Tecnica e storia: cilindri con la camicia (Prima parte)

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Le canne umide sono diventate rare, ma quelle secche continuano ad avere un’ampia diffusione
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
8 marzo 2018

Nella progettazione del blocco cilindri, sempre incorporato nella fusione del basamento, i progettisti possono scegliere tra varie soluzioni diverse. Se il materiale impiegato è la ghisa, dalle ottime caratteristiche tribologiche, le canne possono essere integrali. Basta impartir loro la corretta geometria mediante alesatura e quindi portarle alla misura finale e ottenere la prevista finitura superficiale sottoponendole a una accurata levigatura con pietre abrasive rotanti e traslanti. Questa soluzione costruttiva, semplice ed economica, ha dominato a lungo la scena e continua ad essere largamente utilizzata. Le leghe di alluminio però hanno una densità notevolmente inferiore (2,7 kg/dm3 contro 7,7!) e una conduttività termica molto più alta, rispetto alla ghisa. In pratica questo significa che consentono di realizzare basamenti più leggeri; la cosa è di notevole importanza per i motori da competizione o destinati a modelli sportivi e da diversi anni a questa parte anche per quelli delle auto prodotte in gran serie. Un motore più leggero fornisce un contributo importante alla riduzione della massa totale del veicolo e quindi alla diminuzione dei consumi, voce oggi fondamentale (la produzione di CO2 è direttamente legata alla quantità di carburante che viene bruciata all’interno dei cilindri).

Le leghe di alluminio hanno anche una conduttività termica di gran lunga superiore a quella delle ghise. Questa caratteristica è particolarmente apprezzata nel caso delle teste e dei pistoni, organi molto sollecitati termicamente e che pertanto devono essere in grado di smaltire agevolmente il calore assorbito.

I principali punti deboli delle leghe di alluminio sono costituiti dalla rigidezza sensibilmente inferiore a quella delle ghise e dalla modesta durezza. A causa di quest’ultima, fin da quando questo materiale è stato preso in considerazione per la realizzazione di cilindri è apparso chiaro che occorreva adottare canne riportate in un materiale adatto. La scelta è caduta immediatamente sulla ghisa, che come detto si prestava ottimamente per questo tipo di impiego, e ben presto l’industria è stata in grado di offrire a costo contenuto canne (dette meno frequentemente “camicie”) realizzate con ghise aventi composizioni appositamente studiate. In alternativa si poteva utilizzare l’acciaio, materiale dalle caratteristiche meccaniche migliori ma dal costo maggiore e dalle proprietà tribologiche leggermente inferiori. Il suo impiego in campo auto e moto è stato però modesto, a differenza di quanto accaduto nel settore dei motori aeronautici e di quelli per veicoli industriali.

Una volta individuato il materiale più idoneo, occorreva stabilire come installare le canne nei cilindri in lega di alluminio. Già sul finire degli anni Dieci del secolo scorso era stato realizzato qualche motore automobilistico con canne riportate in umido (autentica raffinatezza per l’epoca!). Per l’adozione in gran serie di questa soluzione è stato però necessario attendere ancora diverso tempo. A spingere verso lo sviluppo di cilindri con canne riportate è stato il settore aeronautico. Ciò è avvenuto fondamentalmente in seguito all’esigenza di ridurre al minimo possibile la massa dei motori, cosa vitale per i velivoli; la grande disponibilità di mezzi e di soldi ha fatto il resto…

Le canne possono essere lambite direttamente dal liquido di raffreddamento, e allora sono riportate in umido, oppure essere a contatto solo con la lega di alluminio del blocco cilindri nel quale sono installate, e allora sono riportate a secco. In questo secondo caso possono essere inserite con forzamento in alloggiamenti accuratamente lavorati oppure venire incorporate nei cilindri all’atto della loro fusione (vengono piazzate nello stampo prima che in quest’ultimo venga immesso l’alluminio liquido). Il contatto tra i due metalli (ghisa e alluminio) deve essere intimo e completo, in modo da consentire un eccellente passaggio del calore.

Le canne umide, che possono essere appoggiate in alto o in basso, appaiono vantaggiose sotto l’aspetto del raffreddamento, dato che il liquido refrigerante le lambisce per quasi tutta la loro estensione. Comportano però un ingombro maggiore e sono meno favorevoli ai fini della rigidezza del blocco cilindri.

Se le canne sono dotate di bordino di appoggio inferiore il lavoro di fonderia risulta molto agevolato dato che la bancata dei cilindri si riduce alle sole pareti laterali e al piano basale. La struttura del blocco è open deck, il che consente di realizzarlo anche per pressofusione. Quando si serrano le viti della testa però le canne vengono sottoposte a compressione; devono pertanto avere le pareti di notevole spessore e non è facile evitare che insorgano sensibili deformazioni.

Se invece il bordino di appoggio è superiore (cosa che obbliga ad impiegare una struttura closed deck), in seguito al serraggio delle viti della testa viene sottoposto a compressione solo il bordino stesso, e viene quindi allontanato il pericolo di distorsioni.

In campo aeronautico la massima affidabilità è sempre stata fondamentale; eliminare la guarnizione della testa era pertanto vantaggioso e di conseguenza assai spesso sono stati impiegati gruppi testa-cilindro costituiti da un’unica fusione nella quale erano saldamente installate le canne. L’unione molto frequentemente era ottenuta per avvitamento: le canne umide avevano una estremità filettata e venivano serrate negli appositi alloggiamenti praticati nella testa. Altre volte si faceva ricorso a prigionieri che tiravano la base della canna verso la testa (in modo da premere l’estremità opposta nella sede ricavata nella testa stessa). Nei famosi motori Daimler-Benz della serie 600, apparsa attorno alla metà degli anni Trenta, le canne erano riportate a secco; per unirle saldamente alla testa si faceva ricorso all’avvitamento.

Nello stesso periodo in campo auto vanno ricordate le Alfa Romeo 8C 2300 e P3, munite di canne secche, in acciaio, montate con interferenza, e le Auto Union a sedici cilindri, che utilizzavano canne umide con bordino di appoggio inferiore. Nel dopoguerra spiccano alcuni motori Ferrari dell’era Lampredi, tra i quali i vincitori dei mondiali del 1952 e 1953, nei quali le canne umide venivano avvitate negli alloggiamenti praticati nella testa. Questa stessa soluzione è stata impiegata dalla Moto Guzzi per il suo straordinario 500 da Gran Premio a otto cilindri.

Per quanto riguarda le auto di serie, è importante ricordare che già alla metà degli anni Trenta la Citroen impiegava basamenti in lega di alluminio con canne cilindri umide in ghisa, munite di bordino d’appoggio inferiore. Ad essa si sono aggiunte negli anni Cinquanta, adottando la stessa soluzione, l’Alfa Romeo con lo splendido bialbero della Giulietta e, poco dopo, la Peugeot. Avevano invece il bordino di appoggio in alto la BMW 502 e la Lancia Aurelia dello stesso periodo. Diversa ancora era la soluzione impiegata dalla Fiat (per la 1400) e dalla Renault (4 CV, Dauphine): le canne erano riportate in umido ma il blocco cilindri era in ghisa e non in alluminio.

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