Tecnica Formula 1. Gli "altri" V12: Alfa Romeo, Matra e gli altri

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Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
A suo tempo Matra e Alfa Romeo hanno lottato duramente contro Cosworth e Ferrari
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
3 gennaio 2017

Punti chiave

Tra il 1966 e il 1983, quando ha avuto inizio il dominio incontrastato dei motori turbo, la Formula Uno ha vissuto un periodo straordinario. Le vetture si sono trasformate radicalmente, sia come materiali e tecnologia costruttiva sia come disegno, con spostamento dei radiatori dalla parte frontale a quelle laterali, con la comparsa di alettoni e di altre appendici aerodinamiche e via dicendo. Le gomme sono diventate slick e hanno subito una grande evoluzione, che ha portato alla comparsa di mescole dallo straordinario grip. E poi si sono viste le minigonne e ha iniziato ad essere sfruttato l’effetto suolo.

Per i motori le cose sono andate diversamente. C’è stato logicamente un progressivo aumento delle prestazioni. Dopo il primo periodo che ha seguito l’apparizione di una nuova generazione di motori con teste a quattro valvole per cilindro e camere di combustione compatte (grazie al ridotto angolo tra i due piani sui quali giacevano le valvole stesse), gli incrementi sono però diventati di anno in anno meno sensibili. Nel 1966-68 le potenze specifiche erano dell’ordine di 130-140 cavalli/litro, nel 1974-1975 erano arrivate dalle parti di 160 CV/litro o poco più (nel caso dei motori a dodici cilindri) e attorno al 1981 erano di poco superiori a 170. Per i motori aspirati la scalata alla potenza è ripresa negli anni Novanta, dopo l’epoca turbo, subendo una vigorosa impennata grazie alla generalizzata adozione delle molle pneumatiche per il richiamo delle valvole, che ha consentito un forte aumento dei regimi di rotazione.

Nel 1966, quando è entrato in vigore il nuovo regolamento che, per i motori di Formula Uno aspirati, prevedeva una cilindrata massima di 3000 cm3, solo la Ferrari e la Maserati avevano pronti dei V12 (nel secondo caso si trattava di un motore risalente al 1957, che è stato rapidamente aggiornato e adattato per il nuovo impiego). Mentre la Repco si imponeva col suo robusto e affidabile V8 e la Cosworth stava progettando il suo motore di eguale architettura, che avrebbe debuttato nel 1967, altri costruttori stavano pensando a nuovi motori con dodici cilindri a V. Il primo a esordire, verso la fine della stagione 1966 è stato il Gurney-Weslake, che aveva già, in anticipo rispetto a tutti gli altri, un angolo tra le valvole assai ridotto rispetto agli standard precedenti: solo 30°. Questo motore, che aveva un alesaggio di 72,8 mm e una corsa di 60,2 mm ed erogava poco meno di 400 cavalli a un regime dell’ordine di 10.000 giri/min, per ragioni economiche e non tecniche è stato una autentica meteora. Ha corso infatti per poco più di due anni, vincendo un Gran Premio, ma dopo il 1968 è scomparso dalla scena.

Più o meno contemporaneamente al Gurney-Weslake ha fatto la sua comparsa un nuovo V12 Honda, contraddistinto dalla sigla RA 273 E, per il quale si parlava di 400 CV a 11000 giri/min. La sua evoluzione (RA 300) ha vinto un GP nella stagione successiva. Per il 1968 la casa giapponese ha allestito due nuovi motori: un V12 (RA 301) e un V8 raffreddato ad aria (RA 302). In quella stessa annata agonistica la Honda ha però annunciato il suo ritiro dai Gran Premi. Dei suoi motori ci siamo già occupati in dettaglio in un precedente articolo.

 Nel 1967 ha visto la luce il V12 BRM, che ben presto sulle monoposto di questa celebre casa inglese ha preso il posto dell’ardito ma sfortunato H16. Questo motore, che in carriera ha vinto tre GP, ha corso fino al 1977. Aveva un alesaggio di 74,6 mm e una corsa di 57,2 mm e nel corso dello sviluppo ha visto la sua potenza passare da qualcosa meno di 400 cavalli a circa 450. Tra le sue caratteristiche salienti vi era il ridottissimo angolo tra le valvole: solo 13°.

La Matra è entrata in scena nel 1968 con un V12 caratterizzato da condotti downdraft, resi possibili da un angolo tra le valvole di 56°, valore notevolmente più alto di quelli che erano ormai usuali per le realizzazioni da competizione. Contraddistinto dalla sigla MS 9, questo motore aveva un alesaggio di 79,5 mm e una corsa di 50 mm, misure che la casa francese ha mantenuto anche nei suoi V12 successivi. Le prestazioni non erano però adeguate; si parlava infatti di 390 CV a 10500 giri/min. Rapidamente è stato allestito il nuovo MS 12, con i condotti disposti in modo convenzionale e con angolo tra le valvole di 33° 30’; nel 1970 erogava circa 440 CV a 11000 giri/min. In seguito la Matra ha realizzato anche teste con un angolo tra le valvole nettamente minore (16°). La distribuzione era comandata da due cascate di ingranaggi collocate anteriormente. Sono state impiegate bielle sia in titanio che in acciaio. Nel corso dello sviluppo la potenza è salita a circa 480 CV nel 1973 e ha infine superato leggermente i 500 CV nella seconda metà degli anni Settanta. Il V12 della casa francese ha terminato la sua carriera nel 1981-82.

Tra il 1966 e il 1983, quando ha avuto inizio il dominio incontrastato dei motori turbo, la Formula Uno ha vissuto un periodo straordinario.

Per il suo nuovo motore da competizione l’Alfa Romeo ha scelto una architettura a cilindri contrapposti. Come nel caso del Ferrari 312B, non si trattava di un vero boxer ma un V di 180° perché su ogni perno di manovella dell’albero erano installate due bielle. Benché fosse nato un paio di anni prima, questo motore ha esordito in Formula Uno nel 1976, con una potenza dell’ordine di 500 cavalli (o anche qualcosa di più, secondo alcune fonti) a un regime di circa 11500 giri/min; nel 1978 è arrivato a 520-525 a 12000. Le misure di alesaggio e corsa erano 77 x 53,6 mm. L’angolo tra i due piani sui quali giacevano le 24 valvole di ogni testa era di 27°. Le bielle erano in lega di titanio. Le canne dei cilindri, umide per circa il 40% della loro lunghezza, erano in lega di alluminio con riporto al nichel – carburo di silicio sulla superficie di lavoro.

Per la stagione 1979 la casa milanese ha allestito un nuovo motore a dodici cilindri a V di 60°, che consentiva di realizzare una vettura in grado di sfruttare al meglio l’effetto suolo. Le misure caratteristiche sono passate a 78,5 x 51,5 mm. La potenza, inizialmente di 525 CV a 12300 giri/min, è in seguito salita di un’ulteriore decina di cavalli, ma ormai stava iniziando l’era turbo...            

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