F1, ecco perché la Red Bull si è fregata con le proprie mani

F1, ecco perché la Red Bull si è fregata con le proprie mani
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La Red Bull, orfana di Honda per la stagione 2022 di Formula 1, rischia di doversi legare di nuovo alla Renault per via di una regola che, ironia della sorte, fu introdotta proprio a causa del rapporto turbolento tra il team di Milton Keynes e la Losanga
2 ottobre 2020

La Red Bull rischia di essere la vittima principale dell’addio della Honda a fine 2021. Perché, a pochi mesi dall’inizio dello sviluppo per la vettura per il 2022 – anno in cui sarà introdotto il nuovo regolamento tecnico - si ritrova senza sapere che power unit utilizzerà. O meglio, c’è un atroce dato di fatto: se non si trovasse una soluzione alternativa, sarebbe la Renault a dover fornire i motori alla Red Bull. Questo perché il regolamento della F1 impone al motorista che ha il minor numero di clienti di trovare un accordo con un team che si trovasse senza fornitura di power unit.

E qui arriva il bello, perché il casus belli di questa normativa nel regolamento, introdotta a partire dalla stagione 2017, vide protagoniste proprio la Red Bull e la Renault. Dopo anni di successi incredibili, con i quattro mondiali consecutivi tra il 2010 e il 2013, il rapporto idilliaco tra i bibitari e la Losanga andò deteriorandosi in maniera spettacolare una volta cominciata l’era dell’ibrido. Le power unit di casa Renault non offrivano le prestazioni desiderate, e, a peggiorare ulteriormente il quadro, non erano nemmeno affidabili.

Nel 2015, cominciarono a volare stracci. Da un lato c’era Chris Horner, pronto a puntare il dito sui deficit prestazionali del motore della Renault. Dall’altro il luciferino Cyril Abiteboul, che, pur ammettendo le mancanze della power unit made in Viry-Châtillon, parlava anche di lacune a livello di telaio. Il tutto, chiaramente, non a porte chiuse nei briefing, ma pubblicamente, alla stampa. Con un clima del genere, era inevitabile arrivare alla rottura definitiva.  

E al punto di rottura ci si arrivò eccome. Il patron della Red Bull, Dietrich Mateschitz, minacciò l’addio alla Formula 1 del team se non avesse avuto a disposizione dei motori competitivi. La Red Bull ci provò a cercarli altrove, ma si vide sbattere la porta in faccia da tutti. L’intesa con Honda fu bloccata dall’allora boss della McLaren, Ron Dennis, che non voleva che la casa nipponica si legasse ad altre scuderie. Non andò meglio con Ferrari, che aprì solo alla fornitura di motori dell’anno precedente, e con Mercedes, vista l’opposizione ferma di Toto Wolff.

Alla fine tuonò moltissimo, ma non piovve. Non trovando una soluzione alternativa, Red Bull, avendo firmato il Patto della Concordia fino al 2020, si vide costretta a restare legata alla Renault. Una convivenza sempre più forzata, che terminò solo nel 2018. E ora, a pochi anni di distanza, ritorna l’incubo. Perché, proprio per evitare che si verificassero nuovamente casi come quello della Red Bull, la FIA, nel 2016, decise che dall’anno successivo, qualora un team si fosse ritrovato senza motori – per volere proprio, o del fornitore – il motorista con meno clienti se lo sarebbe dovuto accollare.

E allora rieccoli, Chris Horner e Cyril Abiteboul. Pronti a dei nuovi, difficoltosi dialoghi. La Red Bull ha ufficialmente tempo fino al 1° agosto del 2021 per effettuare una richiesta formale alla FIA per la fornitura della power unit. Se lo facesse, si legherebbe giocoforza alla Renault, che dal prossimo anno non avrà team clienti. Le alternative sono oggettivamente poche, ma siamo sicuri che la Red Bull farà di tutto per non ritrovarsi di nuovo invischiata con la Losanga. Anche se, va detto, nel frattempo il motore Renault è diventato tutt’altro che un’alternativa scadente.

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