Dire ad un'automobilista «Mi hai cagato il cazzo» non è reato. Lo dice la Cassazione

Dire ad un'automobilista «Mi hai cagato il cazzo» non è reato. Lo dice la Cassazione
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Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che, in determinate circostanze, utilizzare espressioni volgari come "Mi hai cagato il cazzo, la prossimo volta non suono più e rompo qualsiasi auto che trovo davanti" non è reato
29 maggio 2014

Con sentenza del giudice di pace di San Pietro Vernotico, in data 12 novembre 2012, l’imputato veniva assolto dalle accuse di ingiuria, minaccia e danneggiamento, perché il fatto non sussiste, in relazione alla frase "oggi mi hai cacato il cazzo, la prossima volta non suono più e rompo qualsiasi auto che trovo davanti" nei confronti di una donna che aveva parcheggiato in modo da ostruire il passaggio col suo trattore. Contro la sentenza proponeva ricorso per Cassazione la parte civile, denunciando, tra gli altri motivi, vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di ingiuria, poiché a suo giudizio l'espressione "oggi mi hai cacato il cazzo" incide sul decoro della persona, costituendo manifestazione di disistima verso l'individuo nei cui confronti è diretta, trasudando disprezzo.


Al fine di accertare se l'espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale. Ne consegue che non costituisce ingiuria l'uso abituale di espressioni volgari di uso talmente diffuso, anche quali intercalari, che in relazione proprio al contesto comunicativo perdono la loro potenzialità lesiva. La Cuprema Corte di cassazione ha quindi escluso che la frase pronunciata sia offensiva dell’onore della persona a cui era diretta.

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La Cassazione non ha ritenuto che l'epressione utilizzata fosse un reato, perché il linguaggio si è evoluto insieme alla cultura, e oggi le espressioni volgari sono entrate a far parte del linguaggio comune

Corte di Cassazione, Sez. Penale - Sentenza 8 aprile 2014, n.15710

Ritenuto in fatto

Con sentenza del giudice di pace di San Pietro Vernotico, in data 12 novembre 2012, G.V. era assolto dalle accuse di ingiuria, minaccia e danneggiamento in danno di M.A.M. , perché il fatto non sussiste, in relazione alla frase 'oggi mi hai cacato il cazzo, la prossima volta non suono più e rompo qualsiasi auto che trovo davanti' ed al danneggiamento dell'auto di proprietà della M. , avvenuto il giorno successivo. In punto di diritto il giudice di primo grado ha poi escluso che la frase pronunciata potesse integrare il reato di ingiuria, mentre in relazione all'espressione minacciosa ha escluso la sussistenza del reato per il suo carattere impersonale, essendo la prospettazione del danneggiamento rivolta a chiunque avesse ostruito la porta d'ingresso della sua abitazione e non specificamente alla persona offesa. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione la parte civile.


Venendo al delitto di ingiuria, correttamente è stata esclusa la portata offensiva dell'espressione incriminata. Il giudice di merito ha plausibilmente ritenuto che la frase pronunciata dall'imputato fosse espressione di un fastidio e non di disprezzo per la M. , valutazione che risulta ragionevole e razionale. Non è infatti il significato in sé della frase 'oggi mi hai cacato il cazzo' a venire in discussione, perché, come dimostra la casistica giurisprudenziale, quel tipo di espressione può essere utilizzato in funzione di azioni ed in contesti variabili. Né viene in discussione l'accettabilità sociale di un tale linguaggio, perché l'art. 594 cod. pen. non punisce la volgarità in sé.

Il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono

I costumi così come la cultura e il linguaggio si evolvono

Ciò che rileva è il significato dell'azione compiuta con quelle parole; in tema di tutela penale dell'onore, infatti, la valenza offensiva di una determinata espressione, per essere esclusa o comunque scriminata con il riconoscimento di una causa di non punibilità, deve essere riferita al contesto nel quale è stata pronunciata (Sez. 5, n. 32907 del 30/06/2011, Di Coste, Rv. 250941); così, ad esempio, è stata ritenuta adeguatamente motivata la condanna per ingiuria in relazione all'espressione 'non rompere le palle' (sostanzialmente equivalente a quella oggetto della decisione impugnata), rivolta dal direttore di una comunità di recupero per tossicodipendenti ai carabinieri intervenuti per effettuare un controllo (Sez. 5, n. 35548 del 19/09/2007, Grosso, Rv. 237729) perché si è ritenuto che l'imputato avesse inteso contrastare l'operazione dei militari, qualificandola come inutilmente vessatoria e, pertanto, attribuendo loro la responsabilità di un abuso.

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I cittadini oggi utilizzano un linguaggio più disinvolto


Nella decisione da ultimo citata si è ribadito un principio costantemente affermato da questa Sezione, per il quale al fine di accertare se l'espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale (Sez. 5, n. 39454 del 03/06/2005, Braconi, Rv. 232339; Sez. 5, n. 21264 del 19/02/2010, Saroli, Rv. 247473; Sez. 5, n. 32907 del 30/06/2011, Di Coste, Rv. 250941). Infatti il significato delle parole dipende dall'uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono: se è vero infatti che in linea di principio l'uso abituale di espressioni volgari non può togliere alle stesse l'obiettiva capacità di ledere l'altrui prestigio, ve ne sono alcune di uso talmente diffuso, anche quali intercalari, che in relazione proprio al contesto comunicativo perdono la loro potenzialità lesiva.


È innegabile che l'evoluzione del costume e la progressiva decadenza del lessico adoperato dai consociati nei rapporti interpersonali, unitamente ad una sempre maggiore valorizzazione delle espressioni scurrili come forme di realismo nelle arti contemporanee (si pensi soprattutto al cinema) e tradizionali (quali ad esempio la letteratura o il teatro) ha reso alcune parolacce di uso sempre più frequente, soprattutto negli strati sociali a più bassa scolarizzazione, attenuandone fortemente la portata offensiva, con riferimento alla sensibilità dell'uomo medio.

L'utilizzo di un linguaggio più disinvolto, più aggressivo, meno corretto di quello in uso in precedenza caratterizza oggigiorno anche il settore dei rapporti tra i cittadini, derivandone un mutamento della sensibilità e della coscienza sociale

 

La riduzione del novero dei lemmi utilizzati nel linguaggio corrente, scelti peraltro di norma nella cerchia delle espressioni di più aspra volgarità, sintomo evidente di un incrudelimento vieppiù scoraggiante per i puristi della lingua, rappresenta ormai un inevitabile ed inarrestabile dato culturale, in ambienti in cui troneggia a mò di moderno totem lo strumento televisivo, purtroppo mezzo di diffusione dilagante di pratiche linguistiche sconvenienti.

Un linguaggio più disinvolto e anche volgare è diventato di uso comune tra i cittadini

Come rilevato dalla Suprema Corte anche recentemente rispetto ad un caso di specie molto simile a quello in esame (l'imputato aveva pronunciato nei confronti del contraddittore l'espressione '..mi hai rotto i coglioni', nel contesto di una discussione animata; Sez. 5, n. 19223 del 14/12/2012 - dep. 03/05/2013, Fracasso, Rv. 256240), l'utilizzo di un linguaggio più disinvolto, più aggressivo, meno corretto di quello in uso in precedenza caratterizza oggigiorno anche il settore dei rapporti tra i cittadini, derivandone un mutamento della sensibilità e della coscienza sociale: siffatto modo di esprimersi e di rapportarsi all'altro, infatti, se è certamente censurabile sul piano del costume, è ormai accettato (se non sopportato) dalla maggioranza dei cittadini.


L'indubbia volgarità dei termini utilizzati dal g. , allora, non determina automaticamente la lesione del bene protetto dalla fattispecie di cui all'art. 594, cod. pen., proprio perché la frase incriminata non si è tradotta in un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali della m. , ma ha rappresentato -secondo la decisione impugnata - una reazione, sicuramente scomposta e non giustificabile sul piano della ordinaria educazione, al parcheggio dell'auto della parte civile, evidentemente vissuto dall'imputato a sua volta come forma di prevaricazione.

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Anche espressioni volgari come quella in oggetto diventano incesurabili nel giudizio di legittimità


Il giudice di merito ha ritenuto che la frase incriminata, nello specifico contesto di rapporti di vicinato di non elevata scolarizzazione (emblematico l'errore grammaticale della teste che utilizza il verbo intransitivo uscire in maniera errata, in relazione al trattore), fosse da intendere come espressione di fastidio e non di disprezzo; tale giudizio risulta ragionevolmente giustificato, per cui deve ritenersi incensurabile in questa sede. 5.8 In una delle decisioni prima citate (Sez. 5, n. 35548 del 19/09/2007, cit.) si distingue il caso in cui venga in discussione solo il significato di una comunicazione testuale, come può accadere ad esempio in materia di diffamazione a mezzo stampa, da quello in cui si discute il significato di un comportamento comunicativo nel suo complesso, come avviene appunto in tema di ingiuria.

La Cassazione rigetta il reato di minaccia

Più precisamente occorre stabilire se rileva solo ciò che si è voluto dire ovvero anche ciò che si è voluto fare con le parole controverse: nel primo caso si tratta così di accertare se un determinato enunciato sia effettivamente offensivo della reputazione altrui, per cui viene in rilievo una questione di qualificazione giuridica, che può essere risolta direttamente anche dal giudice di legittimità; nel secondo caso si tratta di stabilire quale fu l'effettivo comportamento in discussione e quindi si pone una questione di fatto, estranea al sindacato di legittimità.

P.Q.M. annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di minaccia, con rinvio a giudice di pace di San Pietro Vernotico per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso


Per questa ragione, quando il giudizio penale richiede l'interpretazione di comportamenti comunicativi, le regole del linguaggio e della comunicazione costituiscono il criterio di inferenza (premessa maggiore) che, muovendo dal gesto comunicativo (premessa minore), consente di pervenire alla conclusione interpretativa. Sicché le valutazioni del giudice del merito sono censurabili solo quando si fondino su criteri interpretativi inaccettabili (difetto della giustificazione esterna) ovvero applichino scorrettamente tali criteri (difetto della giustificazione interna). La stessa individuazione del contesto comunicativo che contribuisce a definire il significato di un'affermazione, invero, comporta una selezione dei fatti e delle situazioni rilevanti, che è propria del giudizio di merito. E, quando l'interpretazione del significato di un comportamento comunicativo è sorretta da un'adeguata motivazione, come nel caso di specie, essa è incensurabile nel giudizio di legittimità.

 

P.Q.M. annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di minaccia, con rinvio a giudice di pace di San Pietro Vernotico per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.

 

Alessandro Casale, Comandante Polizia Locale comune capoluogo di provincia - Presidente di Unico, Unione dei Comandanti della Polizia Locale

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