Dakar 2016. Il giorno di Riposo, Felicità e disperazione

Dakar 2016. Il giorno di Riposo, Felicità e disperazione
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Piero Batini
  • di Piero Batini
La Giornata di Riposo. Un caos bestiale di cose da fare, di tempo che sembra esserci ma non c’è, il ritmo di gara spezzato, i calli alle mani, la ricerca di un pezzo introvabile, il bucato e, finalmente, la sensazione di respirare. Ma è già sera.
  • Piero Batini
  • di Piero Batini
11 gennaio 2016

Salta - L’appuntamento virtuale del Dakariani, quando scendono dal palco di partenza, è fissato per la giornata di riposo del Rally, l’intervallo di metà partita che cade una settimana più avanti, e che è l’unica pausa, teorica, della competizione. E il bello è che, un bel giorno, la giornata di riposo arriva davvero, agognata, insperata, benvenuta. E magari, come sempre, dopo una giornata di corsa micidiale, pensata così proprio per il fatto che poi la carovana potrà tirare un il fiato prima di riprendere con la seconda settimana della Rally. Dal punto di vista psicologico la giornata di riposo ha un valore altissimo, perché comunque quasi tutti hanno lasciato per quel giorno una cosa da fare, o è arrivato quell’imprevisto che può essere ridimensionato solo in quell’occasione. Che poi di riposo si parli solo molto relativamente, è un classico.

Una giornata speciale

A Salta la Dakar aveva sostato anche lo scorso anno, ma aveva piovuto, i prati erano allagati e il grigiore umido della giornata di riposo era entrato nelle ossa e nella testa di Piloti, Equipaggi, Meccanici. Niente di buono, a parte il complesso del Centro de Convenciones che è moderno, capace, ben organizzato e dotato di tutti i servizi, un insieme di qualità che i “Dakariani” sempre sanno apprezzare. Quest’anno, boom, si veniva da una tappa lunghissima e micidiale, i Concorrenti sulla direttissima Uyuni-Salta, gli assistenti sulla variante panoramica Uyuni-Potosì-Salta, 1050 chilometri di interminabile agonia dei cinquanta all’ora di media. A Salta ha piovuto il giorno prima e c’è un sole bellissimo e dunque il contrasto tra le fatiche del Rally e la bellissima giornata di riposo diventa una corroborante meraviglia per il fisico e per la psiche. Bello!

Non stiamo qui a raccontarvi tutta la serie delle operazioni che si svolgono durante il “Rest Day”. Fondamentalmente c’è da rimettere a posto i mezzi da gara, auto moto e camion, “tagliandare” i mezzi di assistenza e gli assistenti, ormai allo sfinimento, lavare i panni, almeno quelli da gara, darsi una lavata completa, radersi e rendersi presentabili e, ove possibile, farsi una bella dormita. Tutte cose e operazioni semplici, alle quali si è preparati sin dalla partenza. Ma la Dakar ha questo di bello, che diventa una lente deformante del tempo e delle dimensioni, della fatica e degli imprevisti. Per cui anche la giornata più programmata e calcolata del Rally, alla fine, viene vissuta… alla giornata. Certo, con il sole, una coca ghiacciata, l’amico venuto da casa che sbava per l’onore di diventare per un giorno meccanico e assistente del proprio beniamino, le cose cambiano molto, e se poi si considera che la prima parte della Dakar non è stata la fine del Mondo e che di danni se ne sono fatti meno del solito, l’atmosfera si rilassa ancor di più, al punto che puoi incontrare anche Marc Coma che passeggia tra le tende dei Team, saluta gli ex-compagni di corsa, raccoglie molto entusiasmo e qualche critica, non personale ma al percorso, ai lunghissimi trasferimenti, alla precisione dei roadbook e al funzionamento dell’iritrack che Laia ha dovuto scartare per chiamare la direzione di gara con il proprio satellitare quando si è fermata a prestare soccorso a Renet. Coma a volte pare imbarazzato, non sembra ancora perfettamente a posto nei panni dell’Organizzatore. O forse ha un po’ di nostalgia per il campo di battaglia, ora che è sull’aereo relay.

La delusione Barreda

Poi, c’è giornata e giornata, nel senso dell’umore. Per Joan Barreda, per esempio, “non è giornata”. Il giorno di riposo è quello che viene dopo la tappa del ritiro, che precede il mesto rientro in Spagna, e nel quale tutti vogliono sapere cosa è successo davvero, che prospettive ci sono adesso. È la parte più triste della domenica di Salta. Non avevamo fatto mistero del fatto che credevamo Barreda capace di vincere questa Dakar, e l’attualità non era distante da questa possibilità. Due penalità successive, d’accordo, per eccesso di velocità ma non troppo influenti, un bel passo in sicurezza, ritmo elevato ma non esagerato. Barreda c’era, per me resta il più probabile dei vincenti di una Dakar, e lo sapeva anche lui, che era il suo turno. Il giorno dopo il ritiro, dopo che si è fatto 500 chilometri al traino di Paolo Ceci e ciò nonostante ha deciso di non ripartire, è un brutto giorno. Tutti gli chiedono come mai, e a Joan vengono le lacrime agli occhi. È più che dispiaciuto, è addolorato. Se ne sta in disparte, svicola appena può, sta con se stesso e non si da pace. Questa volta, pare proprio, la moto l’ha tradito. Ci sarà un’altra occasione. Il guaio è che questa occasione arriva una sola volta all’anno.

