F1. Fuori in 1,82 secondi: l'evoluzione dei pit stop

F1. Fuori in 1,82 secondi: l'evoluzione dei pit stop
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Da oltre un minuto a 1,82 secondi: ecco come si sono evoluti i pit stop nei 70 anni di storia della Formula 1
13 maggio 2020

Il 13 maggio del 1950 a Silverstone il nostro Nino Farina su Alfa Romeo 158 vinceva il primo GP della storia della Formula 1: nei 70 anni intercorsi da quella storica data, la F1 ha subito una vertiginosa evoluzione, che ha portato le monoposto attuali ad essere un trionfo della sofisticazione tecnica. Ma lo sviluppo della categoria è passato anche da uno snodo fondamentale delle corse: i pit stop. Il record per la sosta più veloce in assoluto è detenuto dalla Red Bull: soli 1,82 secondi per Max Verstappen nel GP del Brasile del 2019. Ma quanto si impiegava agli albori della categoria?

Negli anni Cinquanta, le soste duravano più di un minuto: il numero di meccanici impegnati nel pit stop era decisamente inferiore rispetto a quello odierno, con un paio di addetti alle gomme e altri al rifornimento. A volte anche gli stessi piloti scendevano dalla vettura per dare una mano: difficile oggi immaginarsi Lewis Hamilton al lavoro con i suoi meccanici come faceva Juan Manuel Fangio, che molti anni prima di lui aveva corso per la Stella a Tre Punte. All'epoca, senza l'ausilio delle attuali pistole svitabulloni, la sostituzione di una gomma avveniva in circa 20 secondi. I meccanici, inoltre, non disponevano di tute ignifughe e di protezioni. 

I rifornimenti di benzina tornarono in Formula 1 in epoche più recenti: ad inizio anni Ottanta, nel 1982, per la precisione, furono reintrodotti. La cosa durò poco, visto che nel corso della stagione successiva si verificarono una serie di incendi ai box, per via dell'eccessiva velocità con la quale il carburante veniva introdotto nelle vetture per rimetterle in pista il prima possibile. Il rifornimento fu così bandito dal 1984 al 1993, anno nel quale il tempo per perfezionare una sosta si era ridotto moltissimo. Nel GP del Belgio del 1993, la Benetton effettuò quello che all'epoca si rivelò il pit stop più veloce della storia: 3,2 secondi per cambiare le gomme a Riccardo Patrese. 

I tempi delle soste aumentarono nel 1994, quando i rifornimenti furono riportati in auge, non senza intoppi: è passato alla storia l'incidente occorso a Jos Verstappen, la cui Benetton prese fuoco, per fortuna senza conseguenze gravi, ad Hockenheim. Le gomme si cambiavano in un soffio, ma chiaramente le operazioni per imbarcare il carburante dilatavano le tempistiche. Gli imprevisti coi bocchettoni di benzina non mancarono dal 1994 al 2009, ultimo anno prima che i rifornimenti fossero nuovamente banditi: si pensi a quanto successo nel GP di Singapore 2008, quando Felipe Massa svelse il bocchettone ripartendo anzitempo dalla piazzola. 

Dal 2010 in poi, la riduzione dei tempi dei pit stop è stata costante: già nel 2012, si scendeva sotto i tre secondi, mentre un anno dopo la Red Bull, nel GP degli Stati Uniti, scese sotto il piede dei due secondi: la sosta di Mark Webber fu perfezionata in 1,923 secondi. Il record rimase imbattuto fino al GP dell'Azerbaijan del 2016, quando la Williams effettuò il pit stop di Felipe Massa in 1,92". Da lì in poi, le soste velocissime diventarono il marchio di fabbrica della Red Bull, che nel 2019 continuò a limare il proprio record, scendendo dagli 1,91 secondi del GP di Silverstone agli 1,88 secondi della Germania, fino al capolavoro finale: 1,82 secondi per montare gli pneumatici a Verstappen ad Interlagos. C'è ancora margine di miglioramento? Lo scopriremo solamente quando la F1 tornerà in pista. 

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