad droghe, armi, alcol, offese e porno, riportato di seguito (e reperibile qui, sul sito del comune):

Sono in ogni caso escluse le proposte di sponsorizzazione riguardanti propaganda di natura politica, sindacale, filosofica e religiosa. E' vietata la pubblicità diretta o collegata alla produzione o distribuzione del tabacco, super alcolici, materiale pornografico, a sfondo sessuale, inerente armi, brand automobilistici non coerenti con le policy di sostenibilità ambientale promosse dal Comune di Milano, nonché i messaggi offensivi, incluse le espressioni di fanatismo, razzismo, odio o minaccia o comunque lesive della dignità umana.

Ora, sia ben chiara la posizione di imparzilità dell'autore e della testata, che vede in modo assoluto di buon occhio e di buon esempio il favorire le sponsorizzazioni automotive (o di altre realtà) che mirano alla sostenibilità ambientale, ma non è corretto imporre un divieto di tale calibro, che in parole povere si traduce in: io, comune di Milano, in modo autonomo dal resto del paese e delle leggi in vigore, la penso così. E se  tu, costruttore, non la pensi come me e fai quello che voglio, sei soggetto allo stesso divieto indiscutibile di comprare spazi pubblicitari imposto a chi produce tabacco, super alcolici, materiale pornografico o a sfondo sessuale, armi, o chi offende con fanatismo, razzismo, odio, minacce o lede la dignità umana. 

Non si tratta quindi di incentivare chi è, ripetiamo e giustamente, più green (una pratica lodevole se intrapresa da qualsiasi comune, regione o stato). Ma di bloccare in modo non imparziale il libero mercato e la libertà di pubblicizzare un oggetto innocuo, ineluttabilmente non offessivo e non lesivo della dignità umana o del pudore pubblico.

 

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