Di tutt’altro umore è Paulo Gonçalves, nel motorhome accanto. Paulo scorrazza da una parte all’altra del bivacco Honda Team HRC completando le proprie operazioni di rito. Molta attenzione al road book, saluti agli amici e ai tifosi, interviste. Il leader della generale sta bene nella parte, non è turbato o perturbato, e cresce in sicurezza e in determinazione, i suoi cavalli di battaglia. In un certo senso è obbligato, perché rischia in proprio ed quasi da solo. Pare che quando Barreda si è fermato in pista, sia Metge che Brabec hanno tirato dritto, non hanno visto il compagno di squadra in panne. Se così è Gonçalves non si può fidare di loro ma dovrà eventualmente contare ancora su Paolo Ceci, lo specialista della fune che è già stato il suo jolly il primo giorno di gara. Se però consideriamo che dall’altra parte, e cioè degli avversari KTM, Price può contare su un buon gioco di Squadra, allora Paolo deve sentirsi un po’ solo. Intanto ha ragione il portoghese, è primo con 3 minuti e passa sull’australiano Price, è in forma smagliante e non vede l’ora di riprendere con la seconda parte della Dakar, che sa già come sarà: non facile!

Onnipotenza Peugeot

Atmosfera da delirio da onnipotenza autorizzata, invece, sotto le tende bianche di Peugeot Total. Lo scorso anno la Squadra di Bruno Famin non sapeva neanche da che parte montare il bivacco, oggi le 95 persone che compongono la Squadra girano come un orologio. E come un orologio girano le quattro 2008 DKR che stanno dominando, anzi, che hanno dominato la prima parte della Dakar con un record già leggendario. Sei vittorie di tappa, hanno vinto tutti tranne Despres, tre triplette, e soprattutto le prime tre posizioni della classifica generale, tutte occupate da un equipaggio del Team. Le 2008 DKR fanno paura, e con loro i tre Equipaggi, che vincendo vivono adesso e nell’occasione, esperienze abbastanza diverse. E ne sono contenti. Sebastien Loeb è naturalmente il Pilota più “ricercato” della giornata di riposo. Ma è il più irraggiungibile, introvabile. Quando finalmente si concede, è assalito dalle domande di tutti e di sempre, lui che le ha già sentite per dieci anni di imbattibilità nel WRC. Sono quelle domande alle quali vorrebbe rispondere “No, piacerebbe arrivare ultimo o essere squalificato”, “Peterhansel, questo nome mi dice qualcosa”, Sainz, dite Laia? Ah quell’anziano signore che gira qua attorno? Ma no, come volete che possano impensierirmi?”, “La Macchina, non riesco a guidarla, va piano e non mi fa divertire”. Invece Loeb è un Campione anche di pazienza, e con i suoi 2 decibel di voce risponde paziente, e con indulgente savoir faire distribuisce complimenti a tutti attorno a sé senza dimenticare nessuno. Da Bruno Famin che gli ha fatto la Macchina che lo fa divertire e vincere al primo colpo, ai più esperti “Peter” e Sainz, dai quali deve aspettarsi di imparare ancora molto, già a partire dalla prossima settimana.

La serenità di Sainz

Se della giornata di riposo della Dakar Barreda è il simbolo della triste insoddisfazione, dall’altra parte dello sterminato bivacco, ancora sotto le tende di Peugeot, il simbolo della felicità lo assegno a Carlos Sainz. In perfetto aplomb il Fuoriclasse madrileno sorride, parla con tutti, anche lui risponde, cercando di mantenere tutte le risposte nel forziere pacato della saggezza del Campione consumato. Ma con me non funziona. Primo perché è logico che tu sia il più felice, visto che la Macchina così come è l’hai suggerita tu, secondo perché voler vincere a tutti i costi anche una prova ininfluente come il prologo, poi perso per un banale inconveniente, vuol dire che ci credevi già prima di partire, alla 2008 DKR, e terzo perché vincendo l’ultima tappa della settimana, Carlos Sainz è già per un giorno… il Campione in carica, pronto naturalmente a difendersi e a sferrare il suo attacco. Infine, Sainz è quella persona che non ti dice tutto a parole, ma che quando sorride in un certo modo, vuol dire che è contento, contentissimo, di guidare e di vincere. Tuttapposto, si riparte! Direttissimo per Rosario, ferma a Belen, La Rioja, San Juan, Villa Carlos Paz.

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