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Chi l’avrebbe mai detto che il battesimo da pilota Ferrari di Lewis Hamilton a Fiorano sarebbe stato il punto più alto della sua prima stagione con la Rossa in Formula 1? Il boato del pubblico in quel giorno di gennaio non sarebbe mai più stato replicato, se non per la vittoria nella Sprint in Cina, feroce illusione poi crudelmente annientata dalla squalifica del giorno successivo. Il 2025 per Hamilton segna il nadir della sua carriera, con il peggior suo campionato dal punto di vista statistico. I numeri sono crudi: per la prima volta, Hamilton non ha colto un podio in un GP in stagione. Figuriamoci le vittorie che si attendevano i tifosi della Ferrari.
Che Hamilton avrebbe potuto faticare nel processo di adattamento a una nuova scuderia dopo oltre un decennio al servizio della Mercedes era preventivabile. Cambiare team, dopotutto, non vuol dire solo adeguarsi a una vettura molto diversa – a cominciare dalla power unit – ma anche alle operazioni, e al linguaggio che viene usato per codificare i fenomeni che si verificano in pista. Ma come dimostra il caso di Carlos Sainz, passato dalla Ferrari alla Williams, a un certo punto l’interruttore deve accendersi. Soprattutto se il pilota che deve adattarsi è un sette volte campione del mondo.
Dopo la pausa estiva, sembrava davvero che qualcosa fosse scattato in Hamilton. Ma il disastroso finale di stagione, con quattro uscite alla Q1 nelle ultime quattro qualifiche dell’anno, ha proiettato lunghe ombre sul futuro dell’inglese. Cosa è andato davvero storto in una stagione da incubo per Lewis? Tutto comincia dalla sua mancanza di feeling con le vetture a effetto suolo. Il passaggio dalla Mercedes alla Ferrari lo ha dimostrato chiaramente: Hamilton non riesce a rendere al meglio con queste auto, che non rispondono al meglio ai suoi input. È parte del gioco in F1. Ogni era di questo sport incorona il suo migliore interprete. E Hamilton non lo è stato nemmeno lontanamente con le monoposto andate in archivio a fine 2025.
La Ferrari SF-25, per giunta, oltre a essere una vettura sostanzialmente mediocre, aveva un posteriore troppo instabile per i gusti di Hamilton. E Lewis si è anche ritrovato spuntato della sua arma più tagliente, quella frenata secca e profonda che è stata il suo marchio di fabbrica in carriera. La diversa ingerenza del freno motore gli ha fatto perdere i riferimenti del caso, rendendolo inefficace soprattutto nelle curve veloci. Ma un pilota come Hamilton dovrebbe essere comunque in grado di massimizzare il risultato, anche con una monoposto che non rispecchia appieno i suoi gusti.
Nel 2025 si è notata una differenza sostanziale con il suo compagno di squadra, Charles Leclerc. Il monegasco ha cercato in tutti i modi di avere ragione della SF-25, arrivando a optare per assetti estremamente aggressivi, contro logica, per cercare di buttare il cuore oltre all’ostacolo. È una soluzione molto più sofisticata dell’overdrive matto e disperatissimo di cui si rendeva protagonista qualche anno fa. Hamilton, invece, ha semplicemente mollato il colpo, arrendendosi davanti all’evidenza dei limiti invalicabili di un progetto. È un atteggiamento, questo, che potrebbe avere due ragioni. La prima è che Hamilton è stato abituato per anni all’eccellenza, potendo sfruttare delle monoposto ai limiti della perfezione. L’unico compito che gli restava per alzare l’asticella era lavorare di fino sull’assetto, con regolazioni ardite che, tuttavia, non funzionano con vetture deficitarie.
Di questo Hamilton se ne è accorto nei difficili ultimi anni in Mercedes, con monoposto che reagivano in maniera catastrofica a minimi cambiamenti di set-up, capricciose com’erano. Ma Lewis al primo anno in Ferrari non aveva nemmeno il polso di Leclerc nel lavorare su questo fronte con lucidità. C’è un altro fattore, poi, che ha influito sull’atteggiamento di Lewis, la sua indole. Hamilton è umorale, e sente profondamente le sue emozioni. In un inverno carico di speranze, Lewis sembrava ringiovanito, con gli occhi che brillavano dell’elettricità di un nuovo inizio. Ma tutto l’entusiasmo si sarebbe spento più avanti.
Hamilton si esalta nel momento del successo con la stessa intensità con cui sprofonda nel baratro più buio quando le cose cominciano a girare per il verso sbagliato. Non è una novità. Lewis è sempre stato così, anche ai tempi della Mercedes. Ma in Ferrari Lewis ha trovato un contraltare altrettanto umorale alle sue sensazioni. A Maranello si vive visceralmente, con una partecipazione emotiva forte sia alle vittorie che alle sconfitte, lontana dal fare asettico delle scuderie inglesi. E il suo pessimismo cosmico era evidente sin dal momento in cui prendeva posto alle media session davanti a noi giornalisti presenti in pista.
Hamilton è capace di essere un interlocutore che rapisce l’attenzione di chi lo ascolta. Direziona e protende il suo corpo verso chi gli sta parlando, generando un senso di tranquillità e mostrando un genuino interesse per chi si trova davanti. Ma nelle giornate no Lewis cambia completamente faccia. Parla a voce bassissima, restando lontano dai giornalisti alla media pen, protesi in pose ginniche per raccogliere le sue dichiarazioni. E risulta spesso laconico anche a fronte di domande tutt’altro che scomode. È la dualità di una persona complessa, che ha usato una feroce autocritica nel corso della stagione 2025.
Hamilton è arrivato persino a dire di essere inutile, che forse la Ferrari avrebbe dovuto cambiare strada. È un pensiero intrusivo come ne passano tanti nella mente di chi è in crisi, ma che non avrebbe dovuto esternare davanti alla stampa. È un’ammissione di debolezza che non ci si aspettava da chi ha costruito una carriera intera sulla fame di vittorie, di emergere, figlia di un percorso di vita che lo ha visto essere emarginato, prima di prendersi la ribalta di forza. Ma viene da chiedersi anche se, oltre al tormento interiore, i risultati sottotono di Hamilton non siano dovuti almeno in parte al tempo che passa.
Lo ha detto Toto Wolff in modo crudo, i piloti hanno una data di scadenza. C’è chi si ritira ben prima che arrivi, e chi, invece, cerca di continuare a essere più veloce del tempo che passa. Entrambe le opzioni richiedono una buona dose di coraggio. Ma chi resta deve fare i conti con un inevitabile decadimento prestazionale, solitamente evidente soprattutto sul giro secco. Niente che non possa essere compensato da una lettura di gara dalla precisione chirurgica, come dimostra Fernando Alonso. Ma non tutti mantengono questa lucidità invidiabile al tramonto della loro carriera.
Che Hamilton possa non essere più la macchina da guerra che nel 2018 a Singapore umiliò la concorrenza con uno dei giri in qualifica più sensazionali della storia è nell’ordine delle cose. Ma sta a lui capire se possa trovare nuova linfa nell’era tecnica della F1 che sta per aprirsi. È la sua ultima chance per dare lustro all’ultimo capitolo della sua carriera, iniziato all’insegna del coraggio di cambiare. Quel boato di gennaio a Fiorano oggi suona come un'eco lontana. Hamilton si trova ora davanti a un bivio: il 2026 può essere la sua rinascita o l'epilogo definitivo. Dovrà dimostrare che quel battesimo con la SF-23 non è stato solo un addio al passato, ma davvero l'inizio di qualcosa